“Chirù” – le logiche del potere secondo Michela Murgia

Chirù” parla di un rapporto difficile tra una una donna quasi quarantenne e un ragazzo appena maggiorenne. Il libro non è diviso in capitoli ma in “lezioni”, un apprendistato alla vita della quale i due personaggi riflettono due momenti diversi, la maturità da una parte, l’acerba giovinezza dall’altra.

Non è un semplice romanzo. È un “percorso” scandito da tappe concitate e da pause di riflessione. Sin dalle prime pagine si ha la sensazione di aver vissuto situazioni simili a quelle descritte. L’emozione che si prova a trovarsi in una stanza in compagnia di un persona della quale non si riesce a comprendere i pensieri, le paure, le intenzioni. Lo stomaco si contrae, si perde la percezione della realtà e il tempo sembra scorrere in funzione del nostro affannoso respiro .

Chirù venne a me come vengono i legni alla spiaggia, levigato e ritorto, scarto superstite di una lunga deriva.

Michela Murgia (Cabras, 3 Giugno 1972) è una scrittrice, conduttrice televisiva, attrice teatrale e politica italiana. Nel 2006 ha pubblicato  “Il mondo deve sapere”, un diario tragicomico che ha ispirato il film di Paolo Virzì “Tutta la vita davanti”. Per Einaudi ha pubblicato nel 2008 “Viaggio in Sardegna. Undici percorsi nell’isola che non si vede” e, nel 2009, uno dei suoi romanzi più celebri “Accabadora“, vincitore del Premio Campiello 2010. Tanti gli interessi sia in ambito letterario che politico, i quali spesso si mescolano nella stesura dei suoi apprezzatissimi titoli.
Il libro, edito da Einaudi, è stato pubblicato nel 2015.
Eleonora è un’attrice trentottenne di origine sarda che si imbatte, casualmente, in Chirù, giovane violinista, e sceglie, o forse viene scelta, di divenirne mentore, educatrice nel suo processo di maturazione artistica, culturale e sentimentale. Tra i due sboccerà e progredirà un legame importante, fatto di contatto e di ragionamento, posato e sregolato, che si trasformerà in qualcosa di appassionante, travolgente, sfuggente a una definizione precisa se non con il termine “amore”, forse nella sua accezione più aperta.
Della sua fragilità in quell’istante amai proprio quello che dell’amore si paga più caro: l’assenza di calcolo e di misura che appartiene solo alle cose nate libere.
Chirù non è il primo allievo di Eleonora. Ci sono stati altri giovani, altri apprendisti, prima di lui, due dei quali vivono grandi successi mentre del terzo, almeno inizialmente, sembra non sia dato sapere. Lei insegna al ragazzo tutto quello che conosce ricevendo in cambio quelle piccole cose che pareva aver dimenticato, lo stupore e il desiderio tipici della giovinezza. Vengono, però, fuori anche i ricordi e le scorie della sua vita: un passato non del tutto perdonato e un presente tenuto a bada con le redini del controllo ossessivo.

Lo guardai con attenzione. Era giovanissimo, forse neppure diciottenne, ma aveva nello sguardo qualcosa di slabbrato, come se osservasse il mondo da una prospettiva già offesa. Vorrei poter dire che quella tra noi fu un’immediata affinità elettiva, ma sarebbe una menzogna: io Chirú lo riconobbi dall’odore di cose marcite che gli veniva da dentro, perché quell’odore era lo stesso mio.

Altra sfumatura del racconto è il rapporto tra Chirù e i suoi genitori, dai quali non si sente compreso pienamente. La famiglia ripone in lui tante speranze che il ragazzo non è sicuro di poter soddisfare.  In questo clima caratterizzato da dubbi adolescenziali, trova posto, come l’approdo su un’isola ignota ma intrigante, l’incontro con Eleonora.

Bisognerebbe difendersi dalle prime volte, perché consumano la nostra capacità di evocare la meraviglia.

Lo stile utilizzato è notevole. Una scrittura cruda ed efficace, capace di esprimere emozioni forti, contrasti e unione di intenti. Le parole adottate non sono mai casuali, sempre pesate per esser poi posate su una struttura narrativa impeccabile. Nel leggere “le lezioni”, oltre a soffermasi sulle idee, si rimane affascinati della forma con le quali esse sono espresse. Un labor limae, quello presumibilmente eseguito dall’autrice, che avvicina “Chirù” più a un’opera poetica che a una prosa. Questa accuratezza è accompagnata da una mirabile spontaneità nella descrizione di situazioni ricche di allusioni e suggestioni.
“Chirù” è uno di quei libri che, una volta letti, non si schioda più dalla coscienza. Una rara esperienza in grado di ridefinire i bordi della nostra sensibilità. “Chirù” è semplicemente un capolavoro letterario.

Fu il periodo della mia vita in cui imparai più cose senza dovermi confrontare con l’incubo di sbagliare e sentii che era quella, non la chimica tra pelle e occhi, la natura più autentica della seduzione a cui avrei sempre risposto.

Giuseppe Bua

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