Competenze emotive a scuola: approvata la didattica per insegnare le “life skills”

Competenze emotive

È dello scorso 20 gennaio, la notizia dell’approvazione, in Senato, di un disegno di legge riguardante l’introduzione delle cosiddette “life skills” all’interno della programmazione scolastica.

Le competenze emotive saranno introdotte a partire dall’anno scolastico 2022/2023. È prevista, per le scuole secondarie di primo e secondo grado che ne faranno domanda, una sperimentazione triennale che vede l’incremento delle life skills attraverso la didattica. Si tratta di competenze non cognitive che aiutano, nell’individuo, comportamenti positivi e di adattamento, permettendogli di far fronte alle sfide della vita e della quotidianità. Parliamo di capacità come gestione dello stress e delle emozioni, empatia, creatività, pensiero critico, comunicazione efficace, problem solving e simili.

Obbiettivi importanti

Fra gli obbiettivi della proposta di legge troviamo:

…migliorare il successo formativo prevenendo analfabetismi funzionali, povertà educativa e dispersione scolastica.

Si punta a ridurre il pericolo di povertà educativa e dispersione scolastica perché, incrementando le competenze emotive, si aumenta, indirettamente, la consapevolezza circa l’importanza dell’istruzione e della conoscenza. Ma i vantaggi impliciti di tale consapevolezza sono anche molti altri.

La lista delle life skills era stata stilata, per la prima volta, nel 1993 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Le competenze sono tuttora le stesse, ma è cambiato il modo in cui esse vengono proposte e incrementate nei bambini e negli adolescenti.

E di incremento si parla, non di introduzione, perché le capacità sopra elencate non sono nozioni da introdurre nel processo di apprendimento ma competenze innate, già potenzialmente presenti nell’individuo, che richiedono di essere allenate e utilizzate in maniera conscia e razionale.



I due nodi dai quali far dipanare le competenze emotive

Perché questo accada bisogna lavorare su due livelli: il pensiero critico e l’intelligenza emotiva. Sono questi i due nodi principali da cui far dipanare tutti i fili che rappresentano le diverse skills

Il pensiero critico riguarda la capacità di apprendere non in maniera passiva ma ponendosi degli interrogativi e mettendo in discussione ogni nozione per confutarla o confermarla. Vuol dire apprendere criticamente e conoscere il mondo attraverso la propria esperienza.

L’intelligenza emotiva, invece, riguarda la gestione delle emozioni e dei rapporti di reciprocità con l’altro, elementi fondamentali per l’individualità di ognuno e per l’inserimento in una società umana.

Sono, come si è già detto, capacità da stimolare e non da introdurre.  Ci si propone, quindi, di far ciò parallelamente all’introduzione delle cognitive skills.

La parola d’ordine è “unire”. Si vuole unire i due tipi di competenza invece che separarli, rendendoli interdipendenti e complementari. Si parla, infatti, di “didattica cooperativa”, una strategia educativa già attiva e utilizzata, negli ultimi tempi, in vari contesti e occasioni che, con l’introduzione della sperimentazione, si appresta a diventare non più l’eccezione ma la regola.

I “pro” delle competenze emotive

I vantaggi che la sistematizzazione di questo approccio educativo potrebbe portare sono abbastanza ovvi, soprattutto in un momento storico come quello odierno.

Dopo una pandemia come quella che ancora stiamo combattendo, si è dovuto prendere coscienza di quanto l’incertezza e l’imprevedibilità siano fattori esistenziali imprescindibili. Imparare a gestirli è una delle prerogative fondamentali della vita. Ci si è anche accorti che a fare le spese maggiori del gigante imprevisto che stiamo affrontando sono stati i bambini e gli adolescenti, privati di una continuità della vita scolastica e sociale che sarebbe tra i loro diritti fondamentali. Il senso di spaesamento che ciò ha provocato nelle fasce più giovani della popolazione è sotto gli occhi di tutti. Fornire strumenti cognitivi ed emotivi utili a fronteggiare qualsiasi tipo di sfida esistenziale, grande o piccola che sia, potrebbe essere la chiave per alleggerire le nuove generazioni dei problemi del presente e tracciare il disegno di una società futura più empatica e propositiva, meno conflittuale, in qualche modo.

Più empatia per il futuro

Tali strumenti sono da ricercare nelle già citate capacità di creatività, problem solving, gestione dello stress, pensiero critico e soprattutto, empatia. Quest’ultima, in particolare, è la grande protagonista dell’auspicato cambiamento. Perché essa è fra le caratteristiche più umane ma meno valorizzate ed allenate del mondo che attualmente abitiamo.

Trasformare la società individualista che abbiamo creato attraverso l’allenamento di una facoltà innata e istintiva come l’empatia è la sfida che, attraverso questa nuova strategia educativa, ci si auspica di vincere.

La speranza è che le nuove generazioni riescano a costruirsi un futuro sano.  E per far ciò bisogna partire dal riconoscere e dare voce alle proprie e altrui emozioni. Solo così si può usarle, a proprio vantaggio, nella risoluzione di ogni tipo di problema.

Fino a qualche tempo fa, un discorso del genere sarebbe stato utopia. Oggi, probabilmente, si sta andando nella direzione giusta perché si concretizzi e diventi realtà.

Assunta Nero

 

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