Di Pino Aprile
Ok, abbiamo capito: tutta questa manfrina della provocazione del povero nullafacente Salvini a Napoli serviva per togliere di mezzo il sindaco Luigi de Magistris. Ci volevano un po’ di “terroni per Salvini” e li hanno rimediati (con una piccola spesa in più potevano trovarne di più presentabili: ma li avete visti, alle spalle del povero questuante in voti? Capisco che, nella mission impossible di far sembrare più intelligente Salvini, a quei livelli devi scendere, però…).
E poi ci volevano dei black block: q. b. (quanto basta), nemmeno tanti, poche decine. E mentre migliaia di manifestanti marciano pacificamente, con le bandiere, i tanti colori, l’ironia, i cartelli con le scritte argute e toste, i demolitori incappucciati fanno il loro lavoro. Marco Minniti, ministro dell’Interno, ha mandato 1200 poliziotti a Napoli, ovvero, circa 15 ogni black block. E non sono stati capaci di fermarli?
Voi ci credete? Io no. Avete letto cosa diceva Cossiga su questi stupratori di civili cortei? Voi davvero pensate che la polizia non sappia chi sono? E non ci siano un bel po’ di infiltrati fra loro? Minniti è stato a lungo responsabile dei servizi segreti e se non è stato capace di infiltrare i black block e condizionarne le azioni, allora era l’uomo sbagliato al posto sbagliato allora e lo è adesso. Su Minniti, però, non senti uno che lo dica sprovveduto. Anzi, l’opposto. Una prova indiretta è il profilo basso che ha sempre saputo mantenere.
I centri sociali sono espressione di disagio e rivolta, oltre che di elaborazione, nei migliori casi, di temi politici e persino artistici. Ma proprio la libertà di confronto che vi viene coltivata, consente (e non potrebbe essere diversamente) la facilità di infiltrazione, specie da parte di chi si presenta con il massimalismo della fresca “conversione”. Questa, per dire, è sempre stata la debolezza dei circoli anarchici: se vivi con le porte aperte, succede…; ma se le chiudi, tradisci la tua visione del mondo.
Insomma, senza girarci troppo attorno: quei black block avevano una missione da compiere. Ne bastavano pochissimi, fra loro. E l’hanno compiuta. E non si trattava di sfasciare qualche macchina, ma altro che ormai è nato e cresce a Napoli e al Sud.
E ora si vorrebbero usare le loro violenze per destituire il sindaco, visto che non sono capaci di indurre i napoletani a privarsene. De Magistris agevola queste operazioni, perché non è uno che usa il bilancino: ci va piatto; il che permette il richiamo al “decoro istituzionale” (capito da chi viene la predica? Ce ne vuole di faccia tosta!). De Magistris è sindaco di Napoli, perché è così. Chiamatelo Masaniello o come vi pare, ma gli elettori che schifano voi e premiano lui non sono scemi: non ruba, le cose le fa ma, ovviamente, non sempre c’azzecca; i soldi per i grandi lavori (vedi metropolitana), sono stati spesi nei tempi giusti, bene e senza tangenti e con risultati strepitosi (provate a fare il confronto con la mangiatoia di appalti e mazzette dell’Expo-che-è-stata-un-successo, soprattutto a San Vittore, e le “dichiarazioni giurate sul proprio onore” del sindaco Sala e di qualche suo assessore); e poi, quel carattere irruente, di coinvolgimento totale, anche emotivo e i canoni di comunicazione… criptici? (“Ti devi cacare sotto”), rendono il sindaco tanto indigesto al potere nazionale, quanto “proprio”, subito comprensibile al popolo di Napoli.
Quei poteri abituati a usare il Sud come bancomat e ad avere sul posto “schiavi da cortile” pronti ad aiutarli (per vantaggio proprio) nel procurare il danno altrui, scoprono irritati di non poterlo più fare a Napoli. Non una città qualsiasi del Sud (che già sarebbe sacrilegio per il sistema “antico e accettato” di monopolisti, politici e delinquenti che tiene per il collo il Paese dalla nascita), ma Napoli, l’unica vera capitale italiana: Torino lo era di un piccolo e dissestato Regno; Milano era una buona città periferirica dell’impero austroungarico; Roma era ridotta a residenza di prelati e grandi famiglie di antico conio: capitale per storia e nome, che Cavour e i suoi vollero far crescere smisuratamente, riducendo al minimo la presenza papale.
Napoli era una delle tre maggiori metropoli europee, per dimensione, storia, cultura, con Londra (da cui solo nell’Ottocento fu superata) e Parigi. Una grandezza imbarazzante, insopportabile; un paragone che umiliava. Da un secolo e mezzo si fa di tutto per ridurla a rango di città di provincia: le chiusero le fabbriche, spararono sugli operai a Pietrarsa; le rubarono l’oro delle banche, poi, pure le banche; tolsero gli appalti ai suoi cantieri navali; la sua storia è irrisa; tagliarono i fondi al suo ateneo (dal 1861, non solo oggi), dove studiava il 60 per cento degli studenti universitari (due su tre di quelli italiani erano meridionali); cacciarono i suoi docenti, fra cui veri e propri luminari del tempo; abolirono le borse di studio per i poveri ma bravi; chiusero tutti gli istituti superiori (decine) meno uno, saccheggiarono le regge…
E da allora, salvo brevi periodi (il più significativo: la “legge per Napoli” e le scelte di Francesco Saverio Nitti), Napoli è la città da denigrare, svilire, svenare, delegittimare. È “L’Inferno”, secondo il noto titolo del vergognoso libro di Giorgio Bocca; “irredimibile”, come tutto il Sud. Non è vero, ma vorrebbero lo fosse; e se protesti, sei “piagnone”. Persino le frange dello sfascio a tutti i costi, quei black block che fanno ovunque le stesse cose, dal G8 di Genova al No Expo di Milano, diventano “Pulcinella impazziti”, “Brigate pummarola”, per chi misura il mondo con il suo piccolo metro.
Eppure, Napoli non cede, unica a essersi liberata da sola dai tedeschi, e dopo più di cento bombardamenti alleati che tolsero il sole alla città più solare (si viveva nelle catacombe) e migliaia di morti. Napoli condannata da uno Stato nemico all’anemia mediterranea dei suoi valori, delle sue possibilità, continua a rinascere, a creare, a essere più viva di qualunque altra.
E no, non lo sopportano. Adesso i napoletani, i meridionali, scoprono sempre più diffusamente il perché della condizione di minorità imposta loro con le armi e coltivata con la sottrazione dei diritti (alla salute, alla mobilità, all’istruzione, al lavoro). E chi sa, di solito, fa: protesta e più liberamente agisce. Non lo meni più dove vuoi, sempre più in basso, dicendogli che è colpa sua (non funzionano le cattedre in “Tutta colpa del Sud”, fatevene una ragione).
I partiti che comandano in Italia, non comandano più a Napoli. E non possono accettarlo: questo scandalo deve finire. Ci hanno provato con il capo del governo che calava in città, ignorando platealmente il primo cittadino e convocando, in sede istituzionale, solo la candidata sindaca del suo partito; ci hanno provato sottraendo al Comune la potestà di decidere sul futuro di Bagnoli e alla Mostra d’Oltremare. Ma non ce la fanno.
Ora sperano di riuscirci con la mossa Salvini-Minniti. La cosa “puzza”, dice de Magistris. E non è il solo ad averla sentita la puzza. Altro che Campi Flegrei, qui siamo alle discariche della Terra dei Fuochi! Minniti non è Renzi (tutto chiacchiere e distintivo, gonfio d’aria e di se stesso, cioè di niente); Minniti è uno di cui potresti far fatica a ricordare la faccia, ma rischi di ricordarti il resto. Già lo danno come prossimo leader del Pd. Può darsi. Meglio di Renzi è, e non di poco. Ma pure peggio di Renzi, se decide di farti male.
Non è ottuso come il fanfarone di Firenze; ha l’intelligenza fine, dice chi lo conosce bene, dei veri, silenti uomini di potere e di Stato. Quindi, in grado di capire che la battaglia per far decadere de Magistris e rimettere Napoli in mani “sicure e obbedienti” può diventare quella decisiva contro il nuovo Sud. Minniti è calabrese; dovrebbe sapere che noi terroni siamo diventati altro: sempre più consapevoli, numerosi nel riscuoterci e fare, non più accomodanti. I rischi di uno scontro del genere potrebbero essere imprevedibili. Non li sottovaluti.
Nel Paese dove siamo al quarto capo di governo non scelto dagli elettori, Napoli ha scelto de Magistris, due volte, stracciando i partiti dominanti. Cogliete il segnale, signori del passato; cogliete il segnale delle comunità combattive della Terra dei Fuochi, del popolo degli ulivi, della lotta all’inquinamento dell’Ilva, dei no-triv di Basilicata, della gente comune che sconfigge la mafia del pizzo, di chi fa i passi per il mausoleo dei vinti della storia unitaria e per un Giorno in cui si ricordi che furono vittime innocenti… In quanti altri modi dobbiamo dirvelo?
Il vento è cambiato. Non pensate di cavarvela abbattendo le cuspidi che emergono da queste moltitudini. State vedendo l’albero e vi sfugge la foresta. De Magistris non è il solo, non è solo e non lo resterà. Non a tutti piace e non tutti condividono quello che fa, ma rappresenta Napoli, capitale del Sud ed è stato scelto per questo. Tenetene conto.