Sono già oltre 200 le vittime dei combattimenti nel nord della Siria. Nel paese vari gruppi armati jihadisti hanno dato vita ad una nuova violenta offensiva verso Aleppo, importante città nel nord del paese e dal 2016 controllata dal regime del presidente Bashar al Assad. I ribelli, organizzati in una alleanza, affermano di aver già catturato decine di villaggi e una delle più grandi basi militari siriane, denominata “Fouj 46″, ad occidente rispetto alla città. La regione interessata è quella di Idlib, l’unica provincia occidentale ancora sotto il controllo dei jihadisti.
Ad incidere sulle iniziali vittorie dei gruppi armati sembra abbia influito anche una certa impreparazione dell’esercito regolare forse colto di sorpresa. Centrale poi la questione degli alleati di Assad ovvero il gruppo libanese Hezbollah, le forze armate iraniane e la Russia di Vladimir Putin. Tutti e tre al momento sono severamente impegnati su altri fronti e questa coincidenza di eventi può aver influito sulla decisione dei jihadisti di avviare adesso l’offensiva contro il regime.
Tutti i gruppi impegnati negli attuali combattimenti nel nord della Siria sono eredi dei gruppi ribelli che nel 2011 parteciparono alla guerra civile che secondo molte fonti è costata la vita ad almeno mezzo milione di persone. Nei comunicati ufficiali dei gruppi militari si legge che l’offensiva in atto è una risposta alle manovre militari aggressive portate dalle forze di Assad nella regione.
Il più numeroso all’interno dell’alleanza è Hayat Tahrir al Sham (Hts) che controlla gran parte della regione di Idlib, non lontana dal confine con la Turchia. Sono sunniti e eredi del gruppo estremista Jabhat al Nusra, in passato anche fedeli ad al Qaida, e fino 2013 nome di copertura dello Stato Islamico in Siria. Attualmente Hts è ostile sia ad al Qaida che allo Stato Islamico.
Nel contempo nella sola regione di Idlib sono presenti tre milioni di civili di cui oltre un milione sono sfollati provenienti da altre parti del paese. Il governo jihadista impone regole molto severe alla popolazione soprattutto sull’abbigliamento delle donne e sulla separazione di genere nelle scuole.
Combattimenti nel nord della Siria, il ruolo della Turchia
Nella regione arrivano aiuti umanitari dalla Turchia, ma sono largamente insufficienti rispetto alle richieste. Rispetto a Mosca la politica portata avanti dalla Turchia è sempre stata più ambigua e in certi casi non ha nascosto il proprio appoggio ai ribelli. Gli aiuti umanitari per la popolazione e l’impegno militare del 2018 per scongiurare che l’esercito regolare torni ad occupare la provincia sono da interpretare in questo senso. Tra i timori di Erdogan anche quello legato alle centinaia di migliaia di siriani che si potrebbero dirigere verso il confine turco in caso la situazione dovesse drasticamente peggiorare.
Sulla posizione del governo turco rispetto ai recenti combattimenti nel nord della Siria non c’è una posizione univoca. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Sohr), organizzazione non governativa con sede a Londra, ma con contatti nella regione, Ankara avrebbe autorizzato l’operazione per aumentare la pressione sul governo di Damasco. Fonti di sicurezza turche hanno invece riferito che l’offensiva farebbe parte di una operazione limitata e con l’obbiettivo di ripristinare i confini interni secondo gli accordi di de-escalation del 2019.
La zona cuscinetto tra Turchia e Siria, decisa nell’ottobre dello stesso anno dal governo di Erdogan assieme a Russia e Iran e a danno dei Curdi, è andata riducendosi in seguito alle conquiste dell’esercito di Assad e al conseguente ritiro verso occidente dei ribelli. Nei primi giorni di fragile tregua tra Israele e Libano i combattimenti nel nord della Siria rendono ancor più preoccupante la situazione in Medioriente. Da decifrare adesso una situazione geopolitica totalmente modificata anche rispetto a soli 5 anni fa. Basti pensare al possibile ruolo di Israele in funzione anti Iran o quello di Putin al fianco di Bashar al Assad.