La storia, si sa, la scrivono i vincitori e nella battaglia tra i sessi i vincitori incontrastati per millenni sono stati senza ombra di dubbio gli uomini. Ma la storia ufficiale è solo una parte del racconto. Anche se soggiogate, umiliate, uccise o dimenticate, le donne non sono mai sparite dalla storia collettiva dell’umanità, così come non è scomparsa del tutto la loro prospettiva e la loro narrazione. Con Chi ha cucinato l’ultima cena? (Fandango Libri, 2021) la studiosa britannica Rosalind Miles cerca di ricostruire quella parte dimenticata della storia, la versione dell’ “altra metà del cielo”, e ci ricorda quanto ancora deve essere scritto.
Chi ha cucinato l’ultima cena? Il ruolo delle donne nella storia
Fin dall’inizio, il testo di Miles si propone di sfatare i falsi miti che hanno costellato la storia degli esseri umani. Partendo dal luogo comune che accorda la supremazia al sesso maschile in virtù della sua innegabile superiorità fisica che, agli albori dell’umanità, avrebbe garantito la sopravvivenza della specie. Ogni bambino e bambina impara a conoscere la storia dell’evoluzione dell’uomo primitivo, ma mai che si faccia menzione della donna (ad eccezione della compianta australopiteca Lucy). Eppure le prime donne ebbero un ruolo tutt’altro che secondario nella lotta per la preservazione della specie umana. Anzi, secondo Miles fu piuttosto l’attività di raccoglitrici delle donne, molto più della caccia, a nutrire i primi gruppi di esseri umani. I primi uomini infatti non avevano strumenti adatti a braccare animali di grossa taglia e i loro bottini erano inizialmente un evento eccezionale, sicuramente insufficiente a sfamare il gruppo quotidianamente.
Le donne raccoglitrici erano invece quelle che davvero riuscivano a portare il “pane” in tavola tutti i giorni. L’altro fattore fondamentale è legato alla capacità evolutiva delle donne. Ebbene sì: parliamo delle mestruazioni. Quella che fu poi considerata la maledizione del genere femminile fu in realtà la salvezza dell’intera specie. Grazie al mestruo le donne avevano molte più possibilità (12 all’anno) di rimanere incinte e questo era evidentemente essenziale per la sopravvivenza.
Il culto della Grande Madre
Il corpo femminile e il suo misterioso funzionamento non potevano che essere oggetto di devota venerazione per i popoli antichi. Il culto della “Grande Madre” si declinava così con nomi e rituali differenti nei diversi angoli della terra. Ma tutti avevano il medesimo scopo: glorificare la fonte della vita. Il legame, o meglio la sovrapposizione, tra la donna e il divino era espresso nella capacità di generazione, da cui discendevano un potere e una libertà pressoché assoluti.
Le società antiche erano prevalentemente orientate al matriarcato, ovvero quella “forma di organizzazione sociale incentrata sulla donna, sostanzialmente egalitaria, nell’ambito della quale non è ritenuto innaturale o anomalo che le donne detengano il potere e svolgano tutte le attività interne alla società insieme agli uomini”. È interessante notare come la “superiorità” sociale delle donne derivasse esclusivamente dal loro corpo e dalla loro sessualità. Per questo motivo è perfettamente logico che nei secoli successivi siano stati proprio questi i più violenti campi di battaglia su cui l’uomo ha voluto giocarsi (e conquistarsi) la nuova supremazia.
Lo stigma del corpo
Da attributi celestiali e gloriosi le caratteristiche del sesso femminile sono state trasformate in orribili flagelli, punizioni divine, oscenità intollerabili. Dal “tu partorirai con dolore” allo stigma delle mestruazioni, qualsiasi specificità femminile è diventata pretesto per proclamare l’inferiorità e l’abiezione del secondo sesso. L’impegno profuso nel costruire con dovizia l’opposizione maschile-femminile non aveva altro scopo che decretare la superiorità degli uomini, e il conseguente diritto a dominare e soggiogare la categoria perdente.
Tutto ciò che l’uomo è, la donna non è e con questa imposizione del principio di contrasto basato sui sessi si fa strada la graduale definizione dell’uomo padrone di tutte le capacità e abilità umane e della donna come suo contrario, formata solo a metà, incompleta.
Dalla stigmatizzazione del corpo all’inferiorità mentale il passo era breve. In questo gioco perverso gli uomini hanno voluto imporre una disparità di diritti e di possibilità sulla base di una contrapposizione non descrittiva, ma valoriale. La donna non è semplicemente diversa dall’uomo: la donna è peggiore, vale di meno. Dei diritti maschili all’istruzione, alla proprietà, alla partecipazione alla vita pubblica sicuramente non ha bisogno.
Oppressione e resistenza della donne
Miles passa in rassegna secoli e secoli di oppressione femminile, senza glissare su dettagli cruenti, violenze e pratiche abbiette che hanno afflitto (a affliggono tuttora) miliardi di donne. Secondo l’autrice la necessità di controllare il corpo delle donne con questa pervicacia deriva dal fatto che esse sono il gruppo sociale che vive a più stretto contatto con il proprio oppressore. Di conseguenza il dominio deve esercitarsi già dal più immediato livello della fisicità, ma non è tutto. C’era bisogno di convincere le donne stesse che la repressione che subivano fosse giusta e incontrovertibile.
Distruggendo la sede principale della fiducia umana e del senso del sé, scaricandoci dentro sensi di colpa di origine sessuale e disgusto fisico, gli uomini potevano assicurarsi l’insicurezza e la dipendenza delle donne.
Ma Chi ha cucinato l’ultima cena? non è semplicemente un cahier de doléances di genere. Al contrario, l’autrice vuole sottolineare la caparbia e ostinata ribellione delle donne. Ma anche il loro innegabile (eppure svalutato) ruolo nella storia del progresso umano. Regine, guerriere o intellettuali, figure eccezionali o eroine anonime, le donne di ogni tempo erano capaci di risultati straordinari, imprese avventurose e scoperte scientifiche, alla pari e anche meglio degli uomini. Le storie delle donne raccontate da Miles ci fanno riflettere su quanto ancora oggi il talento delle donne non sia pienamente riconosciuto. Basta considerare il fatto che per lo stesso lavoro guadagnano mediamente un terzo dello stipendio dei colleghi uomini.
Il libro di Rosalind Miles è un testo aperto, in costruzione, così come il cammino delle donne nella storia. Non dobbiamo scordare che i prossimi capitoli li stiamo scrivendo noi, in questo momento.
Giulia Della Michelina