I social media vengono spesso associati a disinformazione e tossicità, ma per molti utenti con malattie croniche, rare e disabilità rappresentano una risorsa insostituibile. Attraverso le piattaforme, queste persone trovano comunità online di supporto che aiutano a combattere la solitudine e a condividere esperienze di vita reali, creando legami e offrendo informazioni autentiche al di là delle diagnosi mediche.
Il dibattito pubblico è affollato di discorsi sui social media. Del loro essere veicolo di propaganda e disinformazione, dei loro effetti sulla salute mentale dei più giovani, del loro contributo alla creazione di ambienti tossici dove gli utenti si radicalizzano e incanalano il proprio odio. A volte sembra che tutti i problemi delle nostre società siano iniziati negli ultimi 20 anni a causa di queste piattaforme.
Il discorso merita riflessioni approfondite più che giudizi netti, ma quello che è certo è che da tutte queste analisi è esclusa un’ampia fetta di popolazione che nei social media cerca, e trova, qualcosa di diverso. Si tratta delle persone con malattie croniche, rare e disabilità.
Disabilità, solitudine e barriere economiche: una realtà ignorata
Le connessioni tra disabilità e solitudine, e le conseguenti ricadute sulla salute mentale, sono note da tempo. Ma è negli anni post-pandemici, con un gran numero di persone rimaste disabilitate dai sintomi del long-Covid, che diversi studi hanno riacceso le luci sulla questione.
Uno studio britannico del 2022 ha mostrato che i malati cronici nella fascia d’età 16-24 sono più a rischio di provare forme di solitudine estrema. Mentre una ricerca del 2020 ha scoperto che i bambini che convivono con una malattia cronica dall’età di 10 anni avranno più possibilità dei loro pari di sviluppare gravi sintomi mentali nell’adolescenza.
Tra le cause di questo isolamento figurano le barriere burocratico-istituzionali che escludono le persone con disabilità dalla società. Non solo barriere fisiche quindi, ma anche muri di pregiudizi difficili da abbattere e diritti negati. Ad aggravare l’isolamento si aggiunge la povertà. Secondo i dati Eurostat del 2019, il 28,4% della popolazione disabile europea è a rischio povertà. Il numero in Italia sale al 29,5% mentre a far meglio sono Francia e Finlandia con numeri poco al di sopra del 22%.
Dalla diagnosi all’accettazione: il ruolo delle comunità online
Non dovrebbe stupire, quindi, che un gran numero di giovani (e meno giovani) con malattie croniche, rare e disabilità si rifugi online per trovare conforto, informazioni, consigli e per socializzare. Attraverso i social media, intesi qui nel loro senso più ampio che include anche piattaforme di gaming e forum tematici, è possibile costruire comunità online che fungano da sistema di supporto, connettendo persone che vivono esperienze simili.
Le comunità online sono spesso il primo luogo in cui si ricercano informazioni sui propri sintomi, o appena ricevuta una diagnosi. Lo scambio di consigli aiuta a conoscere, accettare e gestire la propria condizione; contribuendo a limitare la solitudine. Durante il lungo percorso della diagnosi le persone si sentono spesso invalidate, anche dal personale medico, e vivono nella convinzione che nessuno riesca davvero a capirle. Nel caso di condizioni particolarmente rare, è impossibile incontrare nella propria quotidianità qualcuno con una diagnosi simile. Le comunità online riescono a colmare queste distanze.
Conoscersi attraverso lo scambio di esperienze condivise è un collante che permette alle comunità online di resistere nel tempo e, a volte, di trasferirsi nel mondo fisico. La conversazione però non si limita a ruotare intorno alla malattia o alla disabilità. Molti utenti cercano solo uno spazio per condividere i propri interessi, un modo di socializzare meno stancante e impegnativo ma non per questo meno soddisfacente.
Non solo spettatori: il valore dei lurkers nelle comunità online
Non tutti gli utenti hanno bisogno di partecipare attivamente alla vita della comunità online per riceverne dei benefici. Un gran numero di persone si limita a osservare le interazioni tra gli altri membri, questi utenti silenziosi vengono chiamati lurkers. Da uno studio condotto sulle comunità online di supporto per individui con HIV o AIDS, è emerso che membri attivi e lurkers hanno livelli simili di soddisfazione per quanto riguarda il supporto ricevuto dalla comunità. Pur non intervenendo in prima persona, i lurkers ricavano informazioni preziose che contribuiscono a diffondere nella società generale, contribuendo alla decostruzione dei pregiudizi.
Anche chi non vive direttamente una disabilità o una malattia si rivolge alle comunità online, spesso per capire meglio amici e famigliari che invece ci convivono. Per queste persone, tali spazi offrono un’opportunità preziosa per ottenere informazioni autentiche, basate sulle esperienze di vita reale di chi affronta queste condizioni ogni giorno, piuttosto che da medici la cui comprensione è spesso limitata all’aspetto scientifico.
L’importanza di uno spazio sicuro: moderazione e difesa dai rischi digitali
Ovviamente, tutti i rischi dei social media si applicano anche alle comunità online che ruotano intorno al tema della salute. I troll che impediscono la comunicazione, il bullismo, i rischi per la privacy e la diffusione di disinformazione non sono esclusi da questo tipo di comunità. Per difendersi, gli utenti possono implementare diverse strategie: dal controllo degli ingressi ai regolamenti da seguire per non essere bannati. La figura del moderatore è cruciale in queste comunità online, così da garantire ai propri membri uno spazio sicuro.
Un altro rischio è quello della diffusione di informazioni antiscientifiche dannose. Tuttavia, questa possibilità non può mai essere esclusa da nessun ambiente mediale. Il modo migliore per difendersi è sempre quello di verificare le informazioni mediche con i professionisti.
Accessibilità e inclusione: rendere le piattaforme a misura di tutti
Un altro punto fondamentale da considerare affinché queste comunità online siano davvero d’aiuto per tutti è che siano accessibili. Ogni disabilità ha esigenze di accessibilità differenti, ma un buon design dei siti e delle piattaforme è in grado di accomodarle tutte. Gli utenti stessi possono dare il proprio contributo; per esempio aggiungendo la descrizione testuale delle immagini, così da rendere i contenuti accessibili anche agli utenti che utilizzano sistemi di lettura automatica.
Tra realtà e virtualità: le comunità online come strumento di connessione e solidarietà
Come per qualsiasi altra tecnologia, anche per i social media esistono gradazioni intermedie tra gli scenari descritti dagli apocalittici e quelli dei super entusiasti. Qualsiasi analisi fatta su questi strumenti dovrebbe includere segmenti di popolazione diversi, così da avere un quadro della situazione il più obiettivo possibile. I social media hanno reso più semplice e immediata la costruzione di comunità online che, così come le loro controparti nel mondo fisico, possono offrire terreno fertile ai semi dell’odio e della discriminazione, ma anche a quelli della solidarietà e della conoscenza.
Per un gran numero di persone che vive condizioni di marginalizzazione e solitudine spesso si rivelano una rete di supporto fondamentale. Minimizzare il loro contributo, contrapponendolo alla presunta superiorità della socializzazione negli ambienti “reali”, è spesso un altro modo di stigmatizzare ciò che appare diverso.