A scrivere è una studentessa universitaria. Una ragazza con sogni, aspirazioni, obiettivi che aspettano di essere raggiunti. Ma il domani le appare come un grande punto interrogativo posto sulla traiettoria del suo destino. Essere chiamata a rispondere alla domanda: “Hai scelto che facoltà frequentare?” la vede divisa tra ciò che vorrebbe diventare e i limiti che la tengono distante dal suo obiettivo.
La sua età le impone di compiere delle scelte determinanti, ma lei non può afferrare subito la portata delle loro conseguenze. Fare un salto nel vuoto e sperare di cadere in piedi: questo è ciò che provo se penso ad una prospettiva che si allontani dall’immediato. Non è facile, a 19 anni, costruirsi l’identità di sé che si vorrà rincontrare nel futuro. E’ complicato rispondere alla domanda “Chi sei?”, figuriamoci se questa si trasforma in “Chi diventerai?”.
Non esistono certezze, non esistono garanzie. I giovani della mia generazione sentono il peso della responsabilità delle proprie scelte quando queste intrecciano il futuro. Iniziamo a camminare senza sapere se la meta che raggiungeremo sia la stessa di quella che abbiamo sempre desiderato vedere.
Il domani ci vuole adulti. L’età della maturità ci vuole autonomi e responsabili. A che costo?
L’impegno che versiamo dedicandoci agli studi è dedizione infinita. L’irrinunciabile determinazione stimola costantemente al personale miglioramento. Ma sostenere lo studio impone sacrifici, anche economici. Quando sento persone che descrivono i ragazzi di oggi come dei lavativi senza obiettivi sono percorsa dai ricordi di tutti i giovanissimi che pur di essere sommersi da libri e desideri, indossano i panni di lavoratori instancabili per alleviare il peso delle onerose tasse. Lo studio è diventato un investimento cospicuo. Quali saranno gli utili che si potranno ricavare?
La garanzia di ottenere il lavoro per il quale stiamo lottando, studiando, sacrificandoci è ai minimi storici. O meglio, sarebbe una prospettiva realizzabile se solo si varcasse il confine nazionale. Il conflitto è tra inseguire le proprie aspirazioni o tenersi strette le proprie radici.
Abbandonare il luogo dove sono nascosti ricordi, a cui si appartiene per tradizioni, cultura e linguaggio suona come una dolorosa amputazione. E’ ciò che viene richiesto alla mia generazione. Alla generazione del domani incerto e delle inoppugnabili sicurezze sempre sull’orlo della smentita.
Se andare via è il presupposto per il domani che cerchiamo, non ci resta che abbandonare le zavorre del timore.
Forse non siamo fatti per una vita che non contempli una sfida seria. Forse tutta la vita suona come una misteriosa, mai del tutto conosciuta, sfida. Vale la pena compiere il salto nel vuoto.
Chissà, chissà domani…