Combattere la povertà mestruale: buone pratiche dal mondo

Povertà mestruale in Italia

Secondo la Banca Mondiale nel mondo circa 500 milioni di persone si trovano in una condizione di “povertà mestruale”, ovvero nell’impossibilità di provvedere adeguatamente alla propria igiene durante il ciclo mestruale a causa di problemi economici. E contrariamente a come spesso si pensa, i Paesi ad alto reddito non sono esclusi da questa piaga. Mentre l’Italia sembra retrocedere, aumentando nuovamente la percentuale dell’IVA sui prodotti per l’igiene mestruale, altri Paesi offrono utili spunti nel rinvigorire le battaglie per una giustizia mestruale che riduca il divario di genere alimentato da questo fenomeno.

La povertà mestruale in Italia

Un report realizzato da WeWorld raccoglie per la prima volta dati esaustivi sulla condizione dell’Italia in termini di povertà mestruale, portando l’attenzione su un tema spesso sottovalutato. Il 16% del campione di 1400 persone intervistate ha dichiarato di non potere mai o quasi mai acquistare i prodotti mestruali di cui necessita.

È stato calcolato che chi ha le mestruazioni abbia bisogno in media di una quantità che va dai 4.000 ai 9.000 prodotti mestruali monouso, il costo dei quali è inaccessibile per chi già vive in condizioni svantaggiate e si ritrova a dover scegliere tra mangiare o comprare degli assorbenti. Il 50% delle intervistate, inoltre, ammette di aver dovuto rinunciare almeno una volta ad andare a scuola o al lavoro a causa della difficoltà nella gestione delle mestruazioni.

La povertà mestruale, infatti, non riguarda solo l’impossibilità di acquistare i prodotti sanitari necessari ma anche una serie di questioni come la difficoltà di accesso a luoghi idonei a gestire le mestruazioni (bagni sprovvisti di sapone o carta igienica) e l’assenza del riconoscimento di dolori che possono essere invalidanti. Questi fattori rendono ancora più complicato gestire le proprie mestruazioni fuori casa, sul luogo di lavoro o a scuola, portando in Italia a una perdita in media di 6,2 giorni di scuola e 5,6 di lavoro l’anno e contribuendo così ad aumentare il divario di genere nell’accesso all’istruzione e nel mondo del lavoro.

Tampon tax nel mondo

Il problema quindi, al contrario di come spesso si crede, non riguarda solo Paesi a basso reddito. Stati Uniti, Regno Unito e diversi Stati europei affrontano situazioni simili, in quanto spesso i prodotti mestruali continuano a essere equiparati a beni di lusso con tassazioni alle stelle. Attualmente, la cosiddetta Tampon Tax si attesta al 21% in Lettonia, al 24% in Finlandia, al 25% in Croazia e al 27% in Ungheria, per citare solo alcuni esempi. L’Italia, dopo aver raggiunto faticosamente l’abbassamento al 5%, a inizio 2024 ha aumentato nuovamente l’IVA al 10%, allineandosi ad altri Paesi europei come Grecia, Polonia, Slovenia e Austria.

Il Kenya è stato il primo Paese al mondo a eliminare l’IVA su assorbenti e tamponi, nel 2004. È stato seguito da Malesia, Libano, Tanzania, Colombia e altri. L’India, che l’aveva introdotta nel 2017 scatenando le proteste di migliaia di attivisti, l’ha ritirata appena un anno dopo. Molti Paesi non si sono limitati ad azzerare la tassazione sui prodotti mestruali, adoperandosi per la loro distribuzione gratuita in luoghi pubblici, aree remote e rurali, o in tutto il territorio nazionale.

Fornitura gratuita di assorbenti

Proprio il Kenya, nel 2018, ha iniziato a distribuire gratuitamente assorbenti nelle scuole, anche se alcuni attivisti lamentano la discontinuità del servizio e la scarsità dei prodotti. A febbraio 2023 ha fatto scalpore il caso della senatrice presentatasi in Parlamento con i pantaloni macchiati di sangue, il giorno in cui ha presentato in aula una proposta per rendere legge la fornitura nelle scuole di questi prodotti.

Nel 2019 lo Zambia ha introdotto distribuzioni gratuite di assorbenti nelle aree rurali e periferiche, provocando effetti immediati sulla frequenza scolastica delle ragazze di queste comunità. Altri Paesi africani come il Sudafrica, il Botswana e l’Uganda hanno avviato programmi simili, spesso a seguito di campagne portate avanti da attiviste e attivisti, come “Ensuring the DIgnity of Women” in Botswana o “Keep a Girl in School Initiative”, frutto di una collaborazione tra Croce Rossa e governo ugandesi.

In Corea del Sud, il governo ha sperimentato un programma pilota di distribuzione di prodotti sanitari in alcuni spazi pubblici della capitale, in seguito a una maggiore attenzione al tema scatenata dalla diffusione del documentario sulla povertà mestruale “Insole Girls”. Nel 2021 il Messico ha approvato la “Ley menstruación digna”, che prevede la distribuzione gratuita di assorbenti nelle scuole, dopo anni di battaglie del collettivo Menstruacion Digna México, che cerca di promuovere anche più attività di ricerca sul tema e una migliore educazione mestruale tra i giovani.

In Europa, dal 2022 la Scozia è diventata il primo Paese a distribuire gratuitamente tamponi e assorbenti nei luoghi pubblici. In Germania, dove oltre a non essere forniti gratuitamente i prodotti mestruali erano soggetti a una tassazione del 19%, l’azienda Female Company ha avuto l’idea di sensibilizzare il governo e la popolazione confezionando assorbenti all’interno di piccoli libri e applicare l’IVA di questi ultimi (7%). Questo ha contribuito all’abbassamento dell’IVA dal 2020, ma non alla sua eliminazione o alla gratuità dei prodotti in questione.

Il congedo mestruale, buone prassi e criticità

Anche l’assenza di un congedo specifico è una questione che incide sulla povertà mestruale e acuisce il divario di genere, visti i dati relativi alle assenze sul lavoro dovuti alle mestruazioni. Il Giappone è stato il primo Paese a garantirlo, con una legge del 1947. Corea del Sud, Taiwan, Indonesia e Zambia prevedono nelle rispettive legislazioni da uno a tre giorni di permesso al mese, anche se l’applicazione e l’utilizzo da parte delle dipendenti varia in base a diversi fattori. Alcuni datori di lavoro, infatti, offrono compensi a chi sceglie di non utilizzare il permesso; in altri casi, la presenza del congedo ha portato a discriminazioni nelle assunzioni.

La paura di perdere il posto di lavoro o occasioni di avanzamento di carriera ha spesso spinto molte persone a rinunciare a questo diritto, ma il fatto che sia tutelato per legge è comunque un buon punto di partenza. Anche in questo caso l’Italia però non ha fatto grandi passi avanti, ignorando da oltre un anno una proposta di legge sul congedo mestruale e le richieste di una maggiore attenzione alle questioni relative alla salute mestruale portate avanti per anni da attiviste a attivisti.

Clementina Udine

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