Cinema ed etica: parlare di cronaca attraverso il cinema

Da sempre il cinema si è occupato di riflettere le mode e i fatti inerenti alla società e alla storia umana. In questi ultimi quattro anni abbiamo assistito ad un’ingente riflessione sul concetto di etica applicata, in modo specifico, al mondo del cinema. In Italia l’onda di movimento come #metoo e time’s up è stata tiepida, se non quasi inesistente. Tuttavia, come succede da anni, in Italia ci sono delle questioni che il cinema pare non poter affrontare. Parliamo delle vicende di cronaca accadute nel nostro Bel Paese.

L’ondata del Neorealismo

Con la fine del secondo conflitto mondiale, l’Italia si vide protagonista di una grande rivoluzione stilistica. Non potendo girare negli studios e disponendo di budget da fame, i registi si riversarono sulle strade per poter filmare e accettarono di dirigere attori non professionisti. Nacque il movimento cinematografico noto come Neorealismo. Il primo grande successo fu Roma città aperta di Roberto Rossellini, acclamato in tutto il mondo. Il globo ci acclamava, mentre noi sputavamo veleno addosso ad un prodotto che stava restituendo all’Italia prestigio. Perché gli italiani del tempo si indignarono? La rabbia popolare fu causata dall’aver sbandierato ai quattro venti ciò che realmente avveniva in Italia: fame, disperazione, disoccupazione, pensioni inesistenti. Questa è solo una breve lista di quanto accadeva nel secondo dopoguerra. Tuttavia, andando sul sito del LUCE si possono trovare diverse interviste fatte ai cittadini in cui si chiede loro cosa ne pensano di film come Ladri di biciclette o Umberto D. La risposta di ognuno di loro, in sintesi, è la seguente: i panni sporchi si lavano in casa.

Forse a far storcere il naso ai nostri nonni o bis nonni fu il vedere diffuso a livello internazionale il mal contento popolare e le enormi problematiche sociali del paese. Inoltre, ripescando qualsiasi pellicola neorealista, notiamo che l’antico detto “italiani, brava gente” vacilla. Per concludere il cinema neorealista fu una bocca della verità non voluta e denigrata a lungo. Come al solito c’è stato bisogno del riconoscimento internazionali decenni dopo per poter rivalutare questo importantissimo movimento artistico.

La cronaca

Tornando alla contemporaneità possiamo tranquillamente affermare che pellicole dedicate a fatti di cronaca nera l’hanno fatta da padrone nei nostri cinema. Detto ciò, ognuna di queste pellicole è sempre stata affiancata da grandi stroncature popolari. Bisogna sottolineare che tali recensioni negative avvenivano prima della visione del prodotto da parte dello spettatore. Ciò detto, il NO urlato a gran voce dalle persone oggi non arriva solo per una questione di immagine dell’Italia all’estero, ma per una questione di etica. Uno dei commenti più ripetuti è: su certe cose non si dovrebbe far cinema.

Un esempio di film acclamato dalla critica fu Dogman di Matteo Garrone, ispirato alla vicenda del Canaro della Magliana. Il film, apprezzato dalla critica tanto da essere stato selezionato dall’Anica per rappresentare l’Italia agli Oscar 2019, in patria ebbe una tiepida accoglienza. “Non andrò a vedere “Dogman” perché penso, magari sbaglio, che una doppia tragedia come quella della Magliana del 1988 sia indagabile solo e soltanto senza mostrarla.” Queste le parole di Antonella Boralevi su “La Stampa”. La domanda da porci è: cosa davvero il cinema non può mostrare e perché?

L’etica

L’omicidio di una persona non è mai qualcosa che riguarda solamente vittima e carnefice. Attorno ad un delitto ci sono sempre personaggi di contorno fondamentali che dovranno vivere per sempre con il ricordo di quanto accaduto. Detto ciò, ogni volta che si decide di fare un film su fatti realmente accaduti, il primo passo che la produzione deve compire è contattare i personaggi di contorno. Loro dovranno leggere il materiale, approvare il progetto e, infine, firmare un accordo che consenta alla produzione di utilizzare fatti personali e nomi veri. Perciò raramente un film biografico viene prodotto senza il consenso dei testimoni reali e, quindi, essendoci il consenso dei familiari l’opera non sarà immorale.

Alfredino

Tuttavia, dall’alto dei nostri tablet o dei nostri smartphone, ci siamo sentiti in diritto di criticare aspramente registi o attori coinvolti nella produzione di progetti simili. Abbiamo due esempi recenti: la mini serie Sky Alfredino e il recente Yara su Netflix. Entrambi i prodotti raccontano la storia di vicende terribili realmente accadute ai danni un bambino e di un’adolescente. Il caso Alfredino risale al 1981, anno in cui il bambino rimase bloccato in un porto artesiano e morì per soffocamento. Nel 1981 la RAI piazzò le telecamere davanti a quel pozzo 24 ore su 24 senza mai staccare l’inquadratura. L’Italia rimase incollata allo schermo per seguire l’andamento della vicenda sino alla tragica fine. Nel 2021 abbiamo visto il primo trailer della ricostruzione cinematografica dell’accaduto ed è nato il putiferio. “Non c’è bisogno di filmare una cosa simile, la ricordiamo tutti a memoria. Farci un film è immorale”. La domanda che qui vi pongo è: chi è immorale? Una produzione che ricostruisce la tragedia con il consenso della famiglia o una serie di telecamere piazzate tutto il giorno davanti ad un pozzo con un bambino morente senza il consenso dei parenti perché giustamente troppo impegnati a vivere la tragedia?

Yara

Su Netflix è arrivato il film diretto da Marco Tullio Giordana dal titolo Yara, dedicato all’omicidio della 13enne Yara Gambirasio. Sin dall’uscita del trailer in molti hanno pigiato con forza le dita sulla tastiera per scrivere commenti d’odio e di disappunto. “Si tratta di una vicenda ancora fresca, è passato poco tempo, è uno schifo”. Infatti, se solo le persone fossero state capaci di attendere l’uscita del film, avrebbe fatto una sconvolgente scoperta: la pellicola parta dell’omicidio di Brembate ma non è su Yara. La confusione, a questo punto, è comprensibile. Giordana non fa un film dedicato alla vittima o al carnefice di un fatto di cronaca, bensì decide di rendere protagonista colei che si occupò delle indagini, la pm Letizia Ruggeri (Isabella Ragonese). Il film punta il dito sulle indagini, sulle sue mancanze e sui suoi pregi e, soprattutto, riflette anche sull’influenza dei media e sull’invasione degli stessi. Il film non manca di difetti, ovviamente, tuttavia si rivela essere un’opera rispettosa che ha fatto storcere il naso solo al lega di Bossetti, il quale a priori si rifiuta di vederlo.

In conclusione che rapporto dovrebbero avere cinema ed etica? Il cinema deve avere dei paletti? A rigor di logica, l’etica mi sembra proprio che sia stata distrutta dal mezzo televisivo tempo fa con l’invadenza gratuita e la fame di morte del pubblico (perché siamo anche noi colpevoli, dato che l’audience lo facciamo noi). Il cinema ricostruisce, istruisce i più giovani e, se non si tratta di un’opera documentaristica, è fiction. Ergo, non troverete la perfezione ma solo punti di riflessione.

Sabrina Monno

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