Del Chitlin’ Circuit non tutti hanno sentito parlare. Eppure, la sua esistenza ha lasciato una traccia indelebile prima di tutto nella storia. E nella storia della musica, ovviamente.
In questi giorni si è parlato molto di razzismo.
La morte di George Floyd ha indignato l’America e il mondo intero, rendendo sempre più palese quanto sia ancora reale la discriminazione tra persone di diverse etnie. Sono episodi di smisurata gravità, che ci riportano indietro nel tempo.
Nel 1896, in America, fu stabilita una legge che permetteva di scegliere la propria clientela in base al colore della pelle.
Era una legge valida per i bar, i ristoranti, gli hotel, i locali di intrattenimento. Da un punto di vista costituzionale, le persone erano considerate uguali a prescindere dalla propria etnia, ma ciò nonostante si poteva discriminare un individuo in base alla sua “razza”. Solo nel 1954 finì questa forma di segregazione.
È in questo arco temporale e in questo contesto che si colloca il Chitlin’ Circuit. Ma che cosa è?
Il nome deriva da una pietanza a base di interiora di maiale stufate o in zuppa, tipica delle comunità afroamericane del Sud. In realtà, il Chitlin’ Circuit era l’insieme dei locali sparsi per gli Stati Uniti in cui gli artisti afroamericani erano liberi di esprimersi ed esibirsi in pubblico, durante il periodo della segregazione razziale.
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Cotton Club e Victory Grill sono solo due dei nomi più famosi; i locali dove si faceva musica nera erano tantissimi, punto di incontro tra artisti.
Famosissimi sono anche coloro che hanno dato spettacoli in questi locali: Jimi Hendrix, Ray Charles, Tina Turner, i Supremes, Otis Redding, James Brown e George Benson sono solamente alcuni dei nomi che si potrebbero elencare.
Il blues era uno dei generi più suonati; più in generale si suonavano canzoni che erano rappresentative dei cambiamenti sociali che stavano (o non stavano) avvenendo in America. La cultura blues era la base sulla quale si sviluppavano nuove sperimentazioni musicali, nuove prospettive inedite. La musica dei barber shop, della strada trovava nuovi spazi dove affermarsi.
Nuove melodie, sempre più sofisticate, ugole d’oro che si prestavano per esprimersi in tutta la loro grandezza e intensità. La regalità della musica era messa a disposizione delle classi sociali più povere.
Una regalità che oggi è alla portata di tutti. E non può fare altro che conquistarci. E farci venire voglia di seguire il ritmo.
Sofia Dora Chilleri