Clinton contro Trump: oggi è l’election day.
Il secondo martedì di novembre che, da duecento anni, è il giorno della verità per la scelta del Presidente americano.
Ogni quattro anni in questa data cade il D-Day, in cui i cittadini americani eleggono la massima carica della loro nazione – e nei fatti del mondo.
E mai la scelta è stata più drammatica: mai ci fu un Decisive-Day più decisivo di questo, in cui si fronteggiano Donald Trump e Hillary Clinton.
Un duello che dura da molto tempo
Terminano oggi 18 mesi di campagna elettorale (considerando anche le primarie dei due maggiori partiti, mai così intense).
E ancora prima di conoscere il risultato ufficiale (la Clinton è favorita su Trump) già possiamo dire che quanto è successo durante questo periodo sancisce una serie di trasformazioni profonde della politica, sia americana sia, almeno di riflesso, mondiale.
Diversi importanti temi sono emersi con prorompente energia e hanno contraddistinto la campagna elettorale, le polemiche, i dibattiti, le analisi, le discussioni in rete.
Questi temi sono precisamente quelli che dovrà affrontare, a suo modo, qualsiasi dei due candidati che risulterà vincitore.
Naturalmente si presentano altri due candidati minori, come in tante altre elezioni precedenti, ma non hanno praticamente chances di vincere . Allo stato dei fatti, il pur popolare candidato ecologista potrebbe solo sottrarre voti alla Clinton a vantaggio di Trump, e poco dovrebbe spostare la candidatura del candidato libertariano, anch’egli molto stimato.
Cerchiamo di considerare sinteticamente alcune delle tematiche in questione, proponendo al riguardo delle considerazioni, tanto soggettive quanto, si spera, obiettive.
La democrazia americana e la storia delle elezioni presidenziali
Abbiamo accennato al cambiamento storico che caratterizza questa tornata elettorale: nella storia americana, molte volte i grandi cambiamenti socioeconomici e culturali si riflettono nello specchio di campagne elettorali combattute e accese.
Anzi in realtà la storia americana è caratterizzata da questa combinazione di continuità istituzionale (per cui nella sostanza la Costituzione è la stessa dal 1789) e grande dinamismo sociale e politico.
In gioco, in occasione delle grande svolte della avventura a stelle e strisce, viene sempre messa la corretta interpretazione della Costituzione medesima – che, a tutt’oggi, quasi nessuno mette in discussione in quanto legge fondamentale, e quasi tutti considerano un totem intoccabile.
Questo vale anche per Trump, e naturalmente per la Clinton.
Ma quale identità americana vincerà questa volta, come modalità di lettura e applicazione della Costituzione nazionale?
Una guerra civile?
Persino in occasione della guerra civile, 150 anni fa, sudisti e nordisti non contestavano la Carta, ma la sua giusta interpretazione.
Secondo alcuni commentatori, come il romanziere Franzen, la situazione attuale è nei fatti analoga a quella di una guerra civile, a causa del malessere di vasti strati della popolazione, strumentalizzati da Trump.
Sia che vinca Trump, sia che vinca la Clinton e anzi a maggior ragione, una guerra civile strisciante è ormai iniziata e continuerà.
Già l’elezione di Bush jr. fu molto sospettata e contestata, e il periodo seguente introdusse massicce dosi di retorica oltranzista, quindi divisiva, nel sistema sociopolitico.
La vittoria di Obama nel 2008 lungi dal cambiare le cose, ha prodotto una reazione veemente, incarnata dal movimento del Tea Party. Che ha fra i propri scopi quello di cancellare l’onta di un presidente “abusivo” (forse anche perché nero) e le sue leggi “socialiste”.
La politica sfrutta il passato
Anche qui vediamo come in politica funzioni sempre una tendenza ad appropriarsi della storia e del passato, per volgerlo ai propri fini e ideali.
Il passato viene manipolato e si fa in un certo senso “mito”.
Siamo sicuri, infatti, che i protagonisti del Tea Party del 1773, che proclamavano di battersi per la libertà contro la tirannide inglese, oggi voterebbero per il movimento che ha preso nome da loro ? E soprattutto che voterebbero per Trump, che dice di battersi contro la tirannide e la corruttela dei Clinton e dei poteri che la appoggiano?
In politica, i morti vengono spesso chiamati a testimoniare a favore delle idee dei vivi.
Come che sia, anche la Rivoluzione americana all’inizio fu in tutto e per tutto una guerra civile, e come vediamo il tema della spaccatura in due dell’America pesa fortemente su queste elezioni – come mai da 150 anni.
Trump: il tentativo di riscossa dei maschi bianchi e della classe mediobassa
D’altronde, l’atteggiamento dei repubblicani rimonta perlomeno agli anni 50-60, quando rinacque al Sud la retorica sudista, contraria alla politica antisegregazionista dell’epoca, a favore delle minoranze di colore e dei diritti civili. I repubblicani la cavalcarono per opporsi soprattutto a Kennedy e successori.
Il risultato lo vediamo : un candidato come Trump che rappresenta il tentativo dei maschi bianca della classe media, cioè i fondatori e un tempo i massimi esponenti della società americana, di tornare ai vertici frenando l’ascesa delle donne, dei neri, dei latinos, di tutte le minoranze come i gay e via dicendo.
Al fondo, però, è in gioco la fiducia, quindi il sentimento di appartenere alla stessa comunità, alla stessa “grande famiglia” che vuol dire essere un’unica nazione.
Il problema di fondo: la legittimità del potere in democrazia
Se la vittoria di Bush, pur se fu probabilmente illegale nei fatti, però non venne contestata nella sua legittimità, oggi vediamo un cambiamento radicale e drammatico.
Perchè la vittoria della Clinton, anche se risulterà impeccabile di fronte ad ogni crisma di legalità, cioè anche se la Clinton dovesse incontestabilmente ottenere più voti, ebbene quasi certamente verrà contestata.
La vittoria della Clinton, Trump l’ha già annunciato, sarà considerata illegittima, anche se legale.
Perché per Trump la Clinton è la rappresentante di un complotto contro l’America e il suo popolo da parte di poteri forti – che pretendono di manipolare la democrazia.
Per Trump la democrazia americana è un’altra, a suo dire è quella dei Padri pellegrini, una società larvatamente patriarcale – nel senso improprio e vago in cui viene oggi utilizzata questa espressione.
Ma abbiamo dubbi che anche la vittoria eventuale di Trump non verrebbe disconosciuta da molti che già ora lo avversano?
Intorno al nome di Trump, e alla sua “resistibile ascesa”, si è formato un dibattito intorno alla natura della democrazia.
Al fondo il tema è quello della legittimità: la legittimità del governo delle élites, contestatissime dalle masse.
Legittimità del diritto a decidere il governo da parte della masse – perché le élites rispondono al discredito, screditando la democrazia.
Lo spauracchio del populismo
La vasta area di scontento sociale ed economico oggi esistente ha eroso il consenso verso le istituzioni liberaldemocratiche, e ha innescato una retorica del “popolo contro le élites corrotte e sfruttatrici” che è il vero marchio di fabbrica di ogni populismo.
In risposta, al contempo, da parte di alcuni esponenti delle stesse élites contestate è stato riproposto l’antico argomento per cui il popolo per ragioni di impreparazione culturale non merita di poter decidere il governo, e quindi la democrazia dovrebbe essere limitata.
Ecco che il populismo si dimostra uno specchietto per le allodole, in quanto viene usato, da una parte e dall’altra, per offuscare come il tema di fondo sia quello della democrazia, della sua natura profonda.
Molti populisti non sono democratici, ma demagoghi – o peggio.
E molti intellettuali e gruppi editoriali hanno ormai sconfessato la fede nella democrazia, e proclamano la legittimità di un sistema di governo elitario.
Come se ne esce?
La peculiare ” democrazia populistica” americana
L’America, ingiustamente guardata con sussiego dalla cultura europea, è in realtà da duecento anni all’avanguardia anche su questa frontiera intellettuale e sociale.
Se gli Usa sono infatti la prima democrazia della storia in senso moderno, i Padri fondatori redassero una Costituzione in cui il principio della limitazione dei poteri, anche dei poteri popolari, è ben evidente.
La dinamica élites-popolo caratterizza tutta la storia americana, e lo stesso meccanismo di voto presidenziale – per cui i cittadini non votano direttamente per i candidati ma per dei “grandi elettori” che sceglieranno per loro – questo meccanismo oggi in gioco dimostra come la cautela verso la democrazia diretta fosse ben presente a Washington e compagni.
Però la storia americana si caratterizza anche per il fatto che le periodiche accensioni della retorica populista siano state funzionali ad una espansione della democrazia, politica economica e sociale.
Ogni qual volta il governo realmente o presunto illuminato delle élites intellettuali, ed economiche, si trasformava in uno stile politico chiuso, sclerotico, troppo distante dalle masse – in ogni occasione il sistema vedeva alla ribalta un leader o un movimento “populista” o “democraticista” che rimetteva in circolo idee interessi e persone nuove, adatte ai mutati tempi.
In democrazia il popolo sceglie…quale élite lo debba governare
Le élites in democrazia esistono e comandano, ma si alternano al governo a seguito delle mutate esigenze della maggioranza della società quindi delle masse.
La democrazia d’altronde è il sistema istituzionale che fa della flessibilità la propria bandiera, laddove ogni oligarchia per definizione può essere rovesciata solo da una rivoluzione o una congiura violenta.
In Europa il populismo ha invece quasi sempre rivestito un ruolo regressivo, in sostanza anti-democratico- perchè come spiega anche Marx è stato strumentalizzato da forze reazionarie.
C’è a questo punto da domandarsi se Trump rappresenti, in caso di vittoria, una inversione di tendenza in America, in direzione di un populismo schiettamente di destra – oppure se ci sorprenderà.
In questo senso il problema è che le élites, più di destra o più di sinistra, da tempo ormai si sono sclerotizzate, non si distinguono e non si alternano più : il sistema è bloccato e la pentola sopra questo fuoco rischia di scoppiare.
Il discusso quanto affascinante intellettuale sloveno Zizek, un neomarxista, sostiene allora che sì, Trump rappresenta una chance per il rinnovamento della democrazia : ma nel senso che il suo governo reazionario scuoterà le élites intellettuali della sinistra e le forze sociali progressiste, e le spingerà a riprendere l’antica strada “verso il popolo” – come dicevano di voler fare i populisti russi, che erano di sinistra, nell’800.
Ma siamo, in parole povere, al tanto peggio tanto meglio.
Clinton-Trump: come Mezzogiorno di fuoco, uniti dall’odio
Quel che è certo è che, se Trump è il candidato più contestato della storia, Trump e Clinton sono la coppia di candidati nel complesso meno popolare di sempre.
E’ probabile che la somma dei voti degli americani che voterebbero contro entrambi loro, se esistesse questa opzione, sarebbe anche superiore alla somma di coloro i quali voterebbero convintamente a favore o di Clinton o di Trump.
E’ insomma difficile immaginare un americano per il quale Clinton o Trump vadano bene indifferentemente – mentre sono milioni coloro i quali li disprezzano egualmente.
La comunità rischia così di dividersi su fronti opposti che si odiano – o di rinsaldarsi…in nome dell’odio verso entrambi i candidati e tutto un sistema.
La Clinton sembra aver recuperato nella propria piattaforma programmatica una parte delle istanze proposte da Sanders, e dal suo seguito di giovani e delle sinistre.
Ma quanto delle sue proposte sociali, economiche, fiscali, entreranno davvero nel programma della Clinton? Quante di esse in ogni caso otterranno il via libera del Congresso, che oggi si rinnova per 1/3 e che da anni vede una contrapposizione accesissima fra democratici e repubblicani – che ha portato in alcune occasioni addirittura allo stallo degli uffici statali?
Il voto per Clinton è più in difesa di quanto fatto bene o male da Obama, un voto difensivo, e se ella vincerà sarà ancor più per paura di Trump, che per meriti suoi propri.
E’ insomma Bernie Sanders, con il suo movimento, le sue parole e idee il vero convitato di pietra di queste elezioni – visto che c’è persino gente pro Trump che sarebbe stata più a favore del “populismo di sinistra” di Sanders che della figura da politico di lungo corso della Clinton.
Ipotesi di riforma del voto
Questo ci condurrebbe a trattare delle proposte per una riforma del meccanismo elettorale inventato duecento anni fa, per cui si esprime un solo voto a favore di un solo candidato.
Invece nella odierna società in cui la democrazia, come forma di espressione della sovranità nazionale, è stata usurpata dal capitalismo globale, molti ritengono sarebbero necessari dei correttivi per riequilibrare il potere condizionante delle oligarchie economiche : come il voto multiplo, appunto, o il voto negativo da somare a quello positivo.
Con un sistema del genere per dire in Italia Berlusconi non avrebbe mai vinto – ma questo non sarebe andato a vantaggio neanche dei vari D’Alema e Veltroni, probabilmente.
Fatto sta che queste elezioni riflettono la drammatica crisi del sistema democratico, e dei suoi valori di fondo.
Se la democrazia, che può sopravvivere solo fondandosi su un diffuso sentimento di fiducia e di comunità, se la democrazia è quel “plebiscito quotidiano” secondo la famosa definizione di Renan – ebbene nel mondo di oggi possiamo dire che la democrazia sta perdendo…le elezioni.
Clinton-Trump: la politica estera
Le forme di governo autocratico, ma basate su un voto popolare, cioè le democrature quali quella cinese di Xi, e soprattutto quella russa di Putin e quella turca di Erdogan, sono diventate un polo di riferimento persino in Europa.
Trump ha infatti dichiarato di voler andare d’accordo con Putin, “un uomo forte” che apprezza, e di voler mettere fine alle spese militari per occuparsi dei fatti dell’America e spenderà in patria le risorse per i suoi vaghi programmi di crescita economica.
Programmi che escluderebbero però la vastissima comunità di immigrati che vive lavora e produce in America.
Questo accade mentre lo smart power, il fascino dell’America di Obama, che fu degli Usa di Clinton, è in declino.
La democrazia si fa autoritarismo e questo riflette l’espansione del capitalismo, ma qui non ne possiamo parlare ulteriormente.
Il dato cruciale è che le nuove tendenze ideologiche riflettono anche i nuovi schieramenti diplomatici.
Se la Clinton vincerà, c’è da credere che gli Usa torneranno a preoccuparsi del nostro emisfero, della crisi europea, e del Medio Oriente in forma più aggressiva.
Da una parte credo sarebbe un bene – perché lo sfaldamento del progetto europeo rende più necessario che mai l’ancoraggio ad un soggetto politico solido e volitivo che freni la deriva verso cui Italia ed Europa stanno vivendo.
Soprattutto la Clinton aiuterà ad abbandonerà le politiche di austerity per tornare alle spese sociali e agli investimenti per la crescita, necessari per assorbire la disoccupazione, le ineguaglianze e il malcontento.
Clinton: lotta all’austerity e guerra alla Russia ?
Dall’altro lato, deve esser chiaro che Trump non ha tutti i torti quando sostiene che la Clinton alla Casa Bianca vorrebbe dire rischi più elevati di una guerra generale, visto che intende mostrasi molto più ferma nei confronti della Russia.
E’ un fatto che, per tradizione, i presidenti americani più bellicosi e propensi all’intervento internazionale sono stati i democratici, da Jefferson in poi : spesa sociale e guerre.
Bush jr. ed Obama hanno rappresentato un’inversione di tendenza clamorosa, e ciò non è senza un nesso con le trasformazioni profonde di cui ho parlato sinora.
Il lungo viaggio verso la democrazia
Oggi poi, val la pena ricordarlo, si vota in America anche per diversi sindaci, parlamenti statali, e per un miriade di referendum locali sui temi più disparati.
Chiunque vinca in questo D-Day, fra Hillary Clinton e Donald Trump, quella della democrazia è una avventura emozionante, ed irta di rischi, che vale la pena di continuare a vivere da protagonisti.
ALESSIO ESPOSITO