I cinque riti tibetani sono esercizi che apportano benessere a corpo e mente.
Ne parlò per la prima volta Peter Kelder in un interessante libro nel 1939, definendoli il segreto della fonte della giovinezza. Deriverebbero dagli insegnamenti di monaci appartenenti a uno sperduto monastero dell’Himalaya.
Sono movimenti abbastanza semplici che possono essere svolti da tutti a seconda del livello di elasticità e dell’età: accelerano il metabolismo, massaggiano gli organi interni, favoriscono l’eliminazione delle tossine e riequilibrano i centri energetici e psichici.
La medicina indiana individua nel corpo sette centri di energia chiamati Chakra: sono dei punti specifici collegati alle ghiandole del sistema endocrino le quali controllano tutte le funzioni tra cui anche il processo di invecchiamento cellulare.
Quando lo stato di salute è ottimale, nei chakra c’è un vortice che fa circolare velocemente il prana, ossia l’energia vitale, spingendolo in alto verso il settimo, legato alla ghiandola pineale, che costituirebbe un collegamento energetico con il mondo esterno.
Nel momento in cui l’energia rallenta o si blocca si ha un peggioramento dello stato di salute che può considerarsi come l’inizio dell’invecchiamento delle cellule.
Praticare quotidianamente i tibetani comporta dunque la stimolazione dei chakra e del sistema endocrino.
E’ sbagliato considerarli un semplice esercizio ginnico: in realtà costituiscono una sorta di meditazione del corpo.
La filosofia orientale si basa sulla stretta connessione tra mente e corpo: insegna il distacco dalla materialità e il dominio del corpo con la mente, inviando un messaggio a cui il fisico si adegua.
Gli occidentali pensano al contrario che la vita sia soggetta a forze esterne incontrollabili, come la legge del deterioramento del corpo: per gli orientali quest’idea è un’illusione a cui il corpo si adatta. Le risposte ai misteri della vita per questi ultimi si trovano tutte all’interno dell’uomo e non fuori.
Praticare i cinque tibetani va al di là di un beneficio fisico, comportando un innalzamento della coscienza personale e, di conseguenza, anche di quella collettiva.
Ho conosciuto l’esistenza dei tibetani leggendo un’intervista a Brunello Cucinelli, imprenditore del chachemire dall’originale personalità controcorrente.
Cucinelli sostiene che i cinque tibetani gli hanno cambiato la vita e cerca di trasmettere la positiva esperienza agli amici regalando loro una copia del libro di Kelder.
Partendo dal nulla ha fondato un’azienda che occupa mille dipendenti e dà lavoro a 3.500 persone all’esterno.
I genitori facevano i contadini ma il padre fu costretto ad andare in fabbrica: il suo sguardo offeso e umiliato per le condizioni lavorative fu una delle motivazioni che spinse il figlio a creare un’impresa in cui la dignità umana fosse messa al primo posto.
Viene definito un industriale che realizza un profitto con etica, anzi sostiene che il profitto debba essere investito in parte a beneficio della collettività.
Per questo ha restaurato l’antico borgo di Solomeo, nei pressi di Perugia, dove vive e ha sede la sua attività, costruendo un teatro, un anfiteatro, una biblioteca e un’accademia formativa per promuovere la cultura tra i giovani, ricordando la personalità di Adriano Olivetti.
Nel 2012 Cucinelli ha diviso gli utili con i dipendenti per poi quotarsi in borsa; nell’azienda è prevista una pausa pranzo di un’ora e mezza in una mensa che ha l’aspetto e il menù di un ristorante di alto livello, con piatti preparati dalle massaie del borgo.
L’orario di lavoro non va mai oltre le 17.30 perché secondo lui l’uomo, per conservare energia creativa, ha bisogno di riposo e altre attività al di fuori del lavoro.
Nella sede lavorativa regna armonia perché la serenità e la bellezza dei luoghi ispirano la produzione: se si vive secondo natura, rispettando gli altri, ci si sente in pace con il mondo e con sé stessi.
La pratica dei Tibetani di Brunello Cucinelli s’inserisce in questa filosofia: è un pensiero di stima personale che indica la capacità di credere in sé finalizzata alla riscoperta del legame con il Tutto che circonda l’umanità.
«È molto semplice. Penso che non dobbiamo considerarci padroni di ciò che abbiamo ma soltanto custodi, per cui dobbiamo avere cura di ciò che ci circonda e restituirlo al futuro. Bello è un concetto sovrastrutturale che, al di là della sfera figurativa, si riflette in quello globale dell’estetica. Può esser bella un’architettura, un dipinto, una melodia, un capo di vestiario, nello stesso modo in cui può esserlo un’anima».
Un’anima che, anche grazie all’ausilio dei cinque tibetani, si compenetra a un corpo elastico e una mente illuminata.
Paola Iotti