Cisgiordania: Israele approva un’ampia confisca di terre

Il progetto coloniale avanza inesorabilmente in tutta la Palestina, Israele aumenta gli insediamenti in Cisgiordania.

Cisgiordania: Israele approva un’ampia confisca di terre

Cisgiordania: Israele approva un’ampia confisca di terre

Cisgiordania – L’esercito israeliano ha sequestrato una vasta area di terra palestinese a sud di Nablus, nell’ultima di una serie di azioni che hanno suscitato indignazione.

Nell’arco degli ultimi trent’anni, la Cisgiordania è stata teatro di tensioni e controversie riguardanti la proprietà e l’uso della terra. L’ultima notizia è il massiccio sequestro di terre palestinesi da parte dell’esercito israeliano, situato a sud di Nablus, nella Cisgiordania settentrionale. Secondo l’agenzia governativa palestinese e riportato dall’agenzia Anadolu, l’esercito israeliano ha confiscato un totale di 3.141 acri di terreno appartenente ai cittadini del villaggio di Aqraba. Questo atto rappresenta una significativa escalation nelle tensioni tra israeliani e palestinesi, in un contesto già altamente instabile.

L’ONG israeliana che documenta la colonizzazione della Palestina, Peace Now, afferma che l’Alto Consiglio di pianificazione israeliano abbia dato il via libera alla costruzione di 5.295 unità abitative nel territorio occupato riconoscendo tre avamposti illegali: Mahane Gadi, Givat Han e Kedem Arava. L’area interessata, di 12,7 kmq nella valle del Giordano, segna la più grande assegnazione singola approvata dalla firma degli accordi di Oslo nel 1993.

Gli accordi di Oslo, firmati tra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), erano stati progettati per garantire l’autodeterminazione palestinese e la creazione di uno Stato palestinese indipendente. Tuttavia, la recente acquisizione di terre da parte di Israele minaccia questa prospettiva. Gli osservatori degli insediamenti sostengono che la nuova espansione collega gli insediamenti israeliani lungo un corridoio cruciale adiacente alla Giordania, complicando ulteriormente la possibilità di creare un futuro Stato palestinese contiguo e indipendente.

La risposta del governo israeliano è stata quella di difendere la propria politica di insediamento, affermando che essa è necessaria per la sicurezza nazionale e per garantire un futuro sicuro per lo Stato di Israele. Tuttavia, molti critici sostengono che questa politica stia alimentando le tensioni e rendendo sempre più difficile la possibilità di una soluzione a due stati, considerata da molti come l’unica via percorribile per una pace duratura.

Legalizzazione dell’avamposto di Evyatar

Uno degli episodi più significativi di questa ondata di insediamenti è avvenuto l’8 luglio, quando il governo israeliano ha dichiarato 16 acri di terra a sud di Nablus come “terra di statoper legalizzare l’avamposto di Evyatar. Costruito illegalmente su una collina strategica, Monte Sabih, Evyatar è stato evacuato nel 2021, ma le costruzioni sono rimaste in loco, con una presenza costante dell’IDF. La recente dichiarazione mira a superare gli ostacoli legali che impediscono la legalizzazione dell’avamposto, nonostante il riconoscimento della proprietà privata palestinese su parte del terreno.

Il concetto di “terra di stato” è stato inventato da Israele per giustificare la confisca di terreni in Cisgiordania, basandosi sulla legge ottomana che prevede che le terre non coltivate per anni consecutivi diventino proprietà del sovrano. Questo processo permette a Israele di aggirare il divieto del diritto internazionale di espropriare proprietà privata della popolazione occupata. L’amministrazione civile israeliana, sotto la guida di Smotrich, utilizza fotografie aeree per identificare le terre incolte e dichiararle “terreni statali”, spesso creando enclavi di proprietà privata palestinese che, di fatto, diventano inaccessibili ai legittimi proprietari.

La situazione è ulteriormente complicata dalla recente decisione della Corte Suprema di Israele di approvare la demolizione di una serie di case palestinesi nel quartiere di Silwan a Gerusalemme Est, per fare spazio a un parco archeologico israeliano. Questo ha provocato proteste da parte dei residenti palestinesi e ulteriori condanne da parte della comunità internazionale.

Le tensioni nella regione sono state ulteriormente esacerbate dagli scontri periodici tra le forze israeliane e i palestinesi, con episodi di violenza che si verificano regolarmente. La situazione umanitaria nella Striscia di Gaza, bloccata da Israele dal 2007, rimane critica, con alti livelli di povertà e disoccupazione, e accesso limitato ai servizi di base.




Il conflitto israelo-palestinese è uno dei più complessi e duraturi del mondo moderno. Le radici della disputa risalgono a più di un secolo fa, con entrambe le parti che rivendicano diritti storici e religiosi sulla stessa terra. Nonostante numerosi tentativi di mediazione da parte di diversi attori internazionali, tra cui gli Stati Uniti e le Nazioni Unite, una soluzione definitiva sembra ancora lontana.

Il contesto politico

La decisione di confiscare ulteriori terre arriva in un momento delicato per il governo israeliano. Il primo ministro Benjamin Netanyahu, noto per le sue posizioni dure nei confronti della questione palestinese, continua a sostenere che queste misure sono necessarie per la sicurezza di Israele. Tuttavia, questa politica di espansione ha attirato critiche sia a livello nazionale che internazionale. Molti paesi e organizzazioni internazionali vedono questi insediamenti come un ostacolo alla pace e una violazione dei diritti umani dei palestinesi.

Le reazioni internazionali non si sono fatte attendere. Numerosi paesi hanno condannato la decisione israeliana, chiedendo un immediato stop alla confisca delle terre e agli insediamenti. Le Nazioni Unite e l’Unione Europea hanno ribadito che tali azioni sono contrarie al diritto internazionale e rappresentano un serio ostacolo alla soluzione del conflitto israelo-palestinese. La comunità internazionale continua a sostenere una soluzione basata su due stati, con Israele e Palestina che coesistono pacificamente all’interno di confini sicuri e riconosciuti.

In definitiva, la recente espansione degli insediamenti israeliani nella Cisgiordania occupata rappresenta un significativo passo indietro per le prospettive di pace nella regione. La comunità internazionale, inclusi paesi come la Norvegia e organizzazioni come l’OIC, continuerà probabilmente a esercitare pressioni su Israele affinché riconsideri queste decisioni. Tuttavia, finché non ci sarà un impegno genuino da entrambe le parti per negoziare una soluzione equa, il futuro rimane incerto e teso.

La situazione nella Cisgiordania rimane una questione di vitale importanza per la stabilità del Medio Oriente. Le recenti azioni di Israele mettono in evidenza la complessità e la profondità del conflitto, richiedendo sforzi rinnovati e sinceri da parte di tutti gli attori coinvolti per trovare una via verso la pace e la coesistenza.

 

 

 

Felicia Bruscino

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