Il decennio d’oro del cinema, quello dei ruggenti Sessanta, rappresentato dalla pellicola Blow-Up, è quello in cui il cinema italiano detta scuola in Europa nel mondo.
La differenza tra quegli autori e quelli di adesso non è solo una gioia espressiva ed una maggiore libertà mentale ma anche l’assenza della paura del confronto col mondo e l’estero.
L’elenco degli attori e dei collaboratori esteri nei film italiani dell’estero è sterminato e giusto per capirne l’importanza è bene fare i nomi di Burt Lancaster, grande amico di Visconti o di Anthony Quinn che aveva recitato ne La strada di Fellini.
Sono esempi riduttivi per numero ma si spera esplicativi per arrivare al punto.
Tra questi autori non poteva certamente mancare Antonioni, amato ed odiato in ugual misura sia in Italia che all’estero.
Nel 1965 Michelangelo Antonioni (1912-2007) è un autore di punta del panorama italiano: amato da Roland Barthes e dai cinefili, ammirato dai grandi fotografi per la sua sapienza della composizione, ha vinto al Festival di Cannes il premio della Giuria per due volte, l’Orso d’oro nel 1961 per “La notte” (in cui figurava un’immensa Jeanne Moreau) ed il Leone d’Oro appena un anno prima con “Deserto rosso“.
La collaborazione con Monica Vitti è stata un punto di non ritorno sia sentimentale che artistico, dati i film sfornati in quel periodo.
Ma ad un certo punto arriva il volo dall’Italia: Antonioni firma un contratto con Carlo Ponti, uno dei nostri produttori più influenti, per realizzare tre film in lingua inglese.
Il contratto prevede la distribuzione del film ad opera della MGM e libertà artistica per Antonioni, cosa che ad Hollywood sarebbe stata difficilissima da ottenere perfino per quei tempi, in cui il Codice Hays, se non proprio morto, emanava gli ultimi gemiti di censura contro il sesso e la violenza su pellicola prima di collassare.
Il regista chiama all’opera Tonino Guerra, suo grande collaboratore e si fa aiutare da Edward Bond per la traduzione in inglese. S’aggiungano all’elenco il direttore della fotografia Carlo DiPalma ed Herbie Hancock alle musiche.
Le riprese si tengono a Londra, nel cast entra David Hemmings, attore visto da Antonioni all’Hampstead Theatre nella parte principale e Vanessa Redgrave, che già si era fatta un nome nel cinema europeo ed era un astro luminoso nel panorama di quegli anni.
La storia prende spunto da un racconto dell’argentino Julio Cortazar, Le bave del diavolo: è la storia di un giovane fotografo di moda che crede di aver le prove di un omicidio avvenuto a Maryon Park.
Comincia così la sua disavventura tra i piaceri della Swinging London in cui nulla è ciò che sembra e l’oggettività diventa una parola vuota, persa tra il frastornamento del caos della metropoli, il sesso, la rete d’inganni che il personaggio della Redgrave gli getta addosso.
Film postmoderno in ogni senso, Blow-Up s’unisce culturalmente alla decostruzione così cara ai filosofi francesi (soprattutto Derrida). Lo studio della realtà perde la struttura e gli agganci della vita moderna, la fiducia nella possibilità di dialogare col mondo.
Il film fu uno dei manifesti della controcultura negli stati anglofoni e fu un successo di pubblico: basti pensare che su un budget di 1,8 milioni di dollari, ne recuperò altri 20 al box-office soltanto statunitense.
La vittoria di Antonioni fu inoltre sancita al Festival di Cannes 1966 dove vinse la Palma d’Oro, altro grande premio nella carriera del regista. Per non parlare poi delle due nomination all’Oscar per miglior regia e miglior sceneggiatura originale.
Il film tornerà in sala il 2 ottobre, restaurato dalla Cineteca di Bologna che così tanto punta alla diffusione del grande cinema, che non smette mai d’ispirare chi ama la settima arte e la vuole scavare con tutto sé stesso.
Antonio Canzoniere