La crescita economica cinese sembra essere ormai a corto di fiato. Nell’ultimo trimestre, il tasso di crescita si è fermato al 6,2%, il risultato più basso dal 1992. L’output industriale è invece cresciuto a maggio del 5% su base annua, un dato molto magro se paragonato alla media degli ultimi trent’anni (12%). Mentre la guerra commerciale ferisce la Cina sul fianco, colpendo import e export, i veri problemi del dragone sono tutti interni e pongono una seria minaccia alla stabilità del sistema. Stiamo parlando della sua gigantesca sovraccapacità produttiva e della mole spaventosa dei suoi debiti.
Se per anni la Cina è stata una gallina dalle uova d’oro per gli investitori di tutto il mondo, è sempre più evidente che questa gallina è seduta su un’immensa montagna di uova che non sono tutte d’oro, e anzi quelle di metallo sono accatastate sulle più fragili uova da supermercato che si frantumano sotto il loro peso. È lo stesso Fondo monetario internazionale (Fmi) a segnalare la pericolosità della traiettoria dell’indebitamento cinese, indicandone i due possibili esiti in un “aggiustamento dirompente”, cioè un crack finanziario, o in un “marcato rallentamento della crescita”.
Dopo la tempesta della Grande crisi del 2008, l’economia cinese ha quasi dato l’impressione di esserne uscita indenne. La verità è che la crescita degli ultimi anni è stata drogata da un’espansione del credito senza precedenti. Il rapporto tra il debito del settore non finanziario e il Pil cinese è salito, secondo il Fmi, dal 135% al 235% (2016). Ma il dato più preoccupante è quello che arriva dal settore bancario, cresciuto negli ultimi tre anni del 50%. Il bilancio delle banche cinesi equivale al 310% del Pil, un dato che rivela come il miracolo dello sviluppo economico cinese post-crisi sia in realtà poco più che un gioco di prestigio. La Cina ha utilizzato la leva del credito per scongiurare i danni della crisi economica, è riuscita a mantenere entro certi limiti le soglie di occupazione e crescita, ma sta solo correndo contro il tempo.
Il recente fallimento della Baoshang Bank ha contribuito a alimentare i crescenti timori sulla tenuta del settore finanziario cinese, spingendo alcuni a profetizzare un imminente crack in stile Lehman Brothers. Mentre le banche continuano ad espandere il credito, aumentano soprattutto i crediti in sofferenza, che sono quadruplicati negli ultimi sette anni, raggiungendo il record dello 1,89%, un dato inaudito nell’ultimo decennio. La stagnazione dei profitti bancari rende il panorama sempre meno confortante. Ma altrettanti timori si sollevano sul fronte del mercato interno.
Davanti alla fragilità del mercato globale, la Cina ha sempre più investito nella domanda interna, anche grazie all’effetto trainante dell’aumento dei salari, dovuto a una crescente conflittualità nei luoghi di lavoro. Tuttavia, il picco raggiunto dal debito legato alle carte di credito, gonfiatosi di sei volte dal 2012, rivela come sia di nuovo la leva creditizia a sostenere il mercato interno. Inoltre, la speculazione selvaggia nel settore immobiliare e l’aumento dei prezzi delle case alimenta ulteriori rischi per le famiglie e di conseguenza per il sistema finanziario .
Nonostante gli ingenti sforzi del governo per ridurre il debito, la Cina ha una capacità produttiva che sorpassa di molto la capacità del mercato di assorbire le sue merci. Il debito è stato finora il principale strumento per superare questo gap tra domanda e offerta. Solo una ripresa in grande stile dell’economia globale potrebbe permettere al dragone di riassorbire la sua sovrapproduzione. Ma le prospettive sono ben diverse, come mostrano gli ultimi dati su base annua del settore automobilistico cinese, che ha visto crollare del 17,3% la produzione e del 9,6% le vendite dei veicoli.
In questo contesto, la crisi a catena di 28 aziende cinesi nella città di Dongying è un’anticipazione di quello che potrebbe avvenire. L’effetto domino, che ha colpito anche grandi imprese come lo Shandong Dahai Group e lo Shandong Jinmao Textile Chemical Group, è il risultato della stretta interconnessione finanziaria delle imprese. Garantendo i prestiti l’una per l’altra, le aziende si sono trovate quasi in contemporanea sull’orlo della bancarotta. Le difficoltà economiche sono il principale ostacolo nella corsa della Cina per diventare la prima potenza mondiale, ma sono anche una minaccia alla sua stabilità interna, come hanno dimostrato le proteste oceaniche di Hong Kong. L’ironico itinerario del gigante asiatico, fino ad adesso il principale puntello della crescita globale, potrebbe portarlo a diventare il più grande “buco nero” finanziario della storia.
Francesco Salmeri