“Ciao”: una parola, quattro lettere e una lunga storia dietro di sé. Quello che viene ritenuto il saluto più comune ed informale nasconde un’origine molto più antica e complessa di quanto si creda.
La storia di “Ciao”
Sembra che «ciao» derivi dal latino «sclavum», variante di «slavum», in riferimento al periodo in cui venivano ridotte in schiavitù le genti di provenienza slava. L’usanza di salutare chi si incontra dicendo di essere “suo schiavo” (come nel caso del friulano «mandi» proviene da «comandi») ha origine nel Quattrocento, da ciò sarebbe nato «ciao», derivante dal veneziano «s’ciavo» (ossia, “schiavo”). Anche nella definizione riportata dalla Treccani si fa riferimento a quest’origine:
ciao interiez. e s. m. [voce di origine veneta, da s-ciao, s-ciavo, propr. «(sono vostro) schiavo»]. – Forma di saluto amichevole, un tempo frequente soprattutto nell’Italia settentr., ora di uso internazionale; si rivolge, al momento dell’incontro o della separazione, a una o più persone a cui si dà del tu: c., come stai?; C. a tutti, sono Aldo Nove e ho scritto alcuni libri apprezzati dal pubblico (Aldo Nove); è usata meno spesso nella chiusa di lettere, dove è molto confidenziale.
Ma perché “ciao” compie 200 anni? Perché risale a due secoli fa la sua prima attestazione scritta. Difatti, nel 1818 Francesco Benedetti, tragediografo di Cortona, in una lettera parla del modo gentile in cui viene trattato dai milanesi e da una signora con cui si reca alla Scala: «Questi buoni Milanesi cominciano a dirmi: Ciau Benedettin». Sempre di quello stesso anno è un’epistola di Giovanna Maffei, contessa veronese, che porge a suo marito i saluti del figlio ancora piccolo: «Peppi à appreso a dire il tuo nome, e mi disse di dir ciao a Moti». L’anno successivo, nel 1819, Lady Sidney Morgan, scrittrice inglese, descrive il modo in cui alcuni spettatori presenti presso la Scala si salutano con un «cordial ciavo».
“Ciao” fra canzoni e libri
“Ciao” è così tanto usato da essere la seconda parola italiana più conosciuta all’estero dopo “pizza”. Non solo, questo saluto è stato protagonista di diverse canzoni, divenute famose anche a livello internazionale. Basti pensare a:
«Questa mattina mi son svegliato, oh bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao».
Il canto divenuto l’inno dei partigiani affonda le sue radici in un brano piemontese dell’Ottocento, ma lì era assente la parola «ciao», presente invece in un canto delle mondine degli anni Quaranta. A scoprirlo è stato l’etnomusicologo Roberto Ledy. Il successo di Bella ciao è dovuto, fra le altre cose, ad un disco contenente canti popolari interpretati da Yves Montand.
Rimanendo in tema di canzoni celebri, come non citare Piove scritta da Domenico Modugno e Dino Verde? Vinse il Festival di Sanremo del 1959. Il celebre ritornello “Ciao ciao bambina” ha dato vita a traduzioni, trascrizioni e adattamenti stranieri quali l’inglese «Chiow Chiow Bambeena», la tedesca «Tschau Tschau Bambina» e la spagnola «Chao chao bambina». Vi fu una versione francese cantata da Dalida. Nicola De Blasi, celebre linguista, ha scritto un libro intitolato proprio Ciao e pubblicato dalla casa editrice Il Mulino, in esso dichiara che proprio la canzone di Modugno e Verde segnò il punto di svolta per la fama della parola «ciao» al di fuori dell’Italia. Ma essa era già usata nei Paesi stranieri: difatti lo scrittore e critico francese Paul Bourget in un suo romanzo del 1893 fa pronunciare ad un personaggio il saluto: «Ciaò, simpaticone». Così come nei primi anni del Novecento si suonava un valzer intitolato «Ciao». Tornando alle canzoni, nel 1967 Tenco partecipò a Sanremo con Ciao, amore, ciao, ma proprio in quell’anno la Piaggio inaugurò un nuovo motorino chiamandolo «Ciao» in suo onore e usando lo slogan «Bella chi ciao», per far colpo sui giovani. L’anno seguente, nel 1968, a Sanremo vi fu un duetto tra Louis Armstrong e Lara Saint Paul sulle note di Ciao, stasera son qui.
“Ciao” anche al cinema, nel calcio e in mostra nei musei
Dalla musica è passato poi ai film neorealisti e alle commedie. Nel 1958, nel film I soliti ignoti di Mario Monicelli, Vittorio Gassman, al termine della visita all’amico ricoverato in ospedale, si congeda da Capannelle dicendogli: «Addio, ciao, bello». Il saluto più comune è letteralmente sulla bocca di tutti, al punto che nel 1968 esce il settimanale illustrato «Ciao 2001» e viene prodotta una crema al cioccolato chiamata «Ciaocrem». L’apice del successo di “Ciao” viene raggiunto nel 1990, anno in cui l’Italia ospitò i Mondiali di calcio, in quell’occasione la mascotte dell’evento fu una sagoma fatta di cubi tricolore e al posto della testa un pallone, chiamata proprio “Ciao”.
E infine quest’anno la XIII edizione della Mostra internazionale di Illustratori Contemporanei alle Raccolte Frugone di Nervi, svoltasi dal 4 marzo al 10 giugno presso Genova, ha avuto come tema:
una forma di saluto amichevole e informale, usato soprattutto in Italia, ma ormai diffuso in quasi tutto il mondo. Con un ciao ci si incontra, ci si presenta, ci si commiata… Come? Dove? Con chi? Perché? Gli illustratori si sono cimentati nella realizzazione di una tavola, di formato rigorosamente quadrato, che raccontasse CIAO. In mostra saranno protagonisti i 48 illustratori selezionati a seguito del concorso (12 dei quali vedranno le loro immagini pubblicate sul calendario 2018 di Tapirulan), e i vincitori, l’illustratrice russa Victoria Semykina, per il primo premio di 2000 euro, assegnato dalla giuria, e Davide Bonazzi, per il premio popolare di 500 euro, per il quale é stato decisivo il voto del web. Bonazzi é il primo autore a vincere entrambi i premi del concorso, avendo già vinto il Premio della Critica nel 2013.
Sapevate dell’origine e dell’evoluzione di questo saluto? La prossima volta che lo direte, pensate a tutto quel che c’è dietro un semplice “C-I-A-O!”
Carmen Morello