Da secoli nelle società del passato, oltre alla solita suddivisione in classi sociali, le donne erano vittime di un ulteriore sotto-classificazione. Il cibo patriarcale rappresenta gli alimenti ritenuti meno nobili e semplici da reperire, quindi di competenza femminile.
L’antica Roma
I romani erano un popolo di agricoltori, alla base dell’alimentazione vi erano pietanze vegetali. La base di tutta l’economia agraria romana si basa quasi interamente sulla produzione cerealicola, a seguire i cavolo, cipolla e aglio. Naturalmente, non mancava la produzione di formaggi, soprattutto il pecorino, di carne di pecore in maggiore quantità e pollame, inoltre, i romani erano consumatori di uova.
Il ruolo delle donne romane nell’agricoltura
Le donne avevano il compito di gestire la famiglia e occuparsi della casa, erano le prime a svegliarsi e le ultime ad andare a dormire. Ad esse era affidato il ruolo di procurare erbe di campo i cui usi erano legati alla preparazione di pietanze con i prodotti coltivati dall’uomo; le bacche e la frutta selvatica, come lamponi, mirtilli e fragole; la raccolta di castagne, ottime sotto l’aspetto nutrizionale. Questi alimenti, sono cibo patriarcale poiché sempre accostati al cibo principale, di cui si occupa l’uomo.
Anche l’allevamento era un esclusiva maschile, le donne infatti si occupavano solo della gestione degli animali da cortile. Gli allevamenti ad uso alimentare erano prevalentemente di ovini e volatili, gli uomini avevano il compito di portare le pecore al pascolo, mentre le donne dovevano occuparsi di nutrire le galline e raccogliere le uova. Anche in questo caso possiamo parlare di cibo patriarcale, in quanto la donna non era ritenuta abbastanza forte da poter gestire animali di taglia più grande.
Nel Medioevo
l’alimentazione prevalentemente vegetale tipica romana, viene integrata con le usanze alimentari dei barbari. La tradizione agricola e l’allevamento continuano su tutto il territorio italiano ma aumentano le battute di caccia. L’usanza di andare a caccia era tipica del mondo maschile, catturare animali di grossa taglia aveva una valenza simbolica di forza e potere.
Il ruolo delle donne nelle campagne medievali
Nonostante il medioevo sia protagonista di scambi culturali, resta la concezione della donna inferiore all’uomo. Ad esse, infatti, rimane il compito di gestire la famiglia, il focolare domestico e di occuparsi di piccoli approvvigionamenti.
Per tutto il medioevo continua l’utilizzo di erbe da campo in più c’è l’aggiunta di spezie, un uso comune che le donne facevano con la vegetazione spontanea e le spezie era quella di bollirle con l’acqua, questo processo serviva a renderla potabile.
Sono numerose le immagini medievali che ritraggono donne a lavoro nei campi o nella gestione dell’abitazione. Nei dipinti l’uomo è sempre ritratto in scene di semina o lavorazione del campo; la donna invece si occupava del cibo patriarcale, ossia la mietitura, la spremitura dei grappoli d’uva e la raccolta di ortaggi.
Inoltre, così come in epoca romana, anche nel medioevo le donne si occupavano degli animali da cortile, anche essi considerati cibo inferiore, perché ritenuti inferiori rispetto alla carne della selvaggina.
L’Italia post-unitaria
L’agricoltura non rappresenta più il motore pulsante dell’economia italiana, la vita in campagna è sostituita dalla città e la figura del contadino con quella dell’operaio.
Nel sud Italia, la cultura contadina resta più radicata, sono presenti in prevalenza masserie, cioè un insieme di edifici dove co-abitano i contadini e gli animali. Le gerarchie sociali sono ben definite: il proprietario terriero, il fittavolo colui che affitta la terra e vive nel complesso agricolo, il fattore ossia l’incaricato della gestione della terra per conto del proprietario, i mezzadri, che dividevano a metà la produzione con il proprietario. Vi erano infine i braccianti, assunti solo in mancanza di mano d’opera da parte della famiglia contadina.
Le donne nell’agricoltura italiana
Il ruolo delle donne è stato fondamentale, custodi della casa e dei figli hanno sempre contribuito al lavoro agricolo attraverso l’approvvigionamento del cibo patriarcale.
Anche in questo periodo storico, alla donna erano riservati i compiti più duri e meno valorosi. La vita all’interno delle comunità familiari del ‘900 sono di stampo patriarcale e questo si ripercuote sui compiti affidati alle donne.
Il cibo patriarcale per eccellenza affidato alla cura delle donne è la patata: dalla preparazione del terreno, al controllo meticoloso di ogni tubero, il recupero dei germogli per la semina successiva e infine, alla cucina della pietanza.
L’odore del riscatto
Durante gli anni della guerra, il cibo patriarcale scompare, la mancanza di uomini perché mandati al fronte, offre alle donne la possibilità di emergere e prendere le redini del lavoro agricolo e operaio.
La presa di coscienza del potenziale femminile e l’abbandono dell’idea di cibo patriarcale, sono mal visti dal mondo maschile. Negli anni a pieno regime fascista, la Chiesa in accordo con le forze politiche cercano di ridefinire il ruolo della donna, ricollocandola ad un ruolo marginale nell’ambiente familiare e lavorativo.
Successivamente saranno numerosi i movimenti femministi, in favore dei diritti delle donne, per la parità sul luogo di lavoro e contro il cibo patriarcale.