Negli ultimi giorni la Cina ha messo in atto una vera e propria campagna di boicottaggio del celebre marchio di fast fashion H&M. Il governo cinese, infatti, ha lanciato un appello alla popolazione attraverso giornali, radio e canali televisivi suggerendo di non acquistare più prodotti H&M e ne ha impedito la vendita sulle più utilizzate piattaforme di e-commerce. Diversi personaggi televisivi e celebrità cinesi hanno a loro volta promosso il boicottaggio del brand interrompendo gli accordi di sponsorizzazione. Insomma, l’intera Cina boicotta H&M: ma quali sono le motivazioni che si celano dietro a questa presa di posizione?
Le sanzioni di UE, Usa, Canada e Regno Unito alla Cina per violazione dei diritti umani degli uiguri
La settimana scorsa, in occasione della visita del segretario di stato Usa Antony Blinken a Bruxelles, è partita una campagna coordinata di sanzioni alla Cina da parte di Unione Europea, Usa, Canada e Regno Unito. A venire sanzionati da Bruxelles con il congelamento dei beni detenuti nell’Ue e con il divieto di ingresso nell’Unione sono quattro dirigenti della Repubblica Popolare Cinese, indicati come responsabili delle detenzioni di massa della minoranza musulmana uiguri nella regione dello Xinjiang. Inoltre, l’Ue ha sanzionato anche la Xinjiang Production and Construction Corps Public Security Bureau, l’organizzazione statale paramilitare responsabile della gestione dei campi di detenzione e, più in generale, di tutti gli affari interni della regione autonoma dello Xinjiang Uyghur (XUAR).
La campagna coordinata di sanzioni alla Cina, oltre ad essere il primo provvedimento preso nei confronti di tale nazione dal massacro di Piazza Tienanmen del 1989, è anche la prima azione all’interno del Magnitsky Act per la protezione internazionale dei diritti umani, il nuovo sistema di disposizioni adottato dall’Ue che consente di punire individui, entità o organismi coinvolti nelle violazioni dei diritti umani, indipendentemente dal luogo in cui siano avvenute.
La risposta di Pechino non si è fatta attendere. Il governo cinese ha condannato le sanzioni imposte affermando che esse sarebbero basate esclusivamente su bugie e calunnie ai danni della Repubblica Popolare Cinese e che minerebbero fortemente la sovranità cinese sul proprio territorio, nonché le relazioni internazionali. A sua volta, infatti, il ministro degli esteri cinese ha annunciato sanzioni contro l’Ue ai danni di 11 personalità tra cui eurodeputati, istituzioni europee e accademici. Anche in questo caso le sanzioni prevedono il congelamento dei beni sul territorio nazionale : alle persone fisiche e alle loro famiglie è fatto divieto di mettere piede in Cina, Hong Kong e Macao, mentre enti e aziende saranno estromessi dal condurre affari con la Cina.
La Cina boicotta H&M per l’annuncio dello stop all’export del cotone dallo Xinjiang
Alcuni mesi fa il colosso della fast fashion H&M, con un comunicato sul suo sito ufficiale poi cancellato, aveva annunciato l’intenzione di bloccare l’export di cotone dalla regione dello Xinjiang. Lo XUAR è la più grande area di coltivazione del cotone della Cina e, fino ad ora, i fornitori locali di H&M Cina hanno acquistato cotone da aziende agricole della regione. Secondo quanto affermato nel comunicato, H&M avrebbe deciso di sospendere la licenza del cotone a causa del conflitto di interessi dato dallo sfruttamento e dalla detenzione degli uigura.
Il cotone della regione dello Xinjiang è tra i più utilizzati nel settore tessile dell’abbigliamento e rappresenta circa il 20% del cotone usato in tutto il mondo. Per produrlo, lavorarlo e impiegarlo nelle grandi fabbriche di fast fashion oltre un milione di individui vengono schiavizzati ogni giorno. Al di là delle colpe del governo cinese, non si può soprassedere sulle responsabilità dei grandi marchi di moda occidentali. Quando interpellati dall’Ue circa la provenienza del cotone utilizzato nelle proprie filiere di produzione, tra dicembre 2020 e gennaio 2021, nessun brand ha ammesso di impiegare il cotone dello Xinjiang. Questo perché le loro filiere sono talmente ricche di deleghe e le loro catene decisionali tanto frammentate che spesso non è possibile ottenere un quadro trasparente delle loro azioni.
In ogni caso, se la Cina boicotta H&M per questa presa di posizione con tanto ritardo è solo a causa delle sanzioni emanate dell’Occidente. Nonostante abbia essa stessa reagito con sanzioni condannando l’intromissione nei propri affari interni, boicottare i grandi marchi di fast fashion come H&M, Nike e Zara, ha anche un alto valore simbolico oltre che economico. Non è un caso, infatti, che la Russia abbia prontamente manifestato il proprio supporto alla Cina contro le sanzioni ricevute. Le intenzioni della Cina, condivise dalla Russia, sembrano essere chiare: smarcarsi sempre più dalla dipendenza del dollaro e, di conseguenze, dal controllo occidentale. Creando e rinsaldando questa nuova asse finanziaria tra i due paesi sarebbe possibile per i loro governi aggirare tutta una serie di blocchi e limitazioni a livello economico.
Tra interessi economici e scontri politici a chi importa degli uiguri?
Nonostante il fatto che negli ultimi anni sia cresciuta sempre più a livello internazionale la consapevolezza sulla questione uiguri e nonostante le manifestazioni di interesse dell’Ue e le campagne di sensibilizzazione di associazioni come Amnesty International, finora poco si è fatto dal punto di vista pratico. Le richieste e i tentativi di intervento fino a questo momento hanno ottenuto scarsi risultati: a dicembre 2020, per esempio, la Corte Penale Internazionale ha rifiutato di aprire un’inchiesta sulla Cina in quanto non avrebbe giurisdizione sul suo territorio.
Tanto le sanzioni di Ue, Regno Unito, Canada e Usa alla Cina quanto quelle emanate da Pechino ai danni dell’Ue, nonché il boicottaggio del brand H&M, appaiono tutte azioni guidate da interessi economici e politici da inserire nel più ampio scontro tra il gigante asiatico e l’Occidente. Ecco che le accuse di violazione di diritti umani della minoranza uiguri appaiono quasi come mero espediente, un capro espiatorio utile ad attaccare la Cina, sempre più potente nel mercato internazionale. Sorge spontaneo domandarsi se, al di là di sterili dichiarazioni e prese di posizione in odore di greenwashing da parte delle multinazionali della moda, interessi veramente a qualcuno della reale condizione degli uiguri.
Nello XUAR si stanno commettendo crimini contro l’umanità ed è in corso quello che diversi osservatori internazionali non hanno esitato a definire un genocidio culturale: si tratta della più grande detenzione di minoranze etniche e religiose della storia dalla seconda guerra mondiale. Circa un milione e mezzo di persone sono tenute prigioniere in campi di detenzione, chiamati campi di rieducazione proprio perché reprimono e puniscono con la forza le pratiche religiose e culturali uiguri. Circa un milione e mezzo di uiguri subiscono ogni giorno tortura fisica e psicologica, indottrinamento politico e religioso e perfino sterilizzazione forzata.
La condizione attuale in cui versa la minoranza uiguri è frutto di una politica cinese in atto fin dal 2014, volta ad assoggettare le minoranze musulmane nel paese: che l’indignazione del mondo della moda giunga solo oggi, date anche le responsabilità dirette e indirette che esse hanno nel genocidio uiguri, è un chiaro segno di come condizioni simili di lavoro siano molto più frequenti di quel che immaginiamo. Rimane la speranza che le sanzioni annunciate ai danni della Cina non si risolavano in un nulla di fatto ma possano mettere in moto un reale intervento di salvaguardia nei confronti degli uigura.
Marta Renno