La stampa tedesca lo ha già definito “il furto d’arte più clamoroso nella storia del dopoguerra”. Gioielli antichi del valore di almeno un miliardo di euro sono stati portati via, all’alba di questa mattina, dal castello di Dresda, città della Sassonia, nell’est della Germania. A mettere a segno il colpo, sarebbero stati in due, ma si sta ancora indagando per capire se ci fossero altri complici.
PREZIOSI DEL DICIOTTESIMO SECOLO
Secondo la polizia, i malviventi avrebbero rubato tre parure di diamanti e brillanti del diciottesimo secolo. I preziosi erano conservati all’interno della sala delle Volte Verdi, che conterrebbe almeno tremila oggetti, realizzati in vari materiali tra i quali oro, argento, ambra. Tra questi c’è anche il Verde di Dresda, diamante da 41 carati, che in questo periodo si trova in mostra al Metropolitan di New York e dunque si è salvato dalla razzia. Non sono stati toccati, invece, vasi o dipinti, probabilmente perché troppo ingombranti.
LADRI ENTRATI DALLA FINESTRA
I ladri si sarebbero intrufolati nell’edificio intorno alle cinque del mattino, da una piccola finestra laterale. Per agevolarsi le operazioni, avrebbero provocato un incendio al circuito elettrico, in modo da far saltare la corrente. Una volta entrati, si sono subito diretti verso la sala delle Volte Verdi, hanno rotto una vetrina e si sono presi i gioielli.
Immediato è scattato l’allarme. Ma nonostante la massiccia mobilitazione delle forze di polizia, che hanno circondato il castello, i due uomini sono riusciti a scappare, probabilmente in macchina, e ora sono ricercati. Per la loro cattura è stata mobilitata anche la polizia del vicino Brandeburgo.
LA STORIA DELLA GRUENE GEWOELBE
La sala delle volte verdi, (in tedesco gruene gewolbe) venne costruita tra il 1723 e il 1730, su volontà dell’elettore sassone Augusto il Forte per contenere i gioielli della corona di Sassonia. Oggi è un museo, diviso in due sezioni. Al piano terra c’è la parte storica. Al primo piano si trovano invece i pezzi speciali, tra cui quelli che sono stati rubati.
DINO CARDARELLI