Il 17 maggio, l’Italia non ha firmato insieme agli altri Stati Membri la dichiarazione per il miglioramento delle politiche europee a favore della comunità LGBTQIA+ affiancandosi alle posizioni discriminatorie di Ungheria, Bulgaria, Lettonia, Croazia, Repubblica Ceca, Lituania, Slovacchia e Romania.
La difesa del Governo è debole: esso si fa scudo con l’adesione del 7 maggio alla dichiarazione europea contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia. Così facendo, il Governo decide che cosa è discriminatorio e che cosa è semplice scherno o “di nicchia”. Ciò significa che la nazione si dichiara contro le forme di discriminazione unicamente verso alcuni orientamenti sessuali, ma esclude che altri fattori possano essere motivo di odio ed emarginazione.
Nonostante il documento proposto dal Consiglio dell’UE abbia delle linee-guida molto generali e si concentri ad ampio spettro sulla tutela dei diritti della comunità LGBTQIA+, la mancata firma dell’Italia indica una presa di posizione sul tema nella scena europea che teoricamente fa collidere lo Stato con alcuni diritti fondamentali dell’Unione Europea unanimemente firmati dagli Stati Membri (tra cui anche l’Italia).
Il ministro Tajani: la teoria del gender e i diritti degli omosessuali sono due cose diverse
Alcuni ministri si sono pronunciati sulla scelta del Governo, motivando il dissenso con varie ragioni ma distogliendo l’attenzione sul punto più importante: la firma mancante fa pensare che alcune persone possano decidere che cosa sia discriminatorio per altri e non solo per loro stessi.
Il ministro Tajani la butta sui tecnicismi: “non confondiamo la teoria del gender con i diritti delle coppie omosessuali, i diritti delle persone omosessuali. […] La teoria gender non c’entra nulla”. Sono affermazioni che fanno pensare che i soli ad essere discriminati siano gli omosessuali. Ma forse non si è ancora in grado di vedere forme di odio anche verso chi si sente donna e invece continua ad essere preso in giro o ad essere considerato un uomo, cioè verso chi ritiene che il proprio sesso non coincida con la personale identità di genere.
La ministra Roccella contro la sinistra malefica, codarda e forse anche pigra
La ministra Roccella vede nella proposta europea una specie di sotterfugio della sinistra: “Ancora una volta la sinistra non ha il coraggio delle proprie posizioni e preferisce nascondersi dietro le solite bugie. […] La sinistra usa la lotta contro le discriminazioni legate all’orientamento sessuale per nascondere il suo vero obiettivo, il gender”.
Poi aggiunge: “Non firmeremo nulla che riguardi la negazione dell’identità maschile e femminile. Se la sinistra ed Elly Schlein vogliono riproporre la legge Zan, il gender e la possibilità di dichiararsi maschio o femmina al di là della realtà biologica, abbiano il coraggio di dirlo con chiarezza”.
Una linea politica che non si smentisce
D’altronde, tali affermazioni (soprattutto quelle della Ministra Roccella) non sono altro se non la riconferma della linea politica da tempo tracciata da questo Governo, sono frasi che certamente ben si sposano col tema della famiglia tradizionale e della necessità di far combaciare sesso biologico ed identità di genere a tutti i costi, come se l’eventuale disuguaglianza sia una piaga da debellare.
Ma forse ci si è allontanati dal punto focale della discussione: l’identità di genere può non rispecchiare il sesso biologico, e non deve esserci una coincidenza obbligata solamente perché per alcuni tale scissione può risultare “contro natura”. Spesso si abbassa la disquisizione ad un livello vergognosamente carnale, come se si volesse equiparare l’uomo all’animale. Ma la differenza tra i due è che l’uomo è in grado di domare i suoi istinti ed è dotato di intelletto. Quest’ultimo dovrebbe permettere a tutti di affiancare alle proprie idee una pluralità di prospettive da considerare ed accettare senza riserve.
D’altronde accordare più diritti alla comunità LGBTQIA+ non comporterebbe alcuna conseguenza nella società (se non ancora grandi difficoltà per chi vorrebbe l’effettivo rispetto degli stessi, un passo sicuramente non semplice da compiere per chi è ancora dubbioso ed intenzionato a diffondere odio).
È un dato di fatto che l’assenza di una nuova discussione per un nuovo ddl Zan è dovuta non al disinteresse sull’argomento (c’è una forte avversione verso il ritorno di una proposta simile, dunque il tema è negativamente sotto i riflettori), ma al fatto che chi governa non è ancora pronto ad aggiungere un nuovo punto di vista ai concetti di odio e discriminazione.
La posizione del Governo sul tema è chiara, ma essa spingerebbe ad aprire un’inutile discussione sul che cosa può essere considerato un’offesa e che cosa è un’innocua battuta di spirito assolutamente non oltraggiosa: chiunque può ritenere offensive delle parole che per altri possono essere del tutto innocue, ma non per questo bisogna stabilire chi deve essere tutelato e quale offesa è punibile. Ancora una volta sono stati posti dei paletti alla libertà di essere sé stessi. Una fetta della popolazione non è protetta solamente perché qualcuno stenta a trattare delle offese come tali.
Andrea Ruzzeddu