Chiudono le librerie e noi restiamo nel nostro ghetto. Lo so da quando vivo qui. Mi servono due ore per raggiungere una libreria decente.
Le librerie italiane, poi, sono in Italia. Compro quasi tutto su Amazon e non scopro più niente. Leggo solo quello che “devo”: saggi citati da altri saggi e romanzi di cui è uscita almeno una recensione. Nulla di cui non sappia già molto; che non sia in qualche modo pre-digerito.
Sono dentro una gabbia che ha per sbarre l’ufficialità, perlomeno quella necessaria per conquistare l’attenzione delle pagine culturali, e un perimetro coincidente con quello dei miei interessi di sempre. In libreria, invece, avevo delle folgorazioni. Facevo svolte improvvise per prendere strade completamente nuove.
Saramago? L’ho letto appena è stato tradotto in italiano. Non perché sapessi chi fosse. Semplicemente perché ho aperto un suo romanzo e mi sono trovato davanti un muro di parole. Senza punti e a capo; senza due punti e aperte le virgolette. Una scrittura che mi ha incuriosito e ho voluto assaggiare.
Arto Paasilinna? E chi cavolo era? Ho comprato “L’anno della lepre”, e ho scoperto tutta una letteratura, solo perché la carta scelta da Iperborea, che pure mi era sconosciuta, era così piacevole al tatto.
Ho preso anche qualche fregatura, ma tanto di quello che so, di quello che sono, è dovuto a incontri casuali come questi. Possibili solo in libreria. Lasciandoci affascinare da una copertina come da uno sguardo; facendoci sedurre o, magari, scandalizzare. Come può accadere girando per la città. Come non succede se restiamo nei nostri soggiorni. Anche a scrivere righe come queste. Inutili, quando salvare le librerie sarebbe tanto semplice: basterebbe andarci. I libri, poi, un modo di farsi comprare lo trovano sempre.
Daniel Di Schuler