Nel 2016, le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (Farc) firmarono un accordo di pace con il governo colombiano, ponendo fine alle ostilità tra l’organizzazione guerrigliera e lo stato colombiano.
L’accordo con il governo della Colombia prevedeva l’amnistia per i reati politici e la reintegrazione degli ex-combattenti nella società, all’interno degli Spazi Territoriali di Formazione e Reintegrazione (ETCR). Tuttavia, dalla data dell’accordo sono stati assassinati 127 ex-combattenti delle Farc, ormai trasformatosi in un partito legale, ad opera di sicari legati a gruppi criminali e al narcotraffico. Questa guerra unilaterale e clandestina contro i militanti smobilizzati della guerriglia getta delle ombre inquietanti sul processo di pace, in un paese che per la propria simbiosi con il crimine organizzato è stato definito un “narcostato”.
Un ecatombe di militanti e attivisti
Anche senza bisogno di coniare nuovi termini, è evidente come l’eliminazione fisica sia in Colombia uno dei principali strumenti per gestire il conflitto sociale. Le stesse Farc nacquero nel 1964 a partire dalla repressione delle organizzazioni di autodifesa contadina nelle regioni di Tomila e Huila. Dal 2016, sono stati assassinati, secondo le stime dell’Indepaz, 738 esponenti delle lotte sociali. L’ultimo omicidio politico di cui abbiamo notizie è quello di Gustavo Gallardo, assassinato a Bogotá nella notte del 7 agosto. Gallardo era un avvocato difensore dei diritti umani e aveva difeso l’ex-leader della guerriglia Jesús Santrich.
Agosto di sangue
Solo ad agosto sono stati assassinati nel dipartimento di Cauca il capo indigeno e medico tradizionale Enrique Guejia Meza, la guardia indigena Gersain Yatacué e il leader contadino José Eduardo Tumbó. Il 3 agosto è stato invece ucciso nel suo appartamento l’insegnante e attivista LGBT Ariel López Romero. Lo stesso giorno ha perso la vita in un’imboscata il meno limpido Pedro Pablo Montoya, un ex-guerrigliero conosciuto per aver ucciso a tradimento il comandante delle Farc Iván Ríos e averne consegnato la mano amputata all’esercito per riscuotere una ricompensa.
Carlos Negret Mosquera, il direttore della Defensoria del Pueblo de Colombia, ha dichiarato che sono state registrate più di 1.350 minacce di morte nei confronti di militanti e attivisti. La Colombia è inoltre il paese più pericoloso dell’America Latina per gli attivisti in difesa dell’ambiente, visto che ne sono stati assassinati 24 solo nel 2018.
Francesco Salmeri