Il premier britannico chiede la “prorogation” alla regina, che acconsente in nome della costituzione
La democrazia è forse la miglior forma di espressione ed accordo di un Paese, lo si sa dai tempi delle agorà ateniesi. Ma la democrazia ha anche tempi lenti, ed è qui che entrava in gioco il “dictator” romano, per prendere delle decisioni in modo deciso e veloce, che il senato di Roma non avrebbe preso, accantonando un attimo gli ideali di comunione e totalità.
Ma ora veniamo all’Inghilterra: il successore di Teresa May ritiene che quello della Brexit degli ultimi due anni sia un momento di difficoltà per il Paese e ha deciso di fare qualcosa di simile. Ha quindi chiesto in modo formale, con una lettera alla regina, una “prorogation” , ovvero una proroga della chiusura del parlamento britannico per un totale di 5 settimane di inattività. Dal 9 settembre al 14 ottobre i deputati non potranno intralciare i lavori per una Brexit no deal, senza accordo con l’Unione e quindi probabilmente disastrosa e avranno poco tempo per farlo in seguito. La scadenza per l’uscita del Regno Unito è infatti stata fissata per il 31 ottobre, solo due settimane dopo la ripresa dei lavori a Westminster.
Già lo scorso ottobre si è parlato di “rottura del protocollo” da parte della regina, che torna a confermarlo intervenendo ed esprimendosi sulla politica. La sua approvazione è da ricercarsi nella costituzionalità della richiesta di Johnson, rappresentata nella sua antichità proprio dalla regina.
Già in mattinata, in seguito al provvedimento, è esploso il dissenso in UK
Pare che pochi membri del governo fossero a conoscenza della mossa che Johnson sarebbe andato a effettuare, mossa sulla quale il premier ha chiesto anche un’opinione legale. Quindi non si può propriamente parlare di un “colpo di stato” come sostiene si tratti Owen Jones, commentatore e attivista britannico di sinistra, in quanto non è qualcosa di avventato. Infatti i commenti di indignazione da parte di esponenti delle piú svariate categorie politiche, contornate da manifestazioni in piazza, non hanno tardato ad arrivare. Il capo laburista Jeremy Corbyn ha parlato di “attacco alla democrazia”, intimando anche la regina a non approvare, con una lettera che è rimasta senza esito. La richiesta della prorogation in ordine di trattare con l’Unione Europea senza condizioni è stata definita ‘‘oltraggio costituzionale” da parte di John Bercon, lo speaker della Camera dei Comuni. Solo Trump pare approvare la mossa di Johnson, definito dallo stesso in un tweet ”un grande”.
La manifestazione più evidente di dissenso è la petizione online sul sito del Parlamento britannico: richiede 100 mila firme per essere presa in considerazione dei deputati e dare luogo a un dibattito, ma nel giro di poche ore ne ha raggiunte 1,5 milioni. Allo stesso tempo, i deputati non possono votare contro questa decisione perchè espressa a tutti gli effetti dal sovrano. Prontamente, BoJo difende la sua richiesta come ”legittima” prima del Queen’s Speech, discorso di apertura ai lavori del Parlamento.
Ma perchè attuare una mossa del genere se sono ben chiari i rischi di una rottura no deal con l’Unione?
La chiusura del parlamento britannico in una data strategica per la determinazione della natura soft oppure no deal della brexit può sembrare autodistruttiva sia all’esterno che all’interno del Paese. Il no deal infatti è temuto sia in patria che in Europa: dalla prima perchè si avrebbero addirittura difficoltà nel reperimento di cibo e farmaci, per via dell’aumento dei dazi, come evidenzia un dossier segreto pubblicato un anno fa dal Sunday Times; dalla seconda perchè anche Bruxelles avrebbe da pagare nei riguardi dell’UK un conto di 39 miliardi di euro, ed è proprio quello su cui marcia Johnson.
Una cosa è certa: si conosceranno gli effetti di una shock brexit eventualmente dopo il prossimo 31 ottobre.
Francesca Santoro