Il recente colpo di stato in Myanmar ha gettato ulteriori ombre sulla situazione della comunità Rohingya.
Risale al primo febbraio il colpo di stato in Myanmar, in seguito al quale il generale Min Aung Hlaing ha assunto il ruolo di capo del governo.
I militari hanno ripreso il potere, arrestando Aung San Suu Kyi per supposti brogli elettorali. È stato dichiarato un anno di stato d’emergenza, interrotte le linee telefoniche nella capitale Naypyitaw e nella città di Yangon e sospese le trasmissioni della televisione di stato. Inoltre, in seguito alle voci di protesta diffusesi in tutto il Paese, sull’intero territorio sono stati bloccati anche i principali social network. E cosa accadrà ai Rohingya?
Il Bangladesh, che ospita circa 1.000.000 di rifugiati Rohingya, ha espresso le proprie perplessità.
Sono infatti in atto da tempo, in seguito sia all’accordo tra Paesi che all’intervento della comunità internazionale, tentativi di rimpatrio pacifico dei suddetti profughi. Il processo è però continuamente interrotto e ostacolato, sia dall’atteggiamento del Myanmar verso questa minoranza, che da quello dei Paesi circostanti, tutti decisi a non fornire alcun supporto ai Rohingya.
I rappresentanti del Bangladesh, quindi, sin da subito si sono augurati che il Myanmar possa incontrare pace e stabilità, e che il Paese faccia sforzi reali per portare avanti il processo di rimpatrio volontario dei rifugiati musulmani Rohingya.
Abbiamo continuato a lavorare per mantenere una relazione di reciproco beneficio col Myanmar, con il quale abbiamo fino ad ora collaborato per il rimpatrio volontario e sicuro dei Rohingya. Ci aspettiamo che il processo continui ad essere sostenuto in maniera seria e risoluta.
Così ha detto in una nota inviata a Reuters il Ministro bengalese degli Affari Esteri.
Dal canto suo, la comunità Rohingya in Bangladesh ha espresso molta preoccupazione per i propri fratelli rimasti in Myanmar.
Dil Mohammed, il leader di uno dei campi, ha detto a Reuters che la propria gente si augura che la comunità internazionale intervenga per reintegrare la democrazia ad ogni costo. La stessa Reuters ha anche riportato il messaggio telefonico di un rifugiato trentunenne, che ha chiesto l’anonimato per paura di ritorsioni.
Non era positiva per noi (Aung San Suu Kyi), ma c’era ancora speranza che attraverso il processo democratico avremmo potuto ottenere i nostri diritti. Attualmente invece pare non ci sia spazio per la democrazia in Myanmar nel prossimo futuro. Siamo terrorizzati per ciò che potrebbe accadere ai Rohingya in Myanmar.
Alcuni organi di stampa italiani hanno però riportato una situazione diversa.
Pare infatti che, nei campi in Bangladesh nei quali sono relegati, alcuni profughi Rohingya abbiano festeggiato e pregato per l’arresto di Aung San Suu Kyi. Questo a causa dell’atteggiamento della leader nei confronti della causa della minoranza musulmana.
Tra le varie dichiarazioni riportate quella di Maung Kyaw Miun, portavoce dell’influente Unione degli Studenti Rohingya:
A differenza di un governo eletto, questo governo militare avrà bisogno del sostegno internazionale per resistere. Quindi speriamo che esaminino il problema dei Rohingya per alleviare la pressione internazionale.
Mariarosaria Clemente