Ammettiamolo: oggi ci sentiamo un pochino più italiani

ci sentiamo italiani

ci sentiamo italiani

Ritratto del Paese più incasinato e più bello del mondo, anche durante una pandemia. E di come, forse, possa capitare che ci sentiamo più italiani. 





Ci sono cose che, quando le rivedo, mi fanno venire subito i lucciconi agli occhi. E non parlo di leggera commozione. Parlo proprio di lacrime, scuotimenti, singhiozzi. Una di queste, ad esempio, è il video degli Oscar del 1999, quando Sofia Loren se ne frega di tutto e urla “Robberto!”, non riuscendo a contenere l’entusiasmo nell’annuncio della vittoria di Benigni. E io di cinema non ne capisco assolutamente nulla. Un’altra cosa è il rigore di Grosso al mondiale 2006. E indovinate? Nemmeno di calcio io ne capisco nulla. In generale, poi, è sentire l’Inno di Mameli. Sento le prime note e ho già il groppo in gola.



In questi giorni, però, mi sento meno sola. Complice la preoccupazione per i propri cari, l’ansia per se stessi e le insicurezze lavorative, siamo tutti un po’ più sensibili. E, in Italia, abbiamo pure scoperto il patriottismo. E’ che noi a elogiare il nostro Stato proprio non siamo portati. Non ci sentiamo italiani più di tanto. Sì, ci scaldiamo un po’ di più quando i francesi pubblicano i video su come realizzano la carbonara e quando gioca la nazionale. Ma poi, finita la partita, torniamo tutti a pensare a quanto sia tosto vivere in Italia, circondati da tanta bellezza, ma, allo stesso tempo, quanto essa sia sprecata, burocratizzata, poco valorizzata, mal gestita. E quando all’estero ci capita che ci dicano “Italy? Beautiful! Bellissimo!”, noi scuotiamo la testa e diciamo: “Eh, ma provaci tu a vivere in Italia. Very difficult!”. Da lì, iniziamo a elencare tutte le cose che nel nostro paese non vanno bene. E la corruzione. Poi il traffico. Le tasse. I processi.




Anche in queste giornate di reclusione forzata, noi la nostra smania di tifosi mica l’abbiamo mai persa. Colpa dei cinesi! No, non sono i cinesi. E ha ragione la Regione. E, no, però guarda il Governo, che non fa niente. Dovrebbe esserci Salvini! Siamo bloccati in zona rossa? Scappiamo! Scappate? Siete dei pazzi criminali. E’ colpa dei giornalisti! Chisseneimporta, bisogna andare al supermercato! Abbiamo iniziato così, come iniziano tutte le cose in Italia. La parola chiave è sempre e solo confusione. Lì si che ci sentiamo italiani. Abbiamo dato il nostro peggio: forse non avevamo capito. Poi, però, anche quando abbiamo capito, abbiamo comunque trasgredito e un giretto al centro commerciale ce lo siamo fatti lo stesso.

La legge alla fine è arrivata, all’inseguimento, come sempre, e questa settimana ci siamo dati una regolata. Ma dalla nostra abbiamo una scusa: già siamo confusionari quando dobbiamo rispettare le leggi in tempi normali, figurati quando ti capita addosso la pandemia globale. Figurati quando poi a travolgerti è un’emergenza sanitaria di cui non sai nulla e ti devi arrabattare a qualche modo.

Ti tiri su le maniche e le fai tirar su ai tuoi medici, ai tuoi infermieri, a tutti quelli che lavorano nella sanità, che durante il resto dell’anno non tratti proprio benissimo. La gente inizia a capire e, pur restando separata e distante, inizia a unirsi. Muove i passi la macchina della generosità: milioni di italiani mettono mano al portafogli per aiutare l’ospedale della propria grande città e della propria dimenticata provincia. E lo fanno, nonostante abbiano già pagato le tasse e alla sanità, come dire, dovrebbe pensarci già lo Stato. E donano, nonostante sappiano che i soldi in Italia rischino di fare sempre giri strani. Donano senza riserve.

Come succede nella vita, quando sei in difficoltà, arrivano gli aiuti inaspettati e i voltafaccia di quelli che pensi siano gli amici più cari. C’è la Cina che manda i medici. C’è Cuba. Il Venezuela. Insomma, Paesi di una certa importanza, ma forse non i primi che ti aspetteresti di vedere nell’elenco di chi ti corre in soccorso. L’Unione Europea? Niente di particolare, se non qualche tiepida dichiarazione economica, o qualche commento addirittura svilente, vero Christine Lagarde? Il rischio qui è che se ne esca un po’ meno europeisti, ma se ne riparlerà. Gli Stati Uniti? Trump twitta un video con le frecce tricolore e in sottofondo il Nessun Dorma, fine. Ognuno pensa al virus a casa propria. I francesi si sono svegliati ora, forse, dopo i raduni dei Puffi. Gli inglesi hanno già Boris Johnson a cui badare.

Gli italiani, intanto, fanno una cosa tutta pittorescamente italiana. Da una parte c’è la scienza, ma quella la maneggia solo chi è capace. Al resto possono pensarci tutti gli altri. Si è in casa tutto il giorno, con il telegiornale in sottofondo e sembra sempre un bollettino di guerra. L’imperativo è uno solo: qualcuno pensi all’umore della gente, presto! Le reti televisive cambiano i palinsesti: passano i migliori film di Aldo Giovanni e Giacomo, quelli che guardi e anticipi le battute, ma non fa niente: tanto ridi tutte le volte uguale.  I cantanti si mettono  a fare concerti di ore, improvvisati dal salotto di casa e in diretta sui social. Piattaforme sul web che regalano corsi. Chef che condividono ricette. Nei condomini, gli inquilini più giovani lasciano i biglietti sotto la porta degli anziani, per offrirsi di fare la spesa. Nasce, dall’emergenza, un senso nuovo di condivisione, di mettere a disposizione quel che uno sa fare, per passare queste giornate surreali: già ci sentiamo un po’ più italiani, il difficile  sarà ricordare tutto questo bene, quando l’emergenza sarà finita.

E poi, non si sa come, non si sa chi, si organizza una cosa che a descriverla fa dubitare che stia accadendo davvero. La scena cult di un film che uscirà tra una decina di anni. La gente alle sei del pomeriggio si mette sul balcone a cantare, a suonare. I video girano. Il mondo guarda stupito. Scuote la testa e dice: “Oh, Italians!”, quelli che in mezzo alla tempesta si mettono a cantare, quelli che quando il Titanic affonda suonano il violino. Si canta male, bene, non importa. Si canta l’Inno di Mameli, si canta Azzurro e stasera tocca a Rino Gaetano. 

E niente, sto al balcone. Là fuori c’è qualcuno che ha appena scoperto di un papà, una mamma, un nonno malato. E in questa situazione surreale non ho altro da fare: spero, prego, penso e sento cantare. E, senza saperlo, ho trovato un’altra cosa che mi fa venire i lucciconi.

Elisa Ghidini

 

Exit mobile version