Commercio equo e solidale: storie, critiche e sfide di un’utopia possibile

Commercio Equo e solidale

Da oltre un anno a questa parte, a causa della diffusione del virus Covid-19, stiamo assistendo ad un disfacimento del sistema economico globale o, meglio, ad un crollo dei suoi fondamenti capitalisti, che ci appaiono più che mai insostenibili. Si tratta di una scossa che minaccia vite umane, lavoro e mezzi di sussistenza, ma anche di uno sconvolgimento che può permetterci di plasmare il modo in cui le nostre economie si riprenderanno, lottando affinché siano le persone e il pianeta al primo posto e al centro di un nuovo sistema da costruire insieme. È in questa direzione che si muovono le imprese del commercio equo e solidale, lavorando a fianco dei produttori, degli artigiani e dei contadini e di tutti i diversi partner commerciali coinvolti nel settore, nel tentativo di creare un’economia basata sul benessere umano e planetario che si opponga al circolo vizioso che crea e alimenta disuguaglianza sociale e povertà radicata.

Oggi, 8 maggio 2021, si celebra il World Fair Trade Day, ma che cosa si intende quando si parla di commercio equo? Quali sono le sue origini, le sue battaglie e i suoi principi? E, soprattutto, in cosa consiste il suo operato?




Il commercio equo e solidale in Italia e nel mondo

Per commercio equo e solidale si intende una forma di commercio globale alternativo, etica e sostenibile, che si pone l’obiettivo di mettere al centro del proprio operato il benessere dei produttori e di tutti i suoi dipendenti e il rispetto del territorio e dell’ambiente, garantendo forme di retribuzione, salvaguardia e tutela eque. Il primo scopo di questo tipo di commercio consiste nel ridurre al minimo la catena di intermediari, spesso lunga, complessa e tutt’altro che trasparente, che si snoda tra produttori e consumatori.

Le prime esperienze di commercio equo e solidale nacquero tra anni Quaranta e Cinquanta in nord Europa in seno a organizzazioni non governative (ONG) e gruppi religiosi di missionari che intrattenevano relazioni, anche di carattere commerciale, in diversi paesi allora chiamati del Sud del mondo. Inizialmente, si trattava di scambi commerciali per lo più incentrati sulla compravendita di oggetti artigianali che venivano commercializzati in Europa  all’intero di circuiti parrocchiali e di beneficenza. Già a partire dagli anni Sessanta il commercio equo e solidale cominciò a costituirsi come un vero e proprio movimento, la cui filosofia si condensava nello slogan “Trade not Aid”, ovvero “commercio non aiuti”, e puntava il dito contro l’impero commerciale delle multinazionali in enorme crescita e contro la diffusione del sistema economico neo-imperialista. Nel 1965 venne istituita la prima Organizzazione del Commercio Alternativo (ATO) e  diverse associazioni e ONG avviarono partnership e progetti nei paesi in via di sviluppo, inaugurando botteghe e negozi all’interno dei quali venivano venduti i prodotti direttamente ai consumatori, sostenendo così i produttori indipendenti.

Negli anni Ottanta il sistema del commercio equo e solidale crebbe ulteriormente grazie alla nascita della prima certificazione ufficiale dei prodotti del commercio equo e solidale, un’etichetta apposita ottenibile solo attraverso il rispetto di determinati standard e assidui controlli sulla qualità e la trasparenza della filiera di produzione e diffusione. La prima certificazione di questo tipo, chiamata Max Havelaar venne registrata dal prete olandese Frans van del Hoff in collaborazione con l’economista Nico Roozen nel 1988, ma ben presto le singole realtà nazionali o locali di commercio equo cominciarono ad unirsi dando vita ad organizzazioni internazionali. Tra queste, tra anni Ottanta e Novanta, sorsero la Fair Trade International, che si occupa di certificare che le aziende produttrici rispettino i principi del commercio equo e solidale, e la World Fair Trade Organization (WFTO), la maggiore organizzazione a livello mondiale, oggi diffusa in 76 paesi con oltre un migliaio di imprese sociali coinvolte e punti vendita attivi.

In Italia il commercio equo e solidale si diffuse soprattutto a partire dagli anni Novanta, con la fondazione di centinaia di cooperative e associazioni e grazie allapertura di diversi punti vendita. Nel nostro paese, oggi, il movimento del commercio equo e solidale è rappresentato dalle organizzazioni Equo Garantito, Fair Trade Italia e Associazione Botteghe del Mondo, che da anni lavorano, tanto all’estero quanto sul territorio nazionale, nel tentativo di trasformare l’economia facendo economia, affrontando i temi fondamentali dei diritti umani, della lotta alla disuguaglianza sociale e alla discriminazione razziale, economica, religiosa e di ogni orientamento sessuale, lavorando con impegno per costruire un mondo, e non solo un commercio, più equo e solidale.

Le ragioni dell’enorme successo del commercio equo e solidale, che in pochi decenni si è diffuso in tutto il mondo, risiedono non solo nella qualità e nell’originalità dell’offerta ma, soprattutto, nell’aspetto politico e sociale dell’operato delle imprese coinvolte nel settore, ovvero la lotta contro le strutture della grande distribuzione internazionale privilegiando la piccola distribuzione e  coinvolgendo all’intero della filiera paesi del mondo e gruppi sociali emarginati e perfino estromessi dal commercio internazionale. Oggi come allora, le realtà del commercio equo e solidale si impegnano per sostenere le modalità di produzione artigianali, favorendo la formazione di cooperative o altre forme di associazione tra i piccoli produttori e promuovendo l’uso di materie prime locali e il mantenimento in loco dell’intero ciclo produttivo, nonché per garantire trasparenza ed equità nella determinazione della retribuzione ai produttori e nel prezzo di vendita dei prodotti. 

I fondamenti del commercio equo e solidale

Dopo decenni dalla prima stesura di una linea guida, nel 2018 la World Fair Trade Organization, in collaborazione con Fair Trade International e con diversi attori del settore, ha stilato e pubblicato un documento ufficiale noto come Carta Internazionale del Commercio Equo e Solidale, che definisce i principi, gli obiettivi e i valori fondanti del lavoro nel settore del commercio equo.

Nel contesto italiano, in particolare, le imprese di commercio equo, oltre ad aderire alla Carta Internazionale, si sono dotate fin dal 1999 di una Carta Italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale, che nel tempo si è trasformata di pari passo al percorso del commercio equo in Italia, ridefinendo ed ampliando i rapporti tra produttori, esportatori e distributori, nonché i propri obiettivi e criteri generali, anche per far fronte alle nuove sfide del mondo e del mercato globale.

I dieci principi fondamentali del commercio equo e solidale definiti dalla WFTO sono:

  1. Creare opportunità per produttori economicamente svantaggiati. Lo scopo è quello di supportare i piccoli produttori indipendenti verso una completa autonomia, riducendo insicurezza economica e conflitti.
  2. Trasparenza e responsabilità. Le imprese di commercio equo e solidale sono tenute a dimostrare trasparenza e correttezza nelle relazione commerciali e nell’amministrazione interna, garantendo canali di comunicazione adeguati ed efficienti.
  3. Pratiche di commercio equo e solidale. Tali pratiche rimandano all’impegno dei lavoratori del settore a livello etico, affinché vengano sempre esercitate correttezza e sensibilità nei confronti di tematiche sociali, economiche ed ambientali nel rapporto con i produttori e in tutte le fasi della filiera.
  4. Pagamento a un prezzo corretto. Il pagamento equo è costituito da prezzi equi, stipendi equi e stipendi medi locali e deve essere negoziato liberamente  e concordato reciprocamente da tutte le parti coinvolte.
  5. Assicurare che non venga impiegata manodopera minorile o manodopera forzata. Tutte le imprese di commercio equo aderiscono alla Convenzione Europea sull’Esercizio dei Diritti dei Minori e alle legge nazionali e
    locali sullo sfruttamento del lavoro minorile e si impegnano a monitorare costantemente i propri progetti affinché tale principio venga osservato e rispettato.
  6. Impegno verso la non discriminazione, l’uguaglianza di genere e la libertà di associazione. Il commercio equo e solidale si schiera apertamente contro qualsiasi forma di discriminazione nell’assunzione, remunerazione, promozione, terminazione di contratto o pensionamento sulla base di razza, casta, origine nazionale, religione, disabilità, genere, orientamento sessuale,
    appartenenza a sindacati, affiliazione politica, condizioni mediche o età.
  7. Assicurare buone condizioni di lavoro. Le imprese del settore sono chiamate a monitorare attentamente gli ambienti lavorativi di tutte le parti coinvolte nella filiera, impegnandosi nel migliorare le condizioni di lavoro e le pratiche di salute e sicurezza.
  8. Fornire la possibilità di formare competenze. Rafforzare le capacità è uno degli obiettivi centrali dell’operato del commercio equo e solidale, raggiungibile fornendo adeguate risorse ai produttori marginalizzati.
  9. Promuovere il commercio equo e solidale, ovvero far sì che le esperienze, le visioni e i progetti si diffondano con lo scopo di stimolare il dibattito e la consapevolezza dei consumatori rispetto alle tematiche centrali affrontate dal commercio equo.
  10. Rispettare l’ambiente. Le imprese del commercio equo e solidale sono chiamate ad impegnarsi nell’utilizzo di materie prime locali e provenienti da fonti gestite responsabilmente, nonché nell’impiego di fonti energetiche rinnovabili ove possibile, con lo scopo di ridurre al minimo la propria impronta ambientale.

Vecchie battaglie e nuove sfide

Nel corso degli anni il movimento del commercio equo e solidale, posto davanti a critiche e nuove sfide, è stato in grado di modificarsi ed è ancora in perenne trasformazione, accostando ai suoi principi e capisaldi nuovi obiettivi e nuove consapevolezze. Ne è un esempio la riflessione sul fatto che la dicotomia nord e sud del mondo non sia più in grado di restituire un affresco reale della società e che, piuttosto, vada accostata al binomio centro-periferia, che restituisce con più chiarezza i limiti e gli orizzonti della disuguaglianza sociale nel mondo, fatto che ha portato molte cooperative di commercio equo a guardare più attentamente anche al proprio territorio e alle sue problematiche.

Tra le molteplici e complesse conseguenze della pandemia, è emerso anche un processo di ridefinizione di quelle che sono le nostre priorità, tanto dal punto di vista personale e individuale quanto dal punto di vista comunitario, collettivo e mondiale. Tra queste, spicca per importanza e urgenza la questione ambientale, rispetto alla quale è possibile intervenire solo mettendo in atto un profondo e radicale mutamento dal punto di vista socioeconomico. In questo senso, il commercio equo e solidale, il cui approccio guarda tanto alla dimensione sociale e culturale quanto a quella economica, si propone come un'”utopia possibile”, che ha più che mai bisogno di essere sostenuta e incentivata per poter continuare il proprio lavoro all’interno di tale processo di trasformazione e transizione. Per quanto la crisi scatenata dalla pandemia stia colpendo severamente in tutto il mondo, infatti, sono ancora una volta le comunità economicamente e socialmente emarginate ad affrontare la sfida più dura, ed è proprio all’interno di queste che le imprese del commercio equo e solidale rimangono, oggi più che mai, profondamente impegnate.

Marta Renno

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