Chi gli chiede di restare nel Pd per il bene del paese, chi gli dice di andarsene, per non dovere spartire più incarichi e battaglie con chi ha ballato sul suo cadavere. Se le elezioni consegneranno il paese a Salvini, sarà colpa di Matteo Renzi?
Il dubbio è lecito: accettare la corte di Zingaretti e proseguire con una pace armata in nome di una presunta lotta comune per evitare che il Paese vada direttamente in mano a Salvini oppure, più egoisticamente, dare uno strappo definitivo alla causa del Partito Democratico, dire basta alle ipocrisie, alla vita da separati in casa e correre da soli? Riassumendo: l’unione fa la forza o chi fa da sè fa per tre? Matteo Renzi sembra attualmente più orientato verso la seconda opzione, a giudicare dagli interventi di questi ultimi giorni infuocati, prima e dopo che la crisi di governo esplodesse. Se la Lega dovesse arrivare alle percentuali che molti paventano in questo momento, sarebbe di nuovo colpa di Matteo Renzi?
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Mi dispiace devo andare
Dalla Festa dell’Unità di Pistoia, Matteo Renzi ha parlato chiaro: “Se c’è un motivo per cui io mi rimetto in campo è perché non mi guarderei allo specchio se lasciassi un paese nelle mani di chi istiga ad avere paura degli altri”. Sì, ma con una precisazione: da solo. Il senatore Renzi sembra dunque non voler dare il suo apporto alla causa del Pd. Molti gli appelli che, in queste ore, più o meno informalmente, si stanno rincorrendo per evitare una spaccatura sicuramente fatale per chi rimarrà nel Partito Democratico. Renzi, infatti, solo tra i senatori, potrebbe “portarsi via” letteralmente 34 senatori, su una coalizione di centrosinistra che ne conta 57 (tra cui però ci sono anche Pier Ferdinando Casini ed Emma Bonino). La colpa di Matteo Renzi, quindi, sarebbe quella di staccare la spina al Pd e di consegnare ipoteticamente il paese alle demagogie di destra.
Passerotto non andare via
Nicola Zingaretti, quasi contemporaneamente all’intervento di Renzi, ha parlato di lui come “una risorsa” e lo ha invitato a non permettere che tornino quelli che hanno vinto il 4 marzo. Una sorta di “Riproviamoci ancora”, insomma, alla stregua delle famigerate minestre riscaldate sentimentali. Sempre qualche giorno fa, Zingaretti aveva fatto un appello all’unità del Partito. Un appello che Renzi sembra non aver colto: ha espresso pareri duri su una compagine dirigenziale che, a suo dire, lo ha utilizzato come capro espiatorio per qualsiasi dissidio interno, facendo riferimento all’intervista rilasciata poco prima dal tesoriere Pd Zanda.
Insieme a te non ci sto più
“Di fronte allo sfascio si continua ad attaccare il Matteo sbagliato. Fa ridere i polliHo vinto due volte le primarie e per due volte ho dovuto dimettermi per problemi interni”.
Matteo Renzi, dalla Festa dell’Unità di Santomato, Pistoia
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Sempre dallo stesso palco, il senatore ha poi fatto riferimento alla Leopolda di metà ottobre, come un’occasione per tirare le somme su tutto e per chiudere le polemiche. In molti hanno interpretato questo intervento come un’intenzione di staccare la spina al Pd per come lo si conosce ora. Certo, non deve essere semplice condividere i banchi dell’opposizione con chi ha, in varie occasioni, ballato sul tuo cadavere, come D’Alema, ad esempio. C’è già chi parla di comitati pronti (la rete diffusa di Azione civile, con Scalfarotto e Rosato come referenti). Ma è così semplice far debuttare un partito e farlo correre immediatamente a delle elezioni così cruciali per la minoranza? Probabilmente, l’auspicio dello stesso Renzi sarebbe quello di una pianificazione più lunga e ragionata. Senza l’acqua alla gola di un rodaggio così affannoso, si potrebbe debuttare nella primavera del 2020. Ma tant’è: il precipitare degli eventi a Palazzo Chigi potrebbe accelerare lo strappo.
Amici mai
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E c’è chi in queste ore ha pure accusato Renzi di guardare a una prospettiva di inciucio con il M5S, ma lo stesso Renzi ha smentito con forza. “Oggi i giornali sono pieni di retroscena su accordi segreti tra noi e i Cinque Stelle. Qualcuno già ipotizza che io possa votare la fiducia a Fico premier. E perché non Toninelli premier allora? O Di Battista? Sono ragazzi così preparati e competenti. Dai, ragazzi, non scherziamo”, ha ribadito Renzi al presunto scoop di Dagospia che lo vorrebbe alla ricerca di accordi con il partito di Di Maio. Si potrebbe trattare della mossa per affossare definitivamente il Pd, grazie alla zavorra dei pentastellati, invisi a molti elettori del centrosinistra. Almeno su questo Zingaretti e Renzi sembrano essere d’accordo. Ma anche qui, a sinistra, non tutti sono d’accordo. Roberto Speranza, formalmente ex Pd e coordinatore attuale di Articolo Uno, qualche giorno fa si è espresso in un tweet molto contestato in merito, giudicando incomprensibili le incompatibilità tra Movimento Cinque Stelle e la sinistra.
Ricominciamo
Ma ha davvero senso l’appello di Zingaretti alla coesione? Anche con il più roseo degli scenari, immaginando che il Pd unico rinasca dalle sue ceneri e trionfi alle ipotetiche elezioni di questo autunno, non si ripresenteranno ancora una volta gli stessi scenari di sempre all’interno del Partito? I renziani sarebbero capaci di sottostare all’egemonia zingarettiana che, di fatto, ha posizionato (come aveva fatto Renzi del resto, a suo tempo) tutti i suoi fedelissimi nei ruoli cruciali della segreteria di partito? Chiaramente Zingaretti potrebbe offrire in cambio della permanenza dei renziani cariche, ministeri, ruoli partitici. Bisogna però considerare a quale prezzo Renzi possa decidere di fermarsi. Dopo qualche settimana, le diatribe interne non porterebbero nuovamente alla situazione di fine 2016 e alla ricerca del Gentiloni di turno e ai rimpasti? Staremo a vedere, con la certezza di essere il pubblico pagante di una tornata elettorale, ancora una volta, da effettuare per molti con il naso tappato.
Elisa Ghidini