Nathan Copeland ha 28 anni e sta sulla sedia da quando ne aveva 18, portato lì dall’ennesimo di quei dannatissimi incidenti stradali: notte, rientro a casa, auto, pioggia, asfalto bagnato. Le condizioni del mezzo non erano più delle migliori, e nemmeno le sue. Aveva riportato numerose ferite, la cintura di sicurezza si era spezzata, e anche la sua spina dorsale. Fine della corsa e delle corse. Tetraplegia.
La buona notizia è che l’anno scorso è entrato nel programma del Centro Medico dell’Università di Pittsburgh, Pennsylvania, e ha avuto un impianto di quattro chip nel cervello, grandi la metà di un bottone, che stanno compiendo imprese straordinarie.
I prime due chip sono stati inseriti nella corteccia motoria del cervello per permettere a Nathan di controllare un braccio meccanico col solo uso del pensiero, attraverso un’interfaccia uomo-macchina, via cavo. Riuscire a farlo nella pratica ha richiesto qualche mese di allenamento, ma piano piano ci è riuscito, e i risultati sono molto più che apprezzabili. Ancora più straordinario, gli altri due chip, impiantati nella corteccia sensoriale, gli hanno permesso di percepire quando il braccio meccanico viene toccato.
Negli ultimi tempi i progressi nel campo scientifico delle protesi artificiali e della cura delle disabilità motorie si rincorrono, sempre più veloci e significativi. Attraverso gli impianti cocleari si riesce a sostituire la normale funzione uditiva di persone affette da sordità già dal 1970, con orecchi elettronici che stimolano direttamente il nervo acustico attraverso impulsi elettrici. Pochi giorni fa è stato annunciato l’acquisto da parte dell’ospedale San Raffaele di Milano dell’Alpha AMS, occhio bionico made in Germania che permetterà il primo intervento chirurgico in Italia capace di restituire capacità visiva ai ciechi senza l’ausilio di occhiali e telecamere. Un altro chip impiantato sotto la retina e la sostituzione dei fotorecettori con un fotodiodo faranno sì che le persone affette da malattie retiniche degenerative con circuito nervoso funzionante possano tornare a vedere la famiglia, gli amici, il mondo.
Nel 2013 a Nigel Ackland, in depressione nera perché privo di un braccio, veniva salvata la vita grazie alla protesi robotica sviluppata da RSLSteeper per Bebionic3; strabiliava il web e migliaia di membri partecipanti di convention con le prestazioni incredibili del suo nuovo braccio cyborg, divertendosi a far roteare il polso a 360 gradi.
Non solo la fusione di tecnologia e medicina ha permesso a chi non poteva più avvalersi di parti del proprio corpo di controllare il movimento di appendici meccaniche: i bypass neurali hanno fatto di più. Microelettrodi impiantati nell’encefalo lavorano in sinergia con altri elettrodi connessi al tessuto muscolare di zone immobilizzate creando ponti. Il segnale elettrico viene preso dal cervello, tradotto, inviato dove serve e trasformato in stimolo ai muscoli. È in questo modo che Ian Burkhart, paralizzato da un incidente, ha potuto questo aprile giocare a Guitar Hero. Certo, ora può anche strisciare le carte di credito, ma ogni cosa buona ha i suoi svantaggi. Quello che manca è il senso del tatto, che può aiutare non poco anche in tutte le piccole operazioni quotidiane.
Poi arriva Melissa Loomis; costretta a farsi amputare un arto a causa di un cancro, continua a sentire dolore a quello che ormai non c’è più. Sostiene che il mondo è stato disegnato per chi possiede due mani, e si mette in quelle della DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency), l’ala di ricerca dell’esercito statunitense. Le viene praticato un intervento, la reinnervazione muscolare mirata (TMR), che le permette di muovere un braccio meccanico applicando una fascia a quel che resta del suo. Per ultimare la connessione, si tenta con la reinnervazione sensoriale. Ha successo: le piccole fibre tranciate che trasmettevano le sensazioni provenienti dalla punta delle sue dita sono state portate in superficie e possono essere collegate ai polpastrelli protesi di metallo. È così che riesce a percepire quando vengono toccati. È la prima paziente a poterlo fare. «Si sente», dice, «come quando metti la lingua sulla batteria. Puoi sentirlo proprio sulle dita».
E ora c’è Nathan Copeland, un altro primato, che prova una strana sensazione ogni volta a cui questo incredibile pezzo di tecnologia viene toccato un dito, grazie a due chip. Capisce quale dito viene toccato e con quanta forza. La ricerca continua, ma già allo stato attuale ha definito l’impressione come naturale, molto simile a quella che provava quando veniva toccato prima dell’incidente. Gli scienziati sono riusciti a mappare le reazioni del cervello a degli stimoli visivi, toccandogli le dita con del cotton fioc e mostrandogli immagini di dita toccate a qualcun altro, hanno intuito che impulsi far inviare ai chip e calibrato il sistema.
Lo scorso giovedì, al convegno White House Frontiers dell’Università di Pittsburg Nathan ha stretto a lungo la sua mano bionica a quella del presidente Obama. Tra i due è anche scattato un brofist.
Riuscire a muovere le mani non è poco, ma non è tutto. Sapere modulare la forza da applicare a seconda di quello che si afferra, della sua consistenza, è straordinariamente utile, come è utile riconoscere la tridimensionalità degli oggetti, saggiarne la profondità. E niente paga quanto avvertire il tocco di un altro essere umano. L’obiettivo finale è quello di costruire protesi che si comportano e si sentono vive.
Ghost in the Shell e Guerre Stellari avevano predetto tutto.
Simone Malacarne