La giunta militare del Niger caccia gli americani: cosa succede ora?

Colpo di Stato in Niger: la giunta militare caccia gli americani

Il Niger è un paese africano estremamente ricco di petrolio, fosfati, oro e uranio. Ma la rilevanza di questo Stato non è data dalle sue risorse naturali, quanto dalla sua posizione strategica nella tormentata regione del Sahel, che lo rende un avamposto alla lotta al terrorismo jihadista. Dopo il colpo di Stato dello scorso luglio, la situazione non ha fatto che peggiorare fino al recentissimo annuncio di revoca dell’accordo di cooperazione con gli Stati Uniti. Secondo la giunta al potere, la presenza militare nel Niger è quindi da adesso “illegale”. Quali scenari politici apre questa nuova realtà? 

Il colpo di Stato del 26 luglio 2023

Dopo i colpi di Stato portati avanti dai miliari in Mali e in Burkina Faso, rispettivamente nel 2021 e nel 2022, l’Unione Europea e gli Stati Uniti guardavano al Niger come un baluardo di stabilità nella fragile regione del Sahel. Il Presidente, democraticamente eletto, Mohamed Bazoum era infatti riuscito a contenere il diffondersi delle violenze da parte dei militanti jihadisti nell’area. Le speranze occidentali si sono però infrante il 26 luglio scorso, quando il Generale Abdourahamane Tiani, a capo della Guardia presidenziale, ha deposto Bazoum. Da allora, anche il Niger è guidato dai militari.

La reazione degli attori internazionali

Mentre la giunta consolidava il suo potere, gli attori vicini al Niger si sono divisi su come rapportarsi alla nuova leadership militare del paese. La Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS) ha imposto dure sanzioni: tutte le transazioni finanziarie e commerciali tra i suoi paesi membri e il Niger sono state congelate, incluse le esportazioni di elettricità.

L’Unione Europea ha finora appoggiato l’ECOWAS, unendo la sua voce alla richiesta di reintegrare Bazoum. Non è un caso che a dicembre la giunta abbia messo fine all’accordo di partenariato militare concluso con l’UE e alla missione civile europea attivata nel 2012. Allo stesso modo, la linea dura di Parigi ha portato alla rapida espulsione dell’Ambasciatore francese, a cui farà seguito il ritiro delle truppe presenti su suolo nigerino entro la fine dell’anno.

Gli Stati Uniti hanno invece inizialmente mantenuto una posizione più cauta, evitando di riferirsi al repentino cambio di potere come a un colpo di Stato. Anche quando gli aiuti inviati al Niger sono stati sospesi, gli americani hanno continuato a condurre le proprie operazioni sul territorio. Ma nonostante l’estrema prudenza usata da Washington la situazione è precipitata.

La revoca degli accordi con gli americani

Sabato 16 marzo, il portavoce della giunta militare, il Colonnello Maggiore Amadou Abdramane, ha denunciato la partnership con gli USA: l’accordo in vigore dal 2012 che consentiva la presenza di personale militare e civile del Dipartimento della Difesa statunitense nel paese sarebbe stato siglato in violazione della costituzione. La cooperazione di lungo periodo fra il governo statunitense e quello nigerino, nonché la premessa fondamentale di una lotta organizzata al terrorismo, viene quindi meno.

Ma alla luce della cautela con cui l’arrivo al potere della giunta è stato accolto dagli Stati Uniti, perché denunciare ora un accordo di così lunga data, alienandosi una delle maggiori potenze nel sistema internazionale? D’altro canto, qual è la motivazione che spinge la Casa Bianca a “non alzare la voce” nonostante il trattamento ricevuto?

Potenziali legami con la Russia?

Tutto si spiega ascoltando le recenti dichiarazioni di due alti funzionari statunitensi. La Vice portavoce del Pentagono Singh ha riportato che la delegazione che si trovava in Niger il 16 marzo ha “espresso preoccupazione per le potenziali relazioni del Niger con la Russia e l’Iran“.

Inoltre, il capo dell’AFRICOM  Langley ha dichiarato alla Commissione per i servizi armati del Senato che la Russia stava tentando di “prendere il controllo” del Sahel: “negli ultimi tre anni, le forze di difesa nazionali hanno puntato le armi contro i loro stessi governi eletti in Burkina Faso, Guinea, Mali e Niger“, ha dichiarato, lamentando che a causa delle limitazioni degli aiuti statunitensi in seguito ai colpi di Stato, questi governi “si rivolgono a partner che non hanno restrizioni nel trattare con i governi golpisti… in particolare la Russia“.

Non c’è quindi da stupirsi del tatto che la Casa Bianca sta usando in questo contesto, la paura è evidentemente quella di lasciare campo libero agli antagonisti russi e la volontà quella di negoziare un’uscita di scena il meno dannosa possibile con i militari. Gli Stati Uniti non possono ignorare le complesse dinamiche politiche e strategiche che stanno emergendo nel Sahel, specialmente considerando il rischio di perdere terreno nei confronti della crescente presenza russa (e iraniana).

Considerando che il personale americano non è ancora stato fatto rientrare, è probabile che Washington sia intenzionata a trovare un nuovo accordo con la giunta nigerina che consenta di ridurre la presenza militare statunitense in modo graduale. In un momento di così grande instabilità internazionale, la perdita repentina di influenza su un avamposto strategico di tale portata sarebbe un colpo troppo duro.

Elena Miscischia

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