Il Chiostro del Bramante incontra i Macchiaioli

Il nucleo inedito del movimento pittorico italiano più significativo del XIX secolo: i Macchiaioli esposti a Roma in una cornice d’eccezione, il Chiostro del Bramante

Nel 1856, un gruppo di pittori toscani danno vita ad una rivoluzione artistica. Dimenticano le forme, lasciano che sia il reale ad ispirare la loro pittura, rinnegano gli accademismi e i canoni classici del colore: diventano Macchiaioli e rendono la “Macchia” protagonista assoluta del loro lavoro.

Si riuniscono al “Caffè Michelangiolo” di Firenze, in via Cavour 21.  Anticipano il dinamismo e la novità impressionista, costruiscono dignità nuove per soggetti che mai prima erano stati ritratti. Contadini, pescatori, umili mura di borghi sul mare inondati di luce, si accendono di colore macchiaiolo e prendono vita sulla tele e le tavole lignee di un gruppo di pittori avanguardisti.

La mostra allestita all’interno del Chiostro è un viaggio nei salotti dei collezionisti che per primi valorizzarono le opere di Giovanni Fattori, Telemaco Signorini, Odoardo Borrani, Giuseppe De Nittis, Silvestro Lega e il grandioso, giovanissimo Raffaello Sernesi.

Raffaello Sernesi, Pasture in montagna

Un percorso suddiviso in 9 ambienti tematici, ciascuno corrispondente alla collezione di provenienza, permette di osservare le opere nel loro “ambiente naturale”, quasi fossero ancora appese nel salotto di Banti o nella meravigliosa casa di Sforni.

Il Chiostro del Bramante e l’allestimento eccezionale curato da Francesca Dini, rendono l’esposizione quanto più godibile. Si procede attraverso piccole stanze e si ammira, prima in una, poi in un’altra piccola sala, la riproduzione di ciò che era l’800 in Italia.

Ci sono le sentinelle in maremma di Fattori, composte ed eleganti sui loro cavalli, ci sono le graziose donne di Borrani, intente a cucire le camicie rosse dei Garibaldini, ci sono giovani ragazze ritratte nei loro migliori anni, intente a leggere o a sorridere all’interlocutore, bellissime come Alaide Banti.

Macchiaioli
Telemaco Signorni, Il Ponte Vecchio a Firenze, 1879

E ci sono anche paesaggi mozzafiato, come quello di “Pasture in Montagna” raffigurato da Sernesi, che mi ha lasciato letteralmente senza parole. Per le campiture azzurre del cielo, per le nuvole bianche che si stagliano sullo sfondo e la piccola, paziente, solitaria pastorella che nella sua statura minuta, raccoglie la dignità di una statuaria dama di alta società.

La Toscana è splendida nei paesaggi della Maremma, di Castiglioncello, dell’Arno e di Firenze. Ne “Il Ponte Vecchio a Firenze”, di Telemaco Signorini, la città diventa viva e vibrante negli occhi dell’osservatore. Sembra quasi di trovarsi sullo stesso ponte raffigurato nel quadro, identico oggi a com’era nel 1879. Le vetrine delle gioiellerie, le signore a passeggio, c’è addirittura lo stesso balcone con la stessa ringhiera, oggi adorna di fiori.

La pittura del normale, del reale, dell’ordinario che diventa straordinario nei salotti dei mecenati ottocenteschi, attraverso le tele di un gruppo di giovani, brillanti artisti proiettati verso il futuro dell’arte.

 

 

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