Quanto costa realmente l’autonomia differenziata delle regioni? Quali zone del Paese ne beneficerebbero di più e quali rimarrebbero indietro? Ma soprattutto, in che modo l’autonomia differenziata potrebbe spaccare definitivamente l’Italia? Queste e altre domande potrebbero presto aprire una indagine parallela al ciclo di audizioni avviato in questi giorni in Commissione Affari istituzionali a Palazzo Madama, durante le quali sono emerse nuove criticità riguardo al Ddl autonomie.
Le audizioni in corso in questi giorni in Senato hanno evidenziato dubbi e criticità sulla praticabilità del Ddl Calderoli gettando nuove preoccupazioni sul modo in cui l’autonomia differenziata potrebbe spaccare definitivamente l’Italia.
Dopo un ampio dibattito, il governo ha predisposto la bozza definitiva della riforma sull’autonomia differenziata, provocando forti tensioni, soprattutto da parte dei governatori e dei Sindaci di varie Regioni del centro-sud, in particolare per quanto riguarda la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep) che potrebbero determinare delle sperequazioni tra le regioni del nord e quelle del sud Italia.
Nella giornata del 25 maggio, l’economista Luca Bianchi, direttore di Svimez (l’Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno), ha mostrato alla Commissione Affari Istituzionali di Palazzo Madama una simulazione con le conseguenze dell’autonomia differenziata nel Paese, se questa fosse stata realizzata già nel 2017 come richiesto dalla Lega.
Nel triennio 2017-2019 le tre regioni del nord (Lombardia, Emilia Romagna e Veneto) avrebbero ricevuto un surplus tra i 6 e i 9 miliardi di euro, ovviamente a danno delle aree più svantaggiate del resto d’Italia. Dal 2017 ad oggi di cose nel mondo ne sono successe e col senno di poi, non è difficile immaginare che un’Italia autonoma e differenziata alla maniera della Lega avrebbe avuto sicuramente più difficoltà ad affrontare l’urto violentissimo della pandemia e della guerra in Ucraina.
L’impatto dell’autonomia differenziata sul sistema-Paese
Riferendosi al disegno di legge n. 615 e 273 – cosiddetto Ddl Calderoli – durante l’audizione al Senato il presidente di Svimez ha dichiarato che «l’autonomia differenziata delineata dal governo espone l’intero Paese ai rischi di un indebolimento della capacità competitiva per effetto di una frammentazione delle politiche pubbliche».
Secondo Bianchi, l’autonomia differenziata, così come viene proposta dal Governo, delinea uno scenario di crescente “specialità” delle regioni a statuto ordinario «con la conseguente impossibilità di definire politiche coordinate per la crescita e il rafforzamento del sistema delle imprese».
Nel caso specifico delle Regioni del Mezzogiorno, a questo quadro di frammentazione generale, si sommerebbero poi i rischi di un “congelamento” dei divari di spesa pro capite «e un indebolimento delle politiche nazionali tese alla rimozione delle differenze infrastrutturali e di offerta dei servizi».
Infatti, uno dei principali elementi critici del DdL Calderoli riguarda proprio l’assenza di riferimenti espliciti a due aspetti sostanziali tra loro connessi. Il primo è l’individuazione di criteri di accesso specifici al regionalismo differenziato che necessitano di una valutazione accurata e adeguatamente documentata. Il secondo riguarda, invece, le finalità delle concessioni dell’autonomia rafforzata sulle diverse materie, che devono essere in linea con l’interesse nazionale e non con quello particolare delle singole Regioni richiedenti.
L’autonomia differenziata potrebbe spaccare l’Italia a partire dalla sanità pubblica
Tra le materie sulle quali le Regioni possono chiedere maggiore autonomia, il Ddl prevede anche la tutela della salute. Nelle audizioni di questi giorni in Senato, Anaao Assomed (sindacato dei medici e dei dirigenti sanitari italiani), tramite il suo presidente Pierino Di Silverio, ha lanciato l’ennesimo allarme sui rischi per la sanità pubblica connessi all’attuazione dell’autonomia differenziata.
«L’obiettivo – si legge in una nota – del Ddl Calderoli è, in tutta evidenza, quello di trattenere nelle Regioni, o meglio in alcune Regioni, più gettito fiscale, senza nemmeno indicare una soglia massima di compartecipazione al singolo tributo erariale che le Regioni potranno ottenere in sede di intesa».
Ad oggi, le Regioni del Nord danno allo Stato più di quanto ricevono, a differenza di quelle del Sud. Il saldo è negativo per Lombardia (-5090 pro-capite), Emilia Romagna (-2811), Veneto (-2680) e positivo per tutto il Sud (Campania +1380, Calabria +3086, Puglia +2440, Sicilia +2969). «Diminuire, però, le disponibilità di risorse a livello centrale mette a rischio la possibilità per lo Stato di assolvere alle sue funzioni non delegabili e di colmare i divari esistenti in diversi settori, come salute e istruzione» ha rimarcato Di Silverio.
Per Anaao Assomed «decentrare funzioni, senza che nemmeno esistano evidenze, come rilevato dalla Corte dei Conti, per affermare che ulteriori gradi di autonomia nelle disponibilità economiche e nella gestione delle risorse aumentino il grado di efficienza dei servizi erogati, significa legittimare il divario Nord-Sud e frantumare un diritto della persona che la Costituzione definisce fondamentale. Un suicidio sociale oltre e prima che professionale e sanitario. Sottraendo al diritto alla salute una dimensione nazionale si mette in crisi il Ssn e anche un’idea unitaria di Paese, di Repubblica e di Stato».