Con l’uccisione di Amer al-Butsami, sale a 48 il numero delle vittime palestinesi assassinate dalle forze militari israeliane dall’inizio del 2023, di cui 10 bambini, una donna di 61 anni e un prigioniero diciassettenne che ha perso la vita nelle carceri israeliane.
Sale la rabbia del popolo palestinese dopo l’escalation di violenza ad opera dei leader militari israeliani nei territori del West Bank occupati. Solo nel 2022, sono state 150 le vittime palestinesi ad aver perso la vita nelle operazioni condotte dalle forze militari israeliane. Ne è una riprova quanto accaduto il 26 gennaio nel campo profughi della Cisgiordania, a Jenin. Non solo per catturare un “terrorista di spicco” della Jihad è stata compiuta una carneficina ma, in seguito, l’esercito israeliano ha impedito ai medici di evacuare i feriti dal campo profughi. Come testimoniato dal governatore della Cisgiordania, Akram Rajoub, i soldati hanno sparato dei gas lacrimogeni, che sono penetrati nell’ospedale governativo, costringendo ad interrompere le operazioni chirurgiche.
La situazione già drammatica è stata compromessa ulteriormente il 12 febbraio, quando il gabinetto israeliano ha annunciato la legalizzazione di nove insediamenti nella Cisgiordania occupata. Si tratta degli insediamenti di Avigail, Asael, Shacharit, Givat Arnon, Givat Harel e Givat Haro’eh, Malachei Hashalom, Mitzpe Yehuda, Beit Hogla e Sde Boaz. Non solo, ma il gabinetto israeliano ha anche approvato una serie di nuove misure di sicurezza, tra le quali l’aumento della polizia di frontiera a Gerusalemme e l’intensificazione delle operazioni della polizia contro l’incitamento e il sostegno al terrorismo.
Le azioni discriminatorie nei confronti della comunità palestinese non si fermano qui. I cittadini palestinesi affrontano giorno dopo giorno pesanti emarginazioni in ogni aspetto della propria vita, a partire dai servizi più basilari, fino agli alloggi o all’occupazione.
Nonostante Israele stia demolendo sempre più frequentemente le case palestinesi negli insediamenti illegali di Gerusalemme est occupata, con il pretesto che siano costruite illegalmente, il governo israeliano sta costruendo decine di migliaia di case illegali nel territorio, per compensare l’equilibrio demografico a favore dei coloni israeliani. Inoltre, ai palestinesi di Gerusalemme Est viene negata la cittadinanza e vengono classificati semplicemente come “residenti” per limitati periodi di tempo.
Come giustifica il Primo Ministro queste azioni?
L’ ufficio del Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato: “In risposta agli attacchi terroristici omicidi a Gerusalemme, il gabinetto di sicurezza ha deciso all’unanimità di autorizzare nove comunità in Giudea e in Samaria”, riferendosi a due recenti attacchi palestinesi avvenuti a Gerusalemme che hanno provocato la morte di 10 cittadini israeliani. Posizione consolidata da Netanyahu stesso, il quale ha affermato la volontà di: “rafforzare gli insediamenti”, aggiungendo che il suo governo ha l’intenzione di presentare alla Knesset, ovvero al Parlamento israeliano, una legislazione per revocare la nazionalità israeliana ai “terroristi”.
L’ufficio di Benjamin Netanyahu ha cercato di scagionarsi dalle accuse mossegli contro dalla Comunità Internazionale, sottolineando che:
“Le nove comunità esistevano da molti anni; alcune esistono da decenni”.
Ciò non toglie che oltre mezzo milione di israeliani viva illegalmente in più di 200 insediamenti costruiti su terra palestinese, andando contro alle leggi internazionali.
In che modo sta reagendo la comunità palestinese?
Secondo quanto affermato dai palestinesi, l’aumento degli insediamenti non fa altro che minacciare la convivenza, già tormentata, tra i due popoli. Il Ministro degli Affari esteri Riyāḍ al-Mālikī ha dichiarato che Israele ha superato il limite con le sue azioni, minando gravemente la ripresa del “processo di pace” tra i due paesi. Un’altra voce che si è levata a sostegno della comunità palestinese nel diritto di difendere la propria terra è quella dell’analista politico Mohammad Oweis, il quale ha condannato le rivendicazioni del Primo Ministro israeliano:
“Questa è un’escalation, questo aumenterà il livello di violenza contro le proprietà dei palestinesi”.
Un’ulteriore condanna volta all’operato Israeliano giunge dal meeting della Lega Araba che si è tenuto al Cairo questa domenica, cui hanno partecipato anche il Presidente della Palestina Mahmoud Abbas, il re della Giordania Abdullah II e il Presidente dell’Egitto Abdel Fattah el-Sisi. I presenti al meeting hanno infatti espresso come le misure messe in atto da Israele, tra cui le demolizioni di case e le espansioni degli insediamenti, stiano degenerando verso un punto di non ritorno. All’incontro Abbas ha, infatti, dichiarato che:
“La comunità internazionale deve proteggere il popolo palestinese e porre fine all’aggressione israeliana e alle azioni unilaterali di Israele”.
Secondo il premier palestinese, il suo popolo è vittima di un attacco letale, che può essere arrestato solamente da un congiunto lavoro da parte dei leader mondiali. A sostegno di Abbas, le dichiarazioni del Presidente egiziano el-Sisi, il quale ha invitato la comunità internazionale a:
“Rafforzare la soluzione dei due Stati e a creare condizioni favorevoli alla ripresa del processo di pace”.
Re Abdullah II ha anche messo in luce un aspetto che sta a cuore sia alla religione e alla cultura ebraiche sia a quelle musulmane, ovvero la moschea Al-Aqsa. Stando alle parole del monarca giordano, Israele ha compiuto diverse incursioni nell’area dov’è situata la moschea, ossia nella parte orientale di Gerusalemme. Ahmed Aboul Gheit, segretario generale dell’organizzazione panaraba, ha percepito lo sforzo di Israele di dividere la moschea cancellando, in tal modo, la sua identità e aumentano il caos tra le due comunità. Tuttavia, per il momento il destino dei rapporti tra Israele e Palestina, e le sorti della terra della Cisgiordania, restano nelle mani di Israele.
Alessia d’Aquino