La politica è mandato a rappresentare o, nell’era dei social, è orientare le proprie scelte in base anche agli umori e ai commenti negativi espressi dagli utenti su Facebook e Twitter?
Sui principali quotidiani nazionali, in questi giorni, si legge che i vertici della comunicazione del Movimento 5 Stelle starebbero rivedendo le loro posizioni in merito all’accordo con il Partito democratico. La causa di questo cambio di rotta sarebbe l’esorbitante numero di commenti negativi sui social. La Repubblica parla addirittura di “terrore dei vertici 5 Stelle per i commenti social”. Il Corriere della Sera fa riferimento alla rivolta social “che fa tremare i vertici”, presentando addirittura come ormai poco probabile l’ipotesi di sottoporre la decisione al voto sulla piattaforma Rousseau.
“L’80-90% degli elettori è contrario all’accordo con il Pd”
Il Fatto Quotidiano, da parte sua, cita anche le percentuali che starebbero mettendo in crisi il Movimento 5 Stelle. Allude ad alcuni rapporti riservati che gli esperti della comunicazione social dei pentastellati avrebbero fatto recapitare direttamente a Luigi Di Maio. “L’80-90% degli interventi è contro l’accordo” sarebbe il dato definitivo sui commenti negativi della rete.
Viene da interrogarsi sulle possibili interpretazioni di queste cifre. La domanda è una: queste percentuali significano qualcosa? Il Sole 24Ore, quasi contemporaneamente, sembra rispondere con un sondaggio realizzato insieme a Winpoll. In generale, al di là dei commenti negativi sui social, solo il 43% degli elettori grillini sarebbe comunque a favore dell’accordo con il partito guidato da Nicola Zingaretti.
Dati che vanno considerati?
Chiaramente, questi numeri non si traducono in una volontà della base politica di organizzare in fretta e furia il matrimonio giallorosso, riparatore di un’avventata crisi di governo d’agosto. Ma le percentuali di cui si parla sono fuorvianti. Orientare su queste interpretazioni la propria strategia politica sarebbe una cattiva lettura della realtà e, quindi, della volontà dei propri elettori.
Dai sondaggi alla sentiment analysis
Più che altro, emerge la necessità di interrogarsi sul ruolo della politica, dei sondaggi e della cosiddetta “sentiment analysis”. Si tratta di un metodo che si occupa di costruire sistemi per capire come siano orientate le opinioni di chi scrive, in base al linguaggio che utilizza. L’analisi testuale di questo tipo è utilizzata in un gran numero di settori. In primis in politica, ma non ne restano esclusi i mercati azionari, l’ambito sportivo e tutto ciò fondamentalmente su cui le persone esprimono un’opinione come utenti, ma anche come potenziali consumatori, fruitori di un servizio e, non da ultimo, elettori.
I politici, una volta attenti ai sondaggi, oggi sembrano sempre più ossessionati dai numeri, dalle interazioni, dal cosiddetto “engagement” creato dai loro contenuti social. Fare politica con i sondaggi non è di certo la strategia vincente. Come dimostrato più volte, le urne hanno dato un risultato diverso da quello prefigurato dagli istituti di ricerca. A maggior ragione, fare politica con l’analisi delle opinioni sui social e dei commenti negativi, per quanto possa sembrare avveniristico, rischia di essere ancora una volta l’ennesima fuorviante rappresentazione della realtà.
E gli account fake?
Il fenomeno, poi, va descritto prendendo in considerazione anche l’orda di falsi profili e bot che intervengono nel dibattito online e, come denunciato dalle 400 pagine di rapporto Mueller nel caso delle elezioni presidenziali statunitensi, cercano di spostare consensi tramite Facebook, Instagram e Twitter. Gli Stati Uniti non sono l’Italia, ma sono forse il più grande laboratorio di comunicazione politica al mondo, in grado di far riflettere sulle tendenze del settore.
A proposito di Stati Uniti, un interessante servizio dell’emittente CBS in merito all’impatto delle fake news sullo spostamento dei consensi
L’astroturfing non è una strategia nuova
L’analisi del sentimento sui social e delle sue correlazioni con ciò che uno vota in cabina elettorale è, a questo punto, inquietante. Se la scala di valutazione è il “sentiment” sui social significa che un processo di astroturfing politico potrebbe davvero indirizzare le scelte politiche dei prossimi giorni e dei prossimi mesi. Quest’ultima è una tecnica che porta alla creazione a tavolino del consenso proveniente dal basso, della memoria o della storia pregressa di un’idea, un prodotto o comunque qualsiasi bene oggetto di propaganda (bene di consumo, candidato alle elezioni, etc.). Spesso si parla di astroturfing quando c’è una retribuzione a fronte della creazione di un’idea positiva intorno al bene da promuovere. Quello che oggi praticamente fanno gli influencer per i vari prodotti sui social, in realtà, è una professione che risale agli anni Ottanta e praticamente all’era analogica.
Il pericolo delle bolle ideologiche: sui social leggo solo ciò che è affine alle mie idee?
In occasione delle elezioni dello scorso anno, la Società Italiana di Studi Elettorali aveva portato avanti insieme a Repubblica un’interessante analisi relativa alle bolle ideologiche e al concetto secondo cui i social media funzionino come “camere dell’eco” (che traduce l’inglese echo chambers). L’istituto partiva dall’idea che gli utenti utilizzassero i social soprattutto per uscirne rinfrancati nelle loro convinzioni politiche. Avrebbero interagito quindi solo con contenuti e utenti allineati alle loro idee. Si tratterebbe di una questione molto delicata per la democrazia, per il pluralismo e per la presunta illusione di libertà che vigerebbe su Internet.
Dati non così allarmanti
L’ultima rilevazione in merito risale al 2015, ma non riportava comunque dati allarmanti. La ricerca riguardava dieci democrazie occidentali e le idee politiche circolanti sul web. Gli italiani che in realtà incontravano sul web opinioni discordanti rispetto alle loro erano molti di più (34%) di quanti vedevano solo idee simili alle loro (25%). Negli incontri a faccia a faccia le opinioni concordanti e discordanti erano invece pari (33%).
E’ una scelta politicamente responsabile dare così tanto ascolto ai social?
Resta quindi da capire se davvero i vertici della comunicazione pentastellata si affideranno in toto a questi strumenti per portare avanti le loro trattative e arrivare al nuovo esecutivo o alle nuove elezioni. Per come si è sempre definito il Movimento 5 Stelle, la partecipazione attiva dell’elettorato alle scelte di chi siede in Parlamento è un tratto caratterizzante. Ma ha senso che un idraulico, un geometra, un casalingo, uno studente, un medico si esprimano su questioni tecniche complesse? Non hanno votato alle elezioni appunto per demandare le decisioni ai loro rappresentanti? Hanno la lungimiranza politica e la visione d’insieme per la sopravvivenza del paese, se non almeno del loro partito?
Democrazia diretta o irresponsabilità?
In questo dibattito entra infatti in gioco il valore della rappresentatività, insieme a quello della democrazia indiretta del nostro Paese. Una volta l’elettore dava mandato a un politico una tantum, con i pro e i contro legati al tanto discusso vincolo di mandato. Oggi, invece, il costante monitoraggio dell’opinione attraverso il dato vivo dei commenti social sembra portare alla schizofrenia dell’azione politica. Si vota per demandare le decisioni sull’economia, la società e gli equilibri politici a persone ritenute idonee e competenti di decidere in autonomia oppure si preferisce scomodare l’elettorato in ogni minima decisione? Lo si fa nel nome di una presunta trasparenza, che rischia però di essere irresponsabilità politica.
Elisa Ghidini