Come tradurre in azione il motto “uniti ce la faremo”? Marco Landi ce lo insegna

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Tutto il mondo si ferma, si stringe in un moto di introversione attorno al guscio della propria casa.

A dispetto del “solo uniti ce la faremo“, le persone si isolano e tentano, chi con l’ottimismo ingenuo, chi con il pessimismo nichilista, di affrontare questa inaudita situazione.




Come abbiamo già ampiamente sottolineato su queste pagine, la quarantena non è un romantico ritiro nel paradiso artificiale della propria dimora, in pausa dal mondo. La quarantena non è uguale per tutti. Soprattutto se le tue condizioni di lavoro e di vita sono così precarie da essere appese al filo del giorno per giorno. Proprio per questo una ripresa è possibile solo ascoltando il mantra “uniti ce la faremo“.

Dove l’insicurezza cuoce lentamente la quotidianità, si può stare certi che ci sia sempre nascosto, un po’ defilato, un qualche imprenditore che, come una iena che cerca di rubare il cibo ai leoni malati, si arrabatta e si sfrega le mani sopra l’immenso profitto che può tirare fuori dalle paure e dai cambiamenti delle abitudini etero-imposti. Così si comportano i vari imprenditori alla Urbano Cairo, che, in questi giorni, tentano di galleggiare sulla malattia coprendo d’oro la merda.

Ma, occorre dirlo, soprattutto in questo Paese in cui sembra che ogni imprenditore si diverta a fare la parte dell’Omino di Burro nel Pinocchio di Collodi: la nostra società è mantenuta in piedi anche dal contributo decisivo dei piccoli imprenditori, non solo in termini fiscali, ma anche in termini sociali. Molti titolari di piccole-medio imprese sono lavoratori sinceramente mossi da uno spirito di iniziativa, che è vero motore umano, e da un forte senso di gruppo e appartenenza sociale.
E, poiché siamo stufi di brutte notizie, gettate – anche, ma certamente non solo – per fare audience, è fondamentale raccontare anche i piccoli grandi esempi di imprenditori in controtendenza.

La storia di Marco Landi

È la storia, ad esempio, una fra tante, di Marco Landi, sinceramente innamorato del suo lavoro, titolare di una piccola impresa nell’imolese, la Zinc-Crom, che si occupa di zincature. «Lavoriamo a stretto contatto con un’azienda che produce dispositivi biomedicali e, perciò, abbiamo avuto la possibilità di continuare l’attività anche in questo periodo» dice Landi.

Marco definisce il suo lavoro il fiore all’occhiello della sua esistenza. Lavora a stretto contatto, in un rapporto amicale con i suoi 12 operai dipendenti, tutti stranieri esclusi i suoi due figli, e, esclusi due, tutti con contratto a tempo indeterminato. La passione ostentata per il suo lavoro e per il suo team di lavoro l’ha portato ad agire, prima di tutto, per il bene e la sicurezza dei suoi collaboratori. Una trasparenza e dedizione al lavoro che Marco cerca di trasmettere ai suoi due figli che lavorano con lui in officina a stretto contatto.

Doppia azione

Così, Marco ha sottoscritto, con orgoglio e senza rimorsi, una polizza assicurativa per tutti i suoi dipendenti della validità di un anno, la quale fa corrispondere al dipendente, qualora dovesse risultare infetto dal coronavirus, una diaria giornaliera e una serie di tutele sia durante sia dopo il ricovero. L’operaio della sua azienda, quindi, in caso dovesse ammalarsi, perché, ricordiamolo, continua ad andare a lavorare anche di questo periodo, riceverà un’indennità per tutto il periodo di guarigione e rimessa.

Prima del guadagno, prima dell’economia, Marco ha posto la salute e l’onesta nei confronti dei lavoratori, perché, precisa, «in qualità di titolare, sono direttamente responsabile della loro serenità e salute». Si è preso alla lettera Marco. E così, nei primi periodi di blocco, quando non si sapeva chi e come poteva tenere aperto, Marco telefonava i suoi dipendenti direttamente a casa per invitarli a non uscire irresponsabilmente. “Io cercavo di tutelarli, ma, in cambio, mi aspettavo la stessa quantità di sincerità che esprimevo io con loro” dice Landi.

Solo uniti ce la faremo

Inoltre, la scelta di Marco non si esaurisce qui. Molti dei suoi clienti sono chiusi e, perciò, in officina arrivano pochi ordini, molto piccoli spesso. Ha quindi dimezzato la forza lavoro, dividendo i lavoratori in due gruppi: uno lavora per una settimana, l’altro rimane a casa in cassa integrazione. Marco, in accordo coi sindacati, ha deciso di anticipare lui stesso la cassa integrazione ai dipendenti, in modo tale che ricevano lo stipendio lo stesso giorno del mese, e che non debbano pagare loro nessuna pena per questa situazione.

Quando gli chiediamo il perchè della sua scelta, Landi risponde così: «molti hanno famiglia, si sono integrati qua in Italia, altri hanno una ventina d’anni e potrebbero essere i miei figli. Per questo, finché riesco, non lascerò a casa nessuno e garantirò a loro la stessa onestà di sempre, anche in questo brutto periodo» dice Landi. E poi, conclude: «solo uniti ce la faremo, e io voglio restare insieme alla mia squadra di collaboratori».

Io sono convinto che ne esistano altri a bizzeffe come Landi, di imprenditori che si preoccupano non solo della mission aziendale, ma bensì della loro missione sociale.

Questi sono infatti i modi con cui un imprenditore può mostrarsi veramente illuminato, percorso da capo a piedi da un raggio di umanità. L’esempio di Marco ci dimostra che è possibile gestire un’azienda – e i suoi lavoratori – secondo coscienza, che equivale a tradurre in azione il motto “uniti ce la faremo tanto in voga nel 2008, all’epoca della crisi economica, quanto oggi, all’epoca del coronavirus, in cui si fa un gran ciarlare di solidarietà ed equità.

Valori quest’ultimi che rimangono soltanto belle parole da sprizzare sulle orecchie dell’opinione pubblica finché non si capirà che è proprio seguendo l’esempio di Marco, traducendo cioè le parole in azione, che si può dare senso al sacrificio ed energia alle molte realtà imprenditoriali che non si limitano a chiedere una prestazione ai lavoratori, ma li coinvolgono dentro una rete di mutua assistenza.

Dispiace solo constatare che esistono altre imprese, molto più grandi della modesta azienda di Marco, che non solo non garantiscono ai dipendenti nessuna protezione individuale di profilassi, come le mascherine, ma addirittura se ne fregano dei rischi che essi corrono ogni giorno recandosi al lavoro per continuare a garantire cibo a sé stessi e alla propria famiglia.

Ecco, vedete, è quando si ascoltano storie come questa di Marco che è più facile credere che il coronavirus sia solo un pretesto per accorgerci di quanta meraviglia siamo capaci, il punto zero per una rinascita solidale collettiva.

«Solo Uniti Ce La Faremo» continua a ripetere Marco. Anche dopo esserci salutati: ormai quel motto gli appartiene.

Axel Sintoni

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