San Pietroburgo, 1909.
Un pittoresco personaggio di nome Sergei Makovskij, con degli insoliti baffi all’insù (probabilmente secondi soltanto a quelli che ostenterà Dalì), nonché direttore della -al tempo- nuova rivista modernista “ Apollon”, aprì la scena a quella che potrà sembrare una stravagante frottola ma che, seppur di frottole tratta, è un fatto realmente accaduto.
Aprì la scena aprendo a sua volta una busta curiosamente elegante, chiusa con un sigillo nero di ceralacca con uno stemma e il motto “Vae victis!”. All’interno si trovavano alcune poesie russe e una lettera di accompagnamento scritta su carta listata a lutto in un francese sofisticato e firmata: Cherubina De Gabriak.
Qual grande entusiasmo per Makovskij! Il giorno dopo, la sconosciuta gli telefonò inaspettatamente e così iniziò la loro storia d’amore telefonica, seguita avidamente da tutta la redazione.
Il direttore di Apollon era colpito a tal punto dal fulmine lanciato da quella che lui credeva potesse essere come minimo una contessa, da dire: “Se avessi quarantamila rubli di rendita all’anno, mi deciderei a corteggiarla!”
Così, verso i primi di Ottobre comparvero sulla rivista dodici poesie della Gabriak, che oscillavano provocanti e originalmente tra religiosità ed erotismo.
Avvolgendosi di un intrigante mantello di mistero, facendo trapelare giusto l’essenziale di sé, questa contessa di origini francesi o spagnole, in ottima salute, orfana di madre e con un padre dispotico, cresciuta secondo una severa educazione cattolica e tenuta quasi nascosta dal resto del mondo per un misterioso motivo legato al suo passato, fece sì che fosse l’innato bisogno umano di dare un’immagine ad un’entità sconosciuta, a continuare il lavoro per lei: quasi mezzo secolo più tardi, Makovskij ricorderà di averla immaginata con ricci tra il rosso e il bronzo, un volto mortalmente pallido ma labbra ben definite con angoli lievemente rivolti verso il basso. Insomma, una bellezza quasi neoclassica.
Sembrava essere arrivato proprio quello che la Russia cercava: un nuovo talento poetico femminile e, usando le parole della poetessa Marina Cvetaeva: “Non russa, ovviamente. Bella, ovviamente. Cattolica, ovviamente. Ricca, oh, infinitamente ricca, ovviamente, ossia esteriormente felice, ovviamente, per essere infelice a modo suo in modo puro e disinteressato”.
Coincidenza? No…solo un’attraente mistificazione.
Sotto la maschera di Cherubina, se la ridevano un giovane poeta di “Apollon”, Maksimilian Voloshin, e la sua amata Elizaveta Ivanovna Dmitrieva che, vistasi rifiutare in precedenza la pubblicazione di alcuni suoi versi, si risolse a ricorrere a questo esotico espediente.
Presero in prestito il nome Cherubina dalla storia “ A Secret of Telegraph Hill” di Bret Harte, mentre Gabriak è il nome di un folletto capace di allontanare gli spiriti del male, di cui si parla ne “La Demonomanie des Sorciers” di Jean Bodin.
Lascia a bocca aperta sapere che la Dmitrieva era in realtà una timida e povera ventiduenne che guadagnava 11 rubli e mezzo al mese, insegnando storia in un ginnasio femminile di Pietroburgo.
Ma c’è anche un’altra stridente contraddizione fra la donna di carta e quella in carne ed ossa, che meglio non può essere descritta se non dalle parole di Makovskij stesso, che ricorderà così il primo incontro con la Dmitrieva, giunta a scusarsi presso la redazione di “Apollon”:
“La porta si aprì lentamente, molto lentamente, a quanto mi sembrò, ed entrò, zoppicando forte, una donna bassa, piuttosto in carne, coi capelli scuri e la testa grossa e una bocca veramente spaventosa, dalla quale spuntavano denti a forma di zanne. Era di una rara bruttezza. O così mi sembrò in confronto a quell’ immagine di bellezza che mi ero coltivato per tutti quei mesi?”
Ebbene sì, nella sua andatura zoppa cercava di non farsi dimenticare una tubercolosi che l’aveva colpita da bambina.
Eppure, la parte più brutta di tutta questa storia non fu tanto l’aspetto della Dmitrieva, quanto le conseguenze ancor più scandalose che portò e che coinvolsero non poche persone.
Costei aveva infatti avuto una relazione con un altro noto poeta russo, Nikolaj Gumilëv, che nel frattempo era già fidanzato con la sublime poetessa Anna Achmatova (si sposeranno l’anno successivo).
Gumilëv continuava a pregare insistentemente la Dmitrieva di sposarlo finché, stufo di essere costantemente rifiutato, cominciò a raccontare in giro della loro relazione, ridicolizzando Elizaveta come meglio poteva.
Così, il 19 Novembre, quando nel laboratorio del pittore Golovìn sotto il tetto del teatro Marinskij, si trovavano riuniti i poeti di “Apollon” per un ritratto collettivo, Voloshin diede uno schiaffo a Gumilëv.
Degno di nota è il commento laconico del poeta allora presente Annenskij, che non poteva tagliare il conseguente marmoreo silenzio in modo migliore: “ Ha ragione Dostojevskij: il rumore dello schiaffo è davvero bagnato”.
Gettato il guanto, il duello fu inevitabile.
Il luogo scelto per l’evento fu quello stesso fiume Chernaya dove nel febbraio del 1837 perse la vita Aleksandr Puskin, ucciso da George D’Anthès, duello firmato anch’esso da un’elena.
Ma nel caso in questione lo scontro non fu mortale: entrambi i duellanti sbagliarono mira. Certo è che, a contrario della loro vita, non si salvò la loro reputazione, di cui cominciò a beffarsi tutta la Pietroburgo letteraria, mentre quella della Dmitrieva, senza il trucco di Cherubina, sprofondò lentamente nell’oblio.
Nonostante la sua brevità, questo screziato periodo di circa due mesi, stagliato sullo sfondo argenteo della Russia letteraria, fece uno scalpore tale che la Cvetaeva vi si riferiva con l’espressione “ L’era di Cherubina De Gabriak ”.
Anche l’Achmatova rimase coinvolta nella vicenda da spettatrice, ferita nel cuore dal tradimento del marito ( di cui la condotta frivola è rinomata) ed a livello professionale da tutta la frottola in sé, tant’è che alla fine degli anni 50, ormai definitivamente chiuso il sipario sullo spettacolo Cherubina , l’Achmatova ne farà una recensione ovviamente cruda e tagliente, venata di lieve disprezzo: “ Evidentemente in quel periodo nella poesia russa si era “liberato” un posto segreto per una donna. E Cherubina vi aspirava. Il duello o qualcosa nelle sue poesie le impedirono di occupare questo posto. Il destino ha voluto che fosse mio”.