L’evoluzione finanziaria mondiale dipende in gran parte dalla Cina. La grande potenza asiatica continua ad essere in grande ascesa, ma i prossimi passi del governo di Pechino in ottica economica interessano da vicino sia l’Europa che gli Stati Uniti, che hanno in programma una serie di summit tenuti dal presidente Donald Trump.
Ad attirare le attenzioni mondiali sono i dati dell’economia cinese.
I cittadini risparmiano annualmente una cifra che supera 5mila miliardi di dollari, quota che Stati Uniti e Unione Europea insieme non riescono a raggiungere e che vedono con “sospetto” e invidia. L’ampio margine di risparmi lascia spazio agli investimenti, che nel 2015 hanno superato i livelli del 2008: il 43% del Prodotto Interno Lordo di Pechino era destinato agli investimenti lordi, e questo dato è avvenuto nonostante il calo del 30% del tasso di crescita dell’economia. La conseguenza di questa economia ad alto tasso di investimenti è un rapporto tra credito e PIL che è pressoché raddoppiato nel corso degli ultimi 8 anni, passando dal 141% fino al 260%.
Questa mini-crisi ha provocato l’esplosione del più grande sistema bancario del mondo. In Cina gli operatori di settore hanno dovuto quindi fronteggiare sia l’ampio numero di prestiti tra istituti bancari, sia il fallimento e lo scarso valore dei prodotti di gestione patrimoniale a disposizione dei risparmiatori.
Questa serie di difficoltà hanno lentamente trasformato un gigante come la Cina in un enorme mercato, potenzialmente importante, ma dai contorni sempre più selvaggi: i continui alti e bassi, accompagnati dagli eccessi finanziari e da una serie di imprevedibili squilibri, preoccupano non solo per gli sviluppi interni ma anche per quelli esterni. All’orizzonte c’è infatti un caos finanziario di proporzioni assimilabili a quanto verificato nel periodo delle cosiddette Grande Depressione e Grande Recessione. Il problema parte quindi proprio dal “basso”.
Le famiglie cinesi, secondo quanto testimoniano i dati della Banca Mondiale, contribuiscono al risparmio della potenza asiatica solo per un “magro” 50%. Il resto arriva invece dalle imprese e dal settore pubblico. A fronte di questi risparmi non investiti – provenienti in gran parte dalle imprese e dalla pubblica amministrazione -, potrebbe arrivare un incremento del Prodotto Interno Lordo pari a 15 punti percentuali, ma in questo momento la Cina non sembra aver trovato la chiave per risolvere questo problema macroeconomico.
Le famiglie cinesi non possono quindi sfruttare adeguatamente le opportunità del mercato, e non possono neppure più fidarsi dei promotori finanziari e delle banche, che propongono di investire i risparmi nelle soluzioni di gestione patrimoniale, uno strumento finanziario che permette di conservare e incrementare nel tempo il valore del proprio capitale. Sia che si tratti di investimenti in azioni, obbligazioni o Etf, sia che si parli di fondi pubblici, i risparmiatori orientali non possono più sfruttarne i vantaggi. La delega agli addetti ai lavori ha prodotto i primi risultati di questa crisi che potrebbe espandersi a livello internazionale.
La fragilità del sistema economico cinese nasce anche da una reportistica che permette ai consulenti di operare sul mercato in relativa libertà, salvo poi rendicontare le scelte a distanza di mesi. Tra l’altro, per impedire che i capitali risparmiati e non investiti in “casa” vadano all’estero, il Governo cinese ha posto serie limitazioni nel corso degli ultimi mesi.
Conseguenza diretta e quanto mai attuale è stata verificata anche in Italia con i problemi riscontrati nel cambio di gestione del Milan e nei continui ritardi del closing. Il calcio italiano ne risente solo relativamente, visto che a giorni, e dopo una serie infinita di colpi di scena, dovrebbe essere scritta la parola “fine” alla telenovela asiatica, ma i mercati internazionali non possono attendere oltre e, per evitare il tracollo, devono studiare una soluzione per calmierare la crisi finanziaria che sta attraversando la Cina.