Il filosofo Bauman ha saputo cogliere le complicate dinamiche della nostra società. Tra queste anche come si creano le discriminazioni al suo interno.
Zygmunt Bauman, filosofo e sociologo polacco è stato forse la figura intellettuale che meglio è riuscita a cogliere le molteplici e complicate sfaccettature della vita attuale, da lui definita come modernità liquida. Nella sua analisi si notano sorprendenti evidenze nei fatti che sentiamo accadere ogni giorno. In particolare nel suo saggio “Il disagio della postmodernità” troviamo risposta all’ondata discriminatoria di cui ormai quotidianamente siamo testimoni.
La sua analisi filosofica parte da molto lontano. Da quegli albori della vita sociale umana in cui si è dovuto scendere a patti contro il caos del tutti contro tutti. A partire da questo compromesso chiamato “contratto sociale” l’uomo ha ceduto la propria libertà individuale in favore dell’ordine e della sicurezza. Un atteggiamento ordinatore che Bauman individua ancora oggi e che risponde a un bisogno ormai insito in tutti noi anche per solo piacere estetico.
Ogni società sceglie le proprie norme da cui derivano complicati sistemi di regole ai quali omologarsi. Un sistema che da sfogo a un bisogno semplice per un equilibrio comune, ma che talvolta rischia di trasformarsi in un regime esclusivo. Secondo Bauman infatti nel momento in cui si crea l’ordine, si crea anche il disordine, ovvero una componente di individui che non vuole o non può omologarsi alle norme. Sono gli stranieri, le minacce dell’ordine.
L’estraneità è inevitabile
Questa estraneità è inevitabile e anzi secondo il sociologo: “l’estraneità non si elimina, si possono eliminare gli estranei comprese le loro strane, paurose e certo pericolose peculiarità”. Una tattica spesso utilizzata in passato contro coloro che non incontravano i canoni sociali. L’esempio più drammatico di questo procedimento è sicuramente la soluzione finale durante il periodo nazista, a causa della quale furono sterminati tutti coloro che non erano ariani.
La cultura e l’etnia non sono gli unici elementi di estraneità. Anche una scelta di vita differente può tradursi in minaccia. Bauman fa l’esempio di un barbone, immagine innocua ma al tempo stesso pericolosa che mina alla solidità dell’ordine. Così come quelle migliaia di migranti che decidono di sfidare le regole imposte dai confini. Ancora più esplicitamente sono diventati stranieri per il loro governo tutti coloro che hanno partecipato alle manifestazioni di Black Lives Matter.
Se pensiamo a come le nostre società ordinatrici hanno cercato di arginare i “problemi” scopriremo che Bauman non ha così tutti i torti. Le violente ritorsioni della polizia contro i manifestanti, i centri di accoglienza sovrappopolati in cui cerchiamo di contenere i migranti e ancora quartieri degradati come Skid Row in cui Los Angeles racchiude da sempre i propri senzatetto, sono solo qualche esempio.
Esiste la speranza di superare questo terrore discriminatorio? Per il filosofo sì e sta nell’abbracciare la diversità. Ciò può accadere solamente nel momento in cui il diritto ad essere ciò che si vuole e come si vuole prevarrà come regola ordinatrice. In questo modo il disordine avrà effetto emancipatore. Rimane adesso un solo quesito filosofico al quale Bauman non può più rispondere: riusciremo mai ad emanciparci davvero?
Anna Barale