Colpo di frusta climatico: l’Italia e l’Etiopia sono sulla stessa (drammatica) traiettoria

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Il colpo di frusta climatico o, in gergo, climate whiplash, consiste in un’alternanza sempre più devastante e imprevedibile tra siccità e alluvioni. Il nostro Paese, afferma l’ultimo report di WaterAid, è investito da questo fenomeno tanto quanto l’Etiopia e molte altre parti del mondo.

Climate whiplash: il colpo di frusta climatico

L’indagine, condotta da WaterAid in collaborazione con le università di Bristol e Cardiff, dimostra che molte aree storicamente caratterizzate da un clima secco sono colpite sempre più spesso da violente inondazioni. Mentre, al contrario, aree da sempre umide e soggette ad alluvioni sono oggi colpite da lunghi e frequenti periodi di siccità. Gli esperti lo chiamano climate whiplash, il colpo di frusta climatico, un fenomeno di inversione del rischio climatico che sta colpendo milioni di persone in modo sempre più violento e meno prevedibile. Lo studio si è occupato di Pakistan, Burkina Faso, Ghana e Uganda, sempre più umide e soggette ad alluvioni, e Mozambico, Etiopia e Italia, sempre più aride e siccitose. Questa inversione del rischio climatico mette a dura prova le comunità interessate poiché spesso sono totalmente impreparate ad affrontarla.

Siamo nella confusione più totale. I mesi che prima erano piovosi ora sono secchi e quando arrivano le piogge provocano inondazioni che causano la distruzione delle infrastrutture e del raccolto. Poi i periodi di siccità possono essere molto lunghi e portano al fallimento del raccolto e alla fame.

Questa frase, pronunciata da un insegnante ugandese, ci suona drammaticamente famigliare e potrebbe essere stata pronunciata da un contadino emiliano senza particolari modifiche. La situazione italiana, infatti, non è molto lontana da quella di altri Paesi del mondo. L’unica differenza sta nella ricchezza economica del nostro Paese che, pur nelle evidenti difficoltà, riesce meglio di altri a fronteggiare queste catastrofiche situazioni.

L’Italia come il Corno d’Africa

In Italia, infatti, in meno di 20 anni i periodi di siccità sono più che raddoppiati e sono stati intervallati da violente inondazioni. Ciò avviene, come sappiamo, soprattutto nelle regioni settentrionali del nostro Paese, duramente colpite anche in questi ultimi mesi. WaterAid ha considerato l’Italia un osservato speciale, rappresentante della democraticità dei cambiamenti climatici ed è giunto a una conclusione netta:

Il Nord Italia mostra un aumento della frequenza, della durata e dell’intensità della siccità, simile a quello dell’Etiopia.

Il motivo? L’aumento delle temperature. Cioè un maggior tasso di evaporazione e, quindi, una più veloce essiccazione del paesaggio. Nel Nord Italia, il biennio 2022-2023 è stato particolarmente negativo in fatto di precipitazioni: le Alpi sono rimaste senza neve e il Po senza acqua. La stagione invernale di quest’anno, invece, sembra essere partita nel modo giusto, ma le altissime temperature di ottobre (e novembre) non promettono nulla di buono. Allo stesso modo, nel Corno d’africa si sta vivendo la quinta stagione consecutiva di siccità con conseguenze drammatiche sulla vita delle persone: ad esempio, il fiume Shabelle, che è letteralmente vitale per la Somalia, si è pressoché prosciugato.

Poi, con un effetto a colpo di frusta climatico, si passa da un estremo all’altro e il suolo, ormai reso impermeabile dalla prolungata siccità, non riesce ad assorbire le violente e abbondanti precipitazioni e quindi tutto si allaga. Ed ecco che l’Emilia Romagna viene sommersa, che l’agricoltura si piega e che la popolazione soffre.

La situazione nel mondo

Non è un mistero che a situazioni climatiche estreme, spesso, corrispondano povertà e conflitti.

Per le comunità che vivono in prima linea questi repentini cambi del rischio climatico le conseguenze sono devastanti: distruzione di raccolti e mezzi di sussistenza, danneggiamento delle infrastrutture di approvvigionamento idrico, spesso già fragili, ed esposizione delle persone a malattie e morte.

A tutto questo si aggiungono i sempre più massicci flussi migratori interni ed esteri, che spingono le persone a cercare luoghi climaticamente più ospitali, e le tensioni sempre più alte che potrebbero sfociare, se già non l’hanno fatto, in veri e propri conflitti. E la situazione è destinata a peggiorare.

L’inversione del rischio e, più in generale, i cambiamenti nella frequenza e nell’entità del rischio di inondazioni-siccità sono qualcosa che la maggior parte dei luoghi del pianeta dovrà affrontare.

Michael Singer, professore e ricercatore dell’Università di Cardiff

Insomma, un clima sempre più instabile e imprevedibile che sta mettendo (e metterà) a dura prova l’intero pianeta. Lo scenario che si delinea è quasi apocalittico, da film catastrofico dei più visionari, ma ciò che fa più paura è che non si tratta di fantasia.

WaterAid e COP28

Servono misure di protezione dalle inondazioni e misure di resistenza alla siccità, bisogna aumentare gli investimenti legati all’acqua e ottimizzarli, soprattutto nei Paesi a reddito medio e basso, per salvare vite e per aumentare la prosperità economica. E per innescare, quindi, un circolo virtuoso che conduca al miglioramento delle condizioni di vita di chi è meno fortunato. È questo ciò che WaterAid chiede a COP28.

Dare priorità all’acqua pulita, a servizi igienico-sanitari dignitosi e a una buona igiene come componenti chiave dei programmi di adattamento climatico, nonché aumentare rapidamente gli investimenti nella sicurezza idrica dei paesi a basso e medio reddito […]. Per i più vulnerabili del mondo, questa è una questione di vita o di morte. Non possiamo lasciare che il cambiamento climatico spazzi via il futuro delle persone.

Tim Wainwright, amministratore delegato di WaterAid

Il summit sul clima si riunirà a Dubai (Emirati Arbi Uniti) dal 30 novembre al 12 dicembre per fare il punto della situazione sui progressi fatti riguardo agli Accordi di Parigi del 2015. Gli obiettivi?

  1. Accelerare la transizione energetica favorendo la decarbonizzazione e riducendo drasticamente le emissioni;
  2. Promuovere un nuovo piano di finanziamenti per il clima;
  3. Mettere al centro dell’azione per il clima la natura, le vite e mezzi di sussistenza;
  4. Mobilitarsi per una COP più inclusiva, coinvolgendo i giovani e le minoranze.

Il fatto che tutto questo sarà discusso negli Emirati Arabi, tra i massimi esportatori di petrolio al mondo e non certo in prima linea per la promozione e la difesa dei diritti umani, genera non poche perplessità. Ma questa è un’altra storia e ci sarà tempo e modo per raccontarla.

Arianna Ferioli

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