Vittorio Andrei, alias Cranio Randagio, non c’è più da ormai due anni. La sua storia mescola in un velenoso cocktail dolci ingredienti originati da una meritata ascesa e mostri che non hanno perdonato il fatale errore di una notte: quella dell’11 novembre 2016, quando durante un party, alcool e droga costringono il suo cuore a cedere dopo un ultimo profondo palpito.
La vicenda, che brutalmente gli ha strappato un’intera vita da attraversare sulle note della sua musica, è stata macchiata dall’onta dello stereotipo: il rapper tutto dread e piercing che va a una festa di “ragazzi perbene”, muore di overdose per un mix di droghe che magari lui stesso ha portato, e come qualcuno direbbe, alla fine se l’è cercata.
Eppure, quella che traspare dagli occhi di Vittorio è una profonda bontà, che oggi, mamma Carlotta cerca di raccontarci.
Chi era quindi il ragazzo dietro quel look stravagante? Raccontaci il “tuo” Vittorio.
Vittorio è stato da sempre prima un bambino e poi un ragazzino sorridente, curioso ed estroverso. Era l’amico che tutti volevano avere perché con lui ci si divertiva sempre, era sempre pieno di idee e portava l’allegria, ma nello stesso tempo era sensibile e profondo, quindi, ti ci potevi confidare e aveva sempre una buona parola per tutti. Purtroppo a 15 anni con la morte del padre, suicida, qualcosa si è rotto in lui nel profondo della sua anima e anche se apparentemente non si vedeva , piano piano il suo dolore l’ha portato prima a soffrire di anoressia e poi, evidentemente, a cercare nelle sostanze, anche se solo negli ultimi momenti prima della sua scomparsa, una cura per la sua rabbia e il suo dolore. Vittorio era un vulcano, un fiume in piena, intelligente, curioso, vivace, affettuoso e la sua mancanza si sente in qualunque momento ed in ogni cosa.
Come è nata e come si è evoluta la sua passione per la musica? Sei sempre stata favorevole alla scelta di trasformarla in una professione?
Sin dalle elementari, intorno ai 9 anni, Vittorio ha manifestato una particolare attrazione per il teatro e per la musica, spesso ha partecipato come attore ai miei laboratori con persone svantaggiate sino ad arrivare a formare con alcuni suoi amici un gruppetto rock, dove lui era il cantante, chiamato “la temibile junior band”.
Da lì in poi non ha più smesso, sperimentando di continuo, sino ad approdare alla forma di scrittura rap in Australia, dove abbiamo vissuto per un anno dopo la morte del padre.
Ho sempre sostenuto i sogni dei miei figli, cercando di lasciare loro la possibilità di cercarsi e sperimentare, affiancando anche un “senso di realtà” che non guasta mai.
Le luci della ribalta, nel bene e nel male, inevitabilmente portano ad un cambiamento, coi loro pro e i loro contro. Com’era cambiata la vita di Vittorio, la vostra vita, con l’arrivo del successo? E cosa notavi di diverso, nel bene e nel male in lui? Quei piccoli segnali che solo la sensibilità di una madre riesce a scorgere.
Sai… di successo vero e proprio ancora non se ne poteva parlare, Vittorio stava iniziando a sbocciare proprio nel momento in cui è venuto a mancare. Sicuramente X Factor gli aveva portato un pò di notorietà, le persone lo riconoscevano e lo fermavano, sembrava che Vittorio l’avesse vinto quel talent invece che essere arrivato solo alla soglia della gara.
Forse si, già questo era per Vitto una responsabilità in più, qualcosa con cui fare i conti, ma in fondo era umile e dopo X Factor ha pensato di mettersi a studiare e di crearsi una professione accanto al sogno, e così, si è iscritto e poi laureato in ingegneria audio.
Successivamente c’è stato l’incontro con Squarta che per Vittorio è stato rivoluzionario, una roccia con cui poter lavorare, una grande spalla, una sicurezza…
E’ trascorso un altro anno dalla sua morte, ancora contrassegnata da molti interrogativi. Qual è ad oggi la versione dei fatti fornita dalle indagini? E quale la tua?
Finalmente a distanza di due anni l’indagine è stata chiusa con tre indagati, uno per omicidio come conseguenza ad altro reato (lo spacciatore) e due di favoreggiamento. Attendiamo ora il processo. Importante questa svolta perché se non altro, fa luce sulle responsabilità di chi era con lui, e ha continuato a dire che solo Vittorio era il responsabile. A 21 anni è importante che qualcuno ti fermi mettendoti davanti alle tue responsabilità, forse ti offre una chance di cambiamento.
Sicuramente quelle che si trovavano con lui erano persone che frequentava da poco. Se ci fosse stato anche solo un amico, non sarebbe finita così.
Ancora oggi mi chiedo che cosa sia potuto passare per la testa di mio figlio, Vittorio non era un tossico, anche se aveva sperimentato delle sostanze, e non era neppure uno sprovveduto, ne avevamo parlato mille volte, conosceva la pericolosità, sapeva di avere tante cose da fare e che non poteva permettersi di sballarsi con la roba, era ad un passo dalla realizzazione del suo disco, non lo capirò mai, è un mistero che mi porterò nella tomba e che a volte mi toglie il sonno.
Chi ti è stato vicino in questa vicenda? Hai sentito il sostegno di qualcuno del “mondo della musica”?
Mi sono state vicino molte persone, nel mondo della musica sicuramente Davide Schorty, cantante assai talentuoso e che ancora oggi sento regolarmente come fosse un fratello di Vittorio, e ancora Francesco (Squarta) che da subito si è mostrato presente e che con dolore e dedizione ha portato a termine il disco a cui stavano lavorando insieme ad un altro “compare” di avventura che è Gabbo Centofanti, bassista di eccellenza.
E’ recentemente uscito a posteriori “Come il re leone” album che Vittorio (Cranio Randagio) definì sui social “l’ennesimo pezzo di anima mia” con la collaborazione di nomi importanti come Rancore, Gemello e Sergio Andrei. Cosa ha rappresentato per te questo lavoro? E quale ricordo pensi possa lasciare di Vittorio?
Vittorio stava lavorando al disco “Come il Re Leone” da qualche mese prima della sua scomparsa. Per la prima volta aveva deciso di non mostrarmi nulla del suo lavoro, come era solito invece fare, né testi né musiche. Mi ripeteva che voleva fosse una sorpresa, che questa volta sarebbe stato un disco vero, con una etichetta e che avrei dovuto ascoltarlo, quindi, solo a prodotto finito. Questa cosa non mi convinceva ma stavo al gioco e aspettavo con ansia. Purtroppo si è tutto interrotto bruscamente.
La mattina dopo la morte di Vittorio sono andata all’obitorio e quando ho rincontrato mio figlio, ho sentito la sua voce che mi diceva: “e mò, che faccio? Mammù che faccio con il mio popolo di randagi?”. “Eh – gli ho risposto – ora che vuoi fare? Nulla Vittorio, non ti preoccupare, ora vai, ci penserò io a portare a termine il tuo lavoro”. E così è stato.
E’ stato molto doloroso e finalmente ho capito il perché del suo silenzio. Questo disco è un grido disperato di aiuto, una dichiarazione di una situazione che gli era sfuggita di mano e dalla quale da solo non riusciva ad uscire, ma più volte ha rifiutato il mio aiuto negando qualunque problema.
A differenza di altri rapper che parlano nei loro brani della droga come fosse una cosa meravigliosa e che la inneggiano spingendo l’ascoltatore a farsi, nelle liriche di Cranio Randagio si sente il dolore di essere finito in una trappola, la droga, appunto, e l’alcol, che se in un primo momento erano riusciti a creargli l’illusione di alleggerire le sue sofferenze, successivamente si sono trasformati in una ragnatela che non gli lasciava scampo.
Squarta, quando ci siamo incontrati dopo la morte di Vittorio, mi ha detto che si sarebbe trattato di un disco duro e doloroso, tanto da chiedermi se avessi desiderato comunque farlo uscire. Sono contenta di averlo fatto, anche se mi è costato un enorme doloroso sforzo, perché comunque quelle erano le sue parole, quello che voleva dire al mondo intero, quindi, ho rispettato il suo volere.
Credo che in questo disco Vittorio finalmente avesse raggiunto Cranio, anche se purtroppo non c’è stato tempo per ricevere quell’aiuto che gli sarebbe servito. Di lui, lo capisco dalle tantissime testimonianze che mi arrivano, rimane un ricordo importante. Per chi conosceva Vittorio, quello di un amico speciale, per chi conosceva solo l’artista, quello di una voce profonda che sapeva fare luce sui problemi e che gridava anche per tutti coloro che voce non ne hanno, infondendo coraggio ed un messaggio fondamentale: quello di non mollare mai.