Di Francesca de Carolis
“Ho fatto parte di questo mondo nocivo, credevo di essere nel giusto, come un soldato obbedivo agli ordini, ma anche quando li davo ritenevo di comportarmi rettamente, secondo l’orientamento che avevo metabolizzato negli anni.
Sbagliavo, ma la mia ignoranza non mi consentiva di comprenderlo, perché l’ignoranza è una prigione peggiore della prigione stessa, non ti consente di avere un pensiero per fare delle scelte, cosa diversa dalla cultura.
Tutto ciò non legittima né tantomeno giustifica il mio passato…”
Ho fra le mani il suo libro appena stampato, proprio oggi che in tutta fretta il governo vara il provvedimento sull’ergastolo ostativo, di fatto andando contro le indicazioni della Corte Costituzionale che lo scorso anno aveva infine chiarito come questa pena fosse fuori dal dettato costituzionale. Una pena, molto semplificando, che subordina la concessione dei benefici (permessi, libertà condizionale…) all’essere stati collaboratori di giustizia. “Pentiti”, diciamo, o collaboratori di giustizia, è una scelta processuale, mentre dimentichiamo quello che il vero pentimento è: ripensamento della propria vita che poco o nulla può avere a che vedere con la collaborazione.
E penso a Pasquale, che non è stato collaboratore, da anni in attesa di un primo permesso da uomo libero… Penso a lui e allo straordinario percorso compiuto in questi lunghi e tormentati anni, durante i quali un vero ripensamento sulla sua vita pure l’ha avuto. Ha studiato, molto ha letto. Molto ha letto soprattutto a proposito della storia d’Italia, interrogandosi sulle cause delle condizioni del nostro Sud e della gente che lo abita. Lo ripeto sempre, la cosa che mi ha subito colpita da quando lo conosco è la sua determinazione nel voler leggere la sua vicenda personale, la sua storia individuale, nell’ambito della Storia, quella con la S maiuscola. E non gli sarò mai grata abbastanza per avermi spinta a leggere, rileggere piuttosto oltre la retorica risorgimentale che abbiamo imparato a scuola, pagine della nostra storia. Aiutandomi a colmare, ad esempio, imperdonabili lacune a proposito della questione del brigantaggio e di tante atrocità rimaste a volte nascoste nelle pieghe della Storia ufficiale…
E mi ha sorpreso la sua capacità di ripercorrere tutta la sua vita nel bene e nel male, senza infingimenti. Sullo sfondo il Cilento, il paese dove la sua famiglia ha avuto origine, e dove spera di poter tornare. Un sogno sul quale rischia di cadere come una mannaia il provvedimento varato dal governo, pieno di ombre che già fanno parlare di illegittimità quando non di incostituzionalità (fra gli altri è molto chiaro a questo proposito l’ex ministro della Giustizia Giovanni Maria Flick).
Accenno solo a un punto, la necessità di dover accertare che l’ergastolano ostativo non abbia collegamenti con la criminalità organizzata, che è pur cosa legittima, ma con il decreto si stabilisce che sia il detenuto a dover dimostrare che così non sia. Non solo. Deve dimostrare che è escluso ogni “pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi”. Insomma, è la persona detenuta che deve fornire elementi di prova contraria. La pretesa di una probatio diabolica, per dirla con le parole dell’Unione delle Camere Penali, che Damiano Aliprandi riprende nella sua approfondita riflessione su “Il Dubbio”… “Ma come si può provare l’insussistenza del pericolo di un futuro evento di tal fatta? Non è questo un modo per rendere impossibile quello che pur si fa mostra di voler ammettere? Con ciò rifiutando in concreto ciò che la Costituzione richiede?”
E penso a Pasquale De Feo, dopo quarant’anni di prigione. Ma avete idea di cosa siano quarant’anni di prigione?
Non è naturalmente della necessità di una pena in risposta ai reati che si discute. Ma del suo senso sì. E oggi arriva questo decreto varato in tutta fretta per evitare il nuovo intervento della Corte Costituzionale che aveva dato un anno di tempo al parlamento per rivedere le norme sull’ostatività. Risolvendo le lentezze del parlamento, che già di suo aveva elaborato e non ancora approvato un testo (che il provvedimento del governo ricalca) già peggiorativo delle originali norme sull’ostatività, andando contro le indicazioni della Corte. E c’è un’amara riflessione che va fatta, e non è pensiero solo mio, ma di ben autorevoli giuristi e studiosi: il populismo penale nel nostro paese non è appannaggio della destra, ma atteggiamento trasversale, che tutto permea, tranne pochissime eccezioni, da destra a sinistra.
Oggi arriva il decreto che rende di fatto estremamente improbabile che un detenuto ostativo possa accedere a benefici penitenziari. E mi chiedo se il ministro Nordio, che oggi sostiene che si siano accolte le indicazioni della Corte Costituzionale solo perché “superato l’automatismo per cui per il semplice fatto di essere condannati per alcuni reati scattassero certi provvedimenti”, sia la stessa persona che tanto nettamente si era pronunciata contro l’ergastolo.
Pensando a Pasquale De Feo, alla sua Itaca, dove quanti l’abbiamo conosciuto e seguito in questi anni siamo convinti meriti di ritornare.
“Il mio pensiero va a coloro che per qualche motivo, da aver urtato la loro sensibilità fino alle cose più gravi, ho colpito. Chiedo loro perdono, ma prima voglio perdonare chi ha ucciso mio fratello, perché il perdono bisogna concederlo prima di chiederlo.
L’odio distrugge tutto ciò che si incontra sul proprio cammino, mentre il perdono libera l’anima e ti cambia la vita restituendoti tutti quei sentimenti belli per i quali nasce l’essere umano”.
Pensando a Pasquale che chiude dunque il suo libro chiedendo perdono, e dimostrando quanto grande è stato il suo cambiamento. E noi ne siamo sicuri. Se così non fosse, sconfitto sarebbe lo stato che tanti anni lo ha avuto in “cura”.