Come Salvini e Renzi hanno monopolizzato la scena politica italiana

Come Salvini e Renzi si sono presi la scena politica italiana

L’attuale scena politica italiana, sembrerebbe essere stata monopolizzata da due personalità, Salvini e Renzi, apparentemente contrapposte ma che, nella realtà, possiedono molte cose in comune.

La scena politica italiana, negli ultimi giorni, ha subito un sussulto a causa della decisione di Matteo Renzi di lasciare il Partito Democratico per dare vita ad un movimento tutto suo: Italia Viva.

In tv e sui giornali non si parla d’altro. La scaltra mossa del Senatore di Firenze ha acceso gli animi all’interno dell’opinione pubblica italiana, causando una miriade di polemiche. Da quelle provenienti dagli ambienti interni del suo ex partito alle stesse innescate dai suoi più fedeli sostenitori. Tra questi c’è chi dice che una scelta del genere sia da imputare alla volontà di Renzi di rientrare all’interno dei giochi di potere governativi. Altri sottolineano come il senatore abbia sfruttato l’errore di Matteo Salvini per tornare al centro della scena. Apparentemente, ci è riuscito.

Matteo Renzi è tornato alla ribalta. Lo ha fatto grazie ad una mossa allo stesso tempo scaltra e pericolosa. D’altronde, e questo lo dicono i libri di storia e politologia, per essere un leader occorre non essere delle persone perfettamente equilibrate. Per affascinare gli elettori, riscaldare gli animi, sorprendere i detrattori, ottenere successi e insuccessi. Per fare tutto ciò, c’è bisogno di una personalità fuori dal comune. Un leader deve essere “vittima e carnefice” del proprio destino.

Inoltre, la personalità esplosiva del senatore è, ormai cosa nota. La sua energia, la sua arroganza non dovrebbero sorprendere. Ciò che dovrebbe indurre a farlo, però, è il motivo per cui ha deciso di abbandonare la nave democratica nel momento più delicato di questa legislatura, cercando di travalicare il confine del classico pregiudizio, il quale da diverso tempo ha corrotto il dibattito pubblico italiano.

A questa digressione, come se non bastasse, se ne dovrebbe accompagnare un’ennesima avente ad oggetto un’altra figura di egual spessore. Ovviamente, Matteo Salvini. Il leader del Carroccio resta indissolubilmente legato all’ex Premier, sia per storia politica che per importanza scenica. I “due Mattei”, in poche parole, si son presi la scena politica italiana e, a quanto pare, non hanno nessuna intenzione di restituirla.

Come nella Prima Repubblica esisteva il celeberrimo “bipolarismo” PC-DC, oggi, nella scena politica italiana, si è sviluppato una sorta bi-personalismo. Quello tra Matteo Renzi e Matteo Salvini. Sui giornali, in televisione, in radio sembrerebbero esserci soltanto loro.

Inoltre, entrambi hanno plasmato le rispettive formazioni politiche a loro immagine e somiglianza. Matteo Salvini lo ha fatto con la Lega, Renzi con il derelitto Partito Democratico. Il secondo, però, dopo essere stato defenestrato da Palazzo Chigi e dai vertici dello stesso partito, finendo di fatto ai margini della scena politica del Paese, ha deciso di compiere un gesto che, oltre a suscitare molti interrogativi, lo ha riportato in auge dopo una stagione di anonimato.

La scena politica italiana tra ambizione, arroganza e centrismo

Uno dei motivi per cui Matteo Renzi “ha fatto ciò che ha fatto” è sotto gli occhi di tutti. Ha cercato di ritagliarsi una posizione di potere con cui esercitare la sua pressione sulle decisioni del Conte bis. Ha prima atteso le nomine, poi dopo aver fatto due conti, ha deciso di uscire dal Partito Democratico. Si è già detto che un leader non vuole partecipare passivamente allo stato di cose, bensì vuole prendere delle decisioni. Per dirla in altri termini, non vuole essere giocatore ma vuole schierare la squadra e guidarla.

Un aspetto psicologico davvero importante. Il suo temperamento, e la sua posizione favorevole all’interno dell’ala della maggioranza, gli permetteranno di sperimentare la sua creatura senza il rischio di essere dimenticato.

Inoltre c’è un altro motivo, più personale, che guida una delle scelte più discusse degli ultimi tempi: l’ambizione. Esiste dappertutto, nel calcio, in televisione, nella quotidianità. L’ambizione guida l’uomo verso un miglioramento delle proprie capacità. In politica quest’ultima è molto spesso accompagnata dai rimpianti. E Matteo Renzi di rimpianti ne ha tanti.

L’infelice scelta di personalizzare il referendum (il referenzum) del 4 dicembre 2016 ha portato gli avversari a coalizzarsi contro di lui. Matteo Renzi sa di aver sbagliato e sa che con il suo errore ha permesso ad altri individui politici di rubargli la scena. Una colossale ingenuità che gli è costata la Presidenza del Consiglio. Ora, però, l’astuzia politica abbonda, il carisma non è più un marchio di famiglia, il livello dello scontro (e non del dibattito, attenzione) è molto alto.

Matteo Renzi è un politico naturale, il figlio prediletto della politica italiana di questi tempi. Una politica televisiva, della comunicazione social e del colpo di scena. Sicuramente sessant’anni fa, in piena Prima Repubblica, l’ex sindaco di Firenze avrebbe incollato i manifesti di partito, però oggi no.

Non si sa, ancora, se la sua creatura avrà fortuna o se la sua mossa strategica riuscirà nell’intento. Non si sa se Italia Viva riuscirà a ritagliarsi un pò di spazio all’interno del fronte centrista italiano, assieme a Siamo Europei di Carlo Calenda e a +Europa. L’obiettivo di Matteo Renzi è quello di avvicinare quanto più possibile gli scontenti delle formazioni tradizionali, e in crisi, come Forza Italia. A questo proposito Berlusconi, pur con tutte le precauzioni del caso, ha espresso apprezzamento nei confronti del nuovo progetto del senatore fiorentino.

Fatto sta che la scissione era inevitabile. Matteo Renzi non è mai stato di sinistra, e dopo tanto tempo lo ha ammesso, indirettamente. Il problema sarà cercare di comprendere quali saranno, ora, le sue prossime mosse. Sicuramente, nel breve periodo, non ci saranno altri colpi di scena eclatanti poiché la sua creatura è ancora molto giovane. Nel futuro, però, al di là della ferrea volontà di combattere il suo acerrimo rivale, Matteo Salvini, l’ambizione di tornare al governo, da protagonista, si farà sentire.

Si spera, infine, che questa ambizione non costerà alla bistrattata Italia un’altra insopportabile e lancinante crisi di governo, già sperimentata poco tempo fa a causa di qualche moijto di troppo e di cui il Paese non ne ha proprio bisogno.

L’altro Matteo, quello della Lega

Dopo l’8 agosto, giorno in cui Matteo Salvini ha annunciato l’apertura ufficiosa della crisi di governo, sembrerebbe che il leader della Lega non ne abbia azzeccata più una. Nonostante i ripetuti moniti degli uomini a lui più vicini, il leader del Carroccio ha aperto uno dei periodi più strani e controversi della storia politica dell’Italia degli ultimi anni.

Ora, quasi barcollando nel buio, l’ex Ministro dell’Interno continua a ripetere sempre le stesse parole, gli stessi concetti, le stesse incostituzionali illazioni. Da “poltronari” a “governo non voluto dal popolo”, alla sua retorica da Papeete si va affiancando, in cuor suo, il rimorso per un gesto compiuto a causa della troppa sicurezza maturata guardando il risultato dell’Europee e i conseguenti sondaggi che davano la Lega vicina al 38%.

Apparentemente i due Mattei non avrebbero quasi niente in comune. Uno centrista, l’altro sovranista. Uno euro-entusiasta, l’altro euro-scettico. Invece no. Entrambi sono figli della stessa politica, quella della comunicazione totale, dell’effetto scenico. Entrambi usano in modo quasi smodato i social per comunicare con la propria base. E lo fanno alla stessa maniera, punzecchiandosi a vicenda con messaggi al limite della provocazione.

Matteo Salvini, come il suo omonimo nel 2016, è riuscito nella rovinosa impresa di far crollare tutto quello che aveva costruito. Spinto dall’arroganza ha rovesciato un governo, all’interno del quale aveva l’inerzia dalla sua parte, catapultandosi ai margini del Parlamento. Ed ora, ha monopolizzato le reti televisive per tornare alla ribalta. Entrambi i Mattei sono stati traditi dalla loro ambizione e dalla loro presunta intoccabilità.

Sia chiaro, politicamente sono agli antipodi ma, nonostante ciò, entrambi sono figli della stessa politica, quella televisiva, dell’egocentrismo e del personalismo. Entrambi hanno monopolizzato la scena politica italiana e continuano a farlo. Sono dappertutto: in televisione, in radio, sui social. Entrambi cercano disperatamente visibilità attraverso mosse strategiche al limite della comprensibilità. L’uno si scinde da un partito dopo aver profetizzato l’unità e aver propiziato una “strana alleanza” con il Movimento Cinque Stelle, l’altro per capitalizzare un consistente bottino di consensi ha deliberatamente (e con l’insostenibile leggerezza dell’irresponsabilità) ha fatto cadere l’esecutivo di cui faceva parte.

Matteo Renzi, sfruttando l’errore del suo omonimo, ha colto l’occasione per tornare a contare qualcosa. L’altro Matteo è riuscito a contenere l’emorragia di consensi che nell’ultimo periodo gli ha portato via quasi il 5% del consenso. Entrambi godono di un’ottima abilità politica, di una efficace dialettica e sono arroganti quanto basta per non ammettere mai gli errori commessi.

Sicuramente un dibattito politico coì aspro non giova alla democrazia, ma a loro non interessa. Entrambi si sentono leader nati e vogliono tornare ad esserlo; entrambi hanno toccato il cielo con un dito e sono rovinosamente caduti a causa di un fatale errore. Politicamente distinti ma accomunati da un unico desiderio, quello di tornare a tutti i costi sul gradino più alto della politica italiana. L’uno lo sta facendo ripartendo dal basso, da un nuovo partito; l’altro la butta sulla propaganda. Solo il tempo dirà chi dei due riuscirà nel suo intento, per ora si può soltanto dire che Salvini e Renzi, i due Mattei, hanno monopolizzato la scena politica italiana.

                                                                                                                                                                                                                                                          Donatello D’Andrea

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