venerdì, 22 Novembre 2024

Arabia Saudita e autointerviste: che pasticcio Matteo Renzi

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Sono ancora sinceramente colpita da come Matteo Renzi, nella newsletter che manda settimanalmente, qualche giorno fa abbia intervistato Matteo Renzi. Un capolavoro di metagiornalismo, un marzulliano “si faccia una domanda e si dia una risposta”. 




Aveva promesso che, una volta sistemata la questione Palazzo Chigi, sarebbe stato disponibile a chiarire i suoi rapporti con il regime dell’Arabia Saudita e così, secondo lui, ha fatto. Grazie a Matteo Renzi e alla sua surreale opera di metagiornalismo, due giorni fa abbiamo scoperto che l’imbarazzo che si crea quando una persona parla di sé in terza persona è nullo, rispetto a quello che può suscitare uno che si autointervista. È quello che i giovani definiscono “cringe”. Ma ricostruiamo la vicenda.



La premessa

Qualche settimana, mentre in Italia infuriava il vento della crisi di governo, il senatore della Repubblica Matteo Renzi è volato in Arabia Saudita. Qui ha partecipato a una sorta di tavolo permanente sull’economia controllato dalla monarchia del Paese, il Future Investment Initiative(FII). Il tema su cui Renzi è stato chiamato a intervenire era quello del cosiddetto “Neo-Rinascimento”. In forma di chiacchierata, il leader di Italia Viva ha intervistato Mohammed bin Salman, il principe ereditario saudita e leader di fatto del Paese. Figlio del re Salman, l’ufficioso sultano 35enne è noto in tutto il mondo per il pugno di ferro che utilizza nei confronti degli oppositori. In particolare, i servizi di intelligence internazionali gli attribuiscono il ruolo di mandante dell’omicidio di Jamal Khashoggi, giornalista arabo del Washington Post.



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L’intervista

L’intervista si svolge con toni tra l’informale e il cordiale, con Matteo Renzi che pronuncia alcune frasi poi riprese dalla stampa nazionale. Dice infatti: “È un grande piacere e un grande onore essere qui con il grande principe Mohammad bin Salman”, prima di aggiungere che “l’Arabia Saudita possa essere il luogo per un nuovo Rinascimento”.

Lo scandalo

Il video è diventato virale e l’indignazione pure: secondo molti questo tipo di vicinanza personale con il sanguinario principe bin Salman sarebbe inaccettabile per un politico ancora in carica. Le frasi pronunciate da Renzi, inoltre, non lascerebbero spazio a interpretazioni: sostiene ad esempio di invidiare il costo della manodopera saudita (l’Arabia non è certo il Paese dei balocchi per i sindacati).  I pagamenti che riceve (si parla di circa 80 mila euro annui) per questo tipo di conferenze e attività, poi, renderebbero la vicenda simile a quella per cui tanto ci si è indignati, quando si parlava di Lega, di fondi russi e di Savoini, anche se alcuni distinguo sono d’obbligo.

Le pressioni 

Molti giornali hanno iniziato a fare pressione perché Renzi chiarisse queste sue frasi e il suo legame con la monarchia saudita, ma l’interessato ha risposto che avrebbe accontentato l’opinione pubblica italiana solo dopo la crisi di governo. La crisi è passata, il governo Draghi è arrivato e c’è stata qualche settimana di silenzio sul tema.

Il ruolo degli Stati Uniti

Nel frattempo, a non tacere, è stata la neoamministrazione statunitense. Joe Biden, infatti, ha provveduto a desecretare un report della Cia, in cui si afferma quello che prima era solo un sospetto, purché forte. Bin Salman è il mandante del rapimento, dell’assassinio e della distruzione del cadavere del giornalista dissidente Jamal Khashoggi. Il presidente Biden infatti vuole rimettere in discussione i rapporti degli USA con la monarchia wahabita, “ricalibrando senza rompere” le relazioni diplomatiche con Riyad, tanto care a Donald Trump.

I conti senza l’oste

Si può dire, dunque, che Renzi abbia fatto male i conti: non pensava probabilmente che un rapporto desecretato a Washington potesse avere delle conseguenze a Roma. Come infatti non ne avrà, del resto: non c’è nessuna legge o regolamento parlamentare che vieti l’assunzione di incarichi di questo tipo. Molti ne fanno una questione di etica e di opportunità politica, chiedendo a Renzi di dimettersi. I renziani in questo momento stanno invece cercando di dimostrare che anche gli altri leader mantengono questo tipo di relazioni, pubblicando foto di strette di politici italiani con i leader più controversi. Conte stesso, lo scorso 22 novembre, ha ringraziato pubblicamente la monarchia saudita per “aver saputo indirizzare gli sforzi globali con determinazione e unità d’intenti”. Si trattava di un messaggio registrato per il G20 di Riyad: un formale passaggio di consegne alla guida della manifestazione. Non vederci una differenza non è malafede, è proprio incomprensione dei diversi contesti.

Un’occasione sprecata

Renzi, nell’autointervista di cui parlavamo prima, si è difeso dicendo che le sue dichiarazioni dei redditi sono pubbliche e trasparenti e che sul denaro che riceve paga legalmente le tasse. Dal punto di vista giuridico, nulla da eccepire, dunque. Gli hooligans renziani continueranno perciò a fare quadrato attorno al loro leader e anche questa volta si sprecherà l’opportunità di discutere del rischioso legame tra politica e denaro.

Conflitto d’interesse per Renzi?

Ricevere uno stipendio per difendere gli interessi di una nazione può entrare pericolosamente in conflitto con i propri interessi economici, siano essi più o meno etici, quando a pagarti è un altro Stato. Cosa succede se si deve votare per un disegno di legge che, per esempio, vieta di vendere le armi a Paesi in cui non è rispettata la democrazia? Il senatore Renzi penserà ai suoi interessi personali e all’amicizia con il principe bin Salman o guarderà al bene della nazione? E non scendiamo dal pero: è naif pensare che la politica italiana non abbia mai ricevuto denaro da altri Stati, più o meno democratici. Così come è molto ingenuo ritenere che le proprie amicizie politiche ed economiche all’interno della nazione non formino una specie di lobby, anche se mai dichiarata e legiferata in Italia. Forse è su questo che bisogna discutere.

Quella vecchia storia della doppia morale

Certo, tornando a Renzi, il problema è sempre un po’ quello dei double standards, quella doppia morale che, se fosse un Salvini a prendere uno stipendio dalla Russia, vedremmo i sostenitori di Italia Viva invocare le dimissioni. Forse, essere un po’ più oggettivi farebbe bene a tutti e soprattutto alla sostanza delle cose. Riconoscere a Renzi una capacità politica e un carisma superiore alla media dei nostri rappresentanti parlamentari non vieta di discutere sulla questione dell’etica o dell’opportunità di stare a libro paga di un regime antidemocratico. Siamo d’accordo che ognuno nel suo tempo libero possa prendere soldi da chiunque, indipendentemente dalle sue idee? Bene, allora non ci scandalizzeremo più. Non siamo d’accordo? Allora facciamo una legge.  Per ora la legge non c’è, quindi a Renzi non si possono chiedere le dimissioni. Al massimo se ne possono trarre dei giudizi politici: un elettore può legittimamente decidere di non votare per un partito il cui fondatore fa scelte personali e professionali con cui non si è d’accordo.

La posizione di Matteo Renzi

Come al solito, anche in questo caso Matteo Renzi ha eccelso in ciò che è veramente il suo talento: l’essere divisivo. Fatto sta che nel farlo, si è messo in un pasticcio: provateci voi a fare gli amiconi di un principe sanguinario e poi, dopo qualche settimana, trovarvi l’opinione pubblica che ve ne chiede conto. Meglio dunque rischiare che l’illuminato principe saudita vi mandi qualche suo collaboratore sotto casa o fare un’autointervista autoassolutoria che non cambierà nulla? Io un’idea ce l’ho. Voi?

Elisa Ghidini

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