Cittadinanza portoghese ad Abramovich: le differenze con l’Italia

cittadinanza portoghese

Nel 2021 Roman Abramovich, proprietario russo del Chelsea Football Club, ha ricevuto la cittadinanza portoghese. Per ottenerla, si sarebbe avvalso di una legge portoghese che offriva la naturalizzazione ai discendenti degli ebrei sefarditi espulsi dal territorio nel XV secolo, durante il periodo dell’Inquisizione.

Il magnate sembra possedere la cittadinanza portoghese, lituana e israeliana. Tuttavia, nel breve periodo, l’imprenditore russo si troverebbe sotto indagine per aver falsificato i documenti relativi all’acquisizione della cittadinanza. Indagine che ha portato anche all’arresto del rabbino Daniel Litvak implicato nella vicenda.

Alcune fonti sostengono che Abramovich abbia ottenuto la nazionalità in maniera del tutto lecita, usufruendo appunto della legge portoghese di cui abbiamo parlato in precedenza e dopo aver mostrato la propria discendenza. Eppure, ci sono anche altre ipotesi secondo le quali il ricco imprenditore russo avrebbe truccato le carte pagando tangenti al Portogallo. Aleksej Navalnyj, attivista e politico russo di origini ucraine, sostiene che, in tal modo, il magnate russo potrà finalmente pagare tangenti ed effettuare alcuni pagamenti semi-ufficiali.

A seguito dello scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina, inoltre, l’Unione Europea ha iniziato ad emanare una serie di sanzioni contro alcuni oligarchi russi. I provvedimenti potrebbero colpire anche Abramovich. Tuttavia, le sanzioni emanate non andrebbero a revocare la cittadinanza ottenuta.

Come mai un oligarca russo riesce ad ottenere la cittadinanza portoghese basandosi su una legge, possiamo dire, “antica” e presentando documenti falsi e perché, invece, tantissimi bambini nati in Italia, continuano a rimanere senza? La risposta potrebbe essere nella possibilità di “comprare” la nazionalità da parte del ricco imprenditore russo e della mancanza di disponibilità economica per fare lo stesso da parte della gente comune. Quindi cosa vogliamo dire, che i soldi fanno la differenza? Si dice che i soldi non comprano la felicità, ma, certamente, possono comprare una cittadinanza.



In un mondo in cui la legge e la burocrazia hanno dei tempi lunghissimi, chi ha la possibilità economica salta le file infinite per ottenere un documento in maniera legale.

In Italia, la legge sulla cittadinanza è la legge n. 91 del 1992 ed è basata sul diritto di sangue.

Questo vuol dire che la situazione dei bambini nati in Italia da genitori stranieri è direttamente collegata alla situazione dei genitori. Se questi hanno la cittadinanza, essa si trasmette ai figli. Uno straniero i cui genitori sono cittadini italiani per nascita può richiedere la cittadinanza italiana se ha vissuto in Italia da almeno tre anni. Viceversa, un bambino nato da genitori stranieri può richiedere la cittadinanza soltanto al raggiungimento del diciottesimo anno di età e se, fino a quel momento, ha vissuto in Italia.

Tuttavia questa è una legge ormai vecchia che non tiene conto dei cambiamenti demografici e che non riconosce la cittadinanza per i figli degli immigrati che sono nati in Italia. Sarebbe necessaria una riforma. Erano state intavolate trattative in merito ma, alla fine, il tutto si è concluso con un nulla di fatto.

Garantire la cittadinanza vuol dire integrare un bambino, un figlio di immigrati, all’interno della comunità, vuol dire non escluderlo dalla vita pubblica e non farlo sentire escluso dalla comunità in cui vive, vuol dire garantire quei diritti e quei doveri fondamentali per la sua crescita all’interno della società, vuol dire far crescere un ragazzo che possa essere in futuro un cittadino del mondo.

Irene Amenta

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