Il 24 febbraio, In occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2023, il procuratore Pio Silvestri ha speso alcune parole per denunciare le condizioni della sanità pubblica e “le difficoltà in cui opera [il personale medico del servizio pubblico] a causa della mancanza di personale e di retribuzioni non sempre adeguate”. Inoltre, Silvestri ha annunciato l’apertura di un’indagine della procura per quanto riguarda il tema dei “medici a gettone”.
Gli stratagemmi per non assumere nuovo personale nella sanità pubblica
Parlare di semplici difficoltà appare come un eufemismo, considerando che secondo il rapporto Sanità elaborato dal C.R.E.A. (Centro per la Ricerca Economica applicata in Sanità) del dicembre 2022, se si volesse colmare la mancanza di infermieri e medici in proporzione alla popolazione italiana sarebbe necessario aumentare la spesa destinata alla sanità pubblica di 30,5 miliardi di euro rispetto a quella attuale.
Ma non temete, il governo ha trovato un’opzione migliore: innalzare ulteriormente l’età pensionabile dei medici dai 70 ai 72 anni. A questo punto, magari vi starete chiedendo come faranno i giovani medici ad essere assunti in ospedale se quelli anziani rimangono in servizio così a lungo. Non c’è nessun problema, possono diventare “medici a gettone”!
I “medici a gettone” sono tutti quei medici che non vengono assunti direttamente dagli ospedali, ma da cooperative esterne. Nel momento in cui l’ospedale si trova in cruciale carenza di personale si rivolge alla cooperativa che “gli affitta” i medici per coprire singoli turni di lavoro.
Si tratta di figure introdotte inizialmente per fronteggiare l’emergenza legata alla pandemia. In quell’occasione era stata indetta la delega ad un provvedimento del 2018 che aveva dichiarato illegale l’esternalizzazione del lavoro medico in sanità. Tuttavia, una volta superata la fase emergenziale, i medici a gettone hanno continuato a proliferare. Ad oggi, sono ampiamente utilizzati per sopperire alla carenza strutturale di organico dovuta ai tagli alla spesa sanitaria.
Le problematiche legate ai “medici a gettone”
Il ricorso ai “medici a gettone” è molto problematico, tanto dal punto di vista delle condizioni contrattuali di quest’ultimi che dal punto di vista dei pazienti, ma anche per quanto riguarda i costi.
Sul versante contrattuale i “medici a gettone”, assunti con contratti a prestazione, sono ovviamente precari, non hanno alcun tipo di garanzia e spesso nemmeno orari, arrivando a lavorare anche 48 ore di seguito.
Le condizioni di lavoro estreme di questi medici a chiamata influiscono in maniera negativa sulla qualità delle cure offerte ai pazienti. Si aggiunga che spesso le cooperative che assumono i medici non sono interessate ad una selezione scrupolosa del personale. L’unico prerequisito è l’iscrizione all’Ordine dei Medici. Ciò conduce facilmente all’assunzione di medici inesperti e/o incapaci.
Infine, la paga che gli viene offerta per queste prestazioni una tantum è circa doppia a quella dei medici assunti regolarmente dall’ospedale. Questo rappresenta un’ulteriore dispersione di quelle che sono le già scarse risorse del sistema sanitario pubblico.
Non mancano i medici, ma stanno migrando verso il privato
La carenza di organico negli ospedali, che porta al ricorso ai “medici a gettone”, non è solo dovuta alla presenza di un tetto alle assunzioni che blocca nuove entrate. Il fenomeno a cui si assiste negli ultimi tempi è quello di un fuggifuggi generale di medici dal sistema sanitario nazionale.
La causa di questa fuga verso il privato è da ricercarsi nelle difficili condizioni lavorative del personale sanitario. Innanzitutto, i salari sono troppo bassi, nonostante le responsabilità connesse a questo genere di professioni siano molto alte. Inoltre, il personale sanitario è sottoposto a turni massacranti e gli straordinari non vengono retribuiti.
Medici-schiavi da Cuba
Risale a settembre 2022 l’assunzione presso un Asl della Calabria di 497 medici cubani per sopperire alla mancanza di organico negli ospedali della regione. Questi medici non sono stati assunti direttamente dall’Asl, ma, come nel caso dei “medici a gettone”, c’è un’agenzia che fa da intermediaria: la “Comercializadora de Servicios Medicos Cubanos”.
Il budget mensile previsto per ciascuno di questi medici è stato di 4700 euro, peccato che il loro salario sia di soli 1200 euro al mese. Ad intascare i restanti 3500 euro è il regime cubano stesso. Inoltre, il governo cubano costringe questi medici a far ritorno nel paese una volta terminato il servizio in Italia. Il rifiuto di fare ritorno a Cuba, così come il ritiro dall’incarico, è punito con otto anni di detenzione.
Si tratta insomma di una forma nemmeno troppo celata di caporalato, una tratta di medici-schiavi e in definitiva una violazione dei diritti umani. Queste sono state le accuse mosse da un gruppo di europarlamentari, tra cui la grillina Laura Ferrara, nella lettera che hanno inviato al governatore della Calabria, il forzista Roberto Occhiuto.
La risposta del governatore della Calabria
La risposta di Occhiuto è da brividi. Il governatore della regione Calabria, oltre a negare le accuse, si è detto costretto a ricorrere ai medici cubani. Il governatore si è infatti lamentato affermando che i concorsi indetti per assumere medici in Calabria sono rimasti deserti.
Queste parole mostrano tutto quanto c’è di sbagliato nella risposta istituzionale che viene data alla fuga di medici dal servizio sanitario nazionale. Infatti, se i concorsi rimangono deserti è proprio a causa delle condizioni lavorative e salariali inadeguate. Questo problema va risolto innanzitutto con nuovi investimenti nella sanità pubblica e non di certo con l’assunzione di medici sfruttati dall’estero. Anzi, come ha denunciato la federazione sindacale Cimo-Fesmed, il ricorso a questo tipo di mezzi non farà altro che peggiorare la situazione, generando “dumping salariale”.
Il “dumping salariale” consiste nello sfruttamento da parte dei datori di lavoro di lavoratori disposti/costretti ad accettare stipendi al di sotto di quelli medi, magari perché lo standard salariale nel paese di provenienza risulta ancora più basso. Questo determina disoccupazione per i lavoratori locali e in ultima istanza l’abbassamento degli standard salariali sul mercato del lavoro del paese d’arrivo.
La Calabria non è stata l’unica regione a sfruttare i medici messi a disposizione dalla “Comercializadora de Servicios Medicos Cubanos”. Anche Lombardia e Piemonte si sono rivolti, specialmente in tempi di pandemia, a quest’agenzia.
Ulteriori tagli alla spesa sanitaria
Sicuramente i tagli previsti dalla NADEF alle spese pubbliche destinate alla sanità non lasciano intravedere l’intenzione da parte del governo di cercare una risoluzione strutturale alla mancanza di organico negli ospedali. In particolare, si punta a passare dal 7% al 6% di PIL investito in sanità pubblica entro il 2025. Si tratta di un taglio drammatico se si considera che dal 2001 ad oggi non si era mai scesi sotto il 6,5%.
Il segretario nazionale del sindacato dei medici Anaao Assomed, Pierino Di Silverio, si dice molto preoccupato di questo programma, sostenendo che “evidentemente le scelte politiche vanno verso una sanità privatizzata” e “in Italia questa scelta è anticostituzionale”.
Per quanto riguarda i fondi del PNRR non sono stati previsti investimenti nell’assunzione di nuovo personale. I finanziamenti sono rivolti alla digitalizzazione delle Asl e alla promozione di un modo di erogare cure alquanto controverso, la cosiddetta “telemedicina”.
Le origini del declino della sanità pubblica: alcuni pensieri conclusivi
Se si intende fare una diagnosi accurata della crisi della sanità pubblica non si può prescindere dal citare l’atto normativo che ha per primo trasformato il servizio sanitario nazionale: il decreto legislativo n. 502/1992 che ha istituito le Aziende Sanitarie Locali e Ospedaliere (A.S.L.).
Lo scopo di questo decreto era rendere più efficiente economicamente il sistema sanitario nazionale, spostando il focus dalla necessità di rispondere alle esigenze reali dei pazienti a quella di generare profitto. Così la salute è diventata una merce e la sanità pubblica un’azienda, assoggettata a cieche logiche di mercato. A questo si è aggiunto l’inasprimento della diseguaglianza nella qualità delle cure offerte nelle regioni più ricche rispetto a quelle più povere, determinato dalla regionalizzazione.
Le riforme e i decreti introdotti in seguito al decreto-legge del 1992 non hanno fatto altro che rafforzare l’orientamento all’ aziendalizzazione e alla regionalizzazione intrapreso. Di conseguenza, ci siamo allontanati sempre di più dai principi che avevano ispirato la creazione del servizio sanitario nazionale: universalità, uguaglianza, gratuità, solidarietà, democraticità, controllo pubblico e unicità.
Le politiche di Austerità incoraggiate dall’Unione Europea, attraverso documenti come il Fiscal Compact promosso da Mario Draghi nel 2012, hanno ulteriormente accelerato il processo di liberalizzazione della sanità.
Ad oggi, si vedono i frutti di questa operazione: condizioni di lavoro del personale sanitario disumane, medici-schiavi e medici a gettone, sovraffollamento dei pronti soccorsi, liste d’attesa infinite ed elevato costo dei ticket.
Se vogliamo salvare la vita alla sanità pubblica bisogna agire in fretta e non con soluzioni temporanee come si è fatto in pandemia. Servono trasformazioni strutturali che eliminino la visione aziendalistica e la regionalizzazione del servizio sanitario nazionale.
Virginia Miranda