Che cos’è l’aforisma

Ultima Voce

Fabrizio Caramagna


Sono più di dieci anni che mi occupo di scritture e forme brevi con all’attivo decine di articoli, recensioni, prefazioni su scrittori di aforismi contemporanei italiani e stranieri, ma non ho mai scritto un articolo teorico sull’aforisma. Il fatto è che qualsiasi articolo teorico sull’aforisma non può prescindere dalla domanda “che cosa è l’aforisma” e in questo momento se qualcuno mi chiedesse “che cosa è l’aforisma” io non saprei cosa rispondere. E non per una mia ignoranza del genere o per una mia scarsa dimestichezza con la teoria letteraria. Il motivo è ben diverso. Nel corso di questi anni ho letto centinaia, forse migliaia di risposte sul tema “che cosa è l’aforisma” e le ho trovate, pur nella loro eterogeneità e contraddittorietà, tutte quante convincenti e plausibili. Credo che nessun altro genere letterario (penso in primis al romanzo e alla poesia) abbia conosciuto una ossessione definitoria come il genere aforistico. Se non rispondo alla domanda non è per afasia, ma per un eccesso di parole e risposte. Ha cominciato Karl Kraus agli inizi del Novecento con il suo famoso “L’aforisma non coincide mai con la verità; o è una mezza verità o una verità e mezza”. E da lì, come un novello Sisifo che ogni volta cerca di riportare in alto la pietra, non c’è scrittore di aforismi contemporaneo che non abbia cercato di dare una definizione dell’aforisma, affrontando la questione da punti di vista spesso inediti. Alcuni aforisti hanno persino dedicato alcuni capitoli dei loro libri all’aforisma e il il serbo Ilja Markovic ha addirittura scritto un libro di aforismi sull’aforisma, alla ricerca della formula o teorema che spiegasse cosa è l’aforisma. Il fatto è che se l’aforisma è una specie di equazione (e mentre lo scrivo, mi rendo conto di stare dando anche io una definizione e una classificazione), qualsiasi aforisma sull’aforisma diventa un tentativo di risolvere l’equazione. Tutti risolvono l’equazione – pur con metodi differenti – ma forse nessuno la risolve veramente.

Ma perché è così facile e al tempo stesso così difficile definire l’identità dell’aforisma, “questa parola traboccante di significati” come ebbe a scrivere l’aforista tedesco Elazar Benyoëtz. L’aforisma, nella sue brevità ed essenzialità, sembra un monolite apparentemente semplice e poco complesso, ma appena ci si avvicina assomiglia a una di quelle particelle che nella fisica quantistica sfuggono all’osservazione nel momento in cui si cerca di descriverle. A rendere l’aforisma sfuggente (e quindi non descrivibile nonostante un eccesso di descrizioni), contribuisce anche la sua estrema versatilità. Non c’è testo dove l’aforisma non abiti come seme o parassita. Nella sua ubiquità, elasticità e manogevolezza si mescola con la poesia, il saggio, il cinema e il teatro, il racconto, il sistema filosofico, il trattato scientifico, il manuale di comportamento, e persino con la preghiera, lo slogan pubblicitario o la barzelletta. Lo troviamo nelle tragedie di William Shakespeare, nei film di Woody Allen, nei romanzi di Miguel de Cervantes, nelle poesie di Emily Dickinson, nei testi filosofici di Friedrich Nietzsche, negli sketch di Daniele Luttazzi e Luciana Littizzetto, nelle preghiere di Madre Teresa di Calcutta, nelle vignette di Altan o Charles M. Schulz e persino nella pubblicità televisiva, negli slogan rivoluzionari o sui graffiti scritti sui muri. Del resto il primo libro di aforismi è un testo di medicina ed è stato scritto Ippocrate, che era un medico e uno scienziato, non certo un aforista. Possiamo dire che l’aforisma è tal punto così eterogeneo che, se la Musa è la divinità della poesia, il Dio Proteo, il dio della trasformazione e del mimetismo, è la divinità dell’aforisma. Perché questo è l’aforisma: un genere che cambia continuamente colore, come i camaleonti, adattandosi alla forma e all’ambiente e al contesto in cui si trova, mai uguale a se stesso. Del resto accanto alla accezione di aforisma troviamo quella di massima, pensiero, frammento, minima, gregueria, apoftegma, nota, taccuino, carattere, paradosso, gnome, calembour, gioco di parola, wit, battuta, e così via, in un elenco di nomi che potrebbe essere infinito.

Per rendersi conto dell’eterogeneità dell’aforisma, basta citare alcuni esempi concreti tra i tanti.

Prendiamo una battuta di Woody Allen “Il sesso è stata la cosa più divertente che ho fatto senza ridere” e un frammento di Friedrich Nietzsche: “Io vi insegno l’oltreuomo. L’uomo è qualcosa che deve essere superato. Che avete fatto per superarlo? Tutti gli esseri hanno creato qualcosa al di sopra di sé e voi volete essere il riflusso in questa grande marea e retrocedere alla bestia piuttosto che superare l’uomo? Che cos’è per l’uomo la scimmia? Un ghigno o una vergogna dolorosa. E questo appunto ha da essere l’uomo per l’ oltreuomo: un ghigno o una dolorosa vergogna”.

Sembrano due cose opposte e antitetiche (persino nella lunghezza) eppure tutti e due sono aforismi. Oppure prendiamo un tweet di un autore di Twitter @valemille “Ho iniziato a dubitare dell’Amore Eterno quando ho notato che a quel ‘E vissero per sempre felici e contenti’ mancava la parola ‘Insieme'” e un frammento poetico di Khalil Gibran: “Non dimenticate che la terra si diletta a sentire i vostri piedi nudi e i venti desiderano intensamente giocare con i vostri capelli”. Di nuovo, sono forme opposte ma sono aforismi. E che dire di un aforisma contenuto in una striscia di Peanuts e una preghiera in forma di aforisma di Madre Teresa di Calcutta? Non c’è nulla di più differente.

Si può provare ad uscire per un attimo dalla trappola definitoria e provare a dire che cosa hanno in comune questi aforismi, ma io non lo spiegare. So che sono “aforismi” ma non so quale sia il loro minimo comun denominatore. Qualcuno ha provato a tracciare un elenco di leggi e modelli comuni a tutti gli aforismi, ma non sempre il gioco funziona. Si dice che l’aforisma deve essere breve (Gesualdo Bufalino scriveva che “un aforisma benfatto sta in otto parole”) , eppure io conosco aforismi di mezza pagina, e anche più, scritti da Karl Kraus, Elias Canetti, Leo Longanesi, Ennio Flaiano. Si dice che l’aforisma deve essere ironico, sarcastico, satirico, ma l’aforisma poetico non ha nessuna di queste caratteristiche. Pochi scrittori di aforismi sanno essere ironici e pungenti come Jules Renard nei suoi “Diari”, eppure la stessa penna tagliente e cinica che ha coniato aforismi come “Non basta essere felici! È necessario anche che gli altri non lo siano” va poi a scrivere frasi di una leggerezza e delicatezza poetica come “Gli alberi sono forse i soli che conoscono a fondo il mistero dell’acqua” o “Piccole nuvole bianche salgono laggiù come se si tosasse la lana sulla schiena delle colline”. Si dice che l’aforisma è un genere sostanzialmente pessimistico che deriva da una esperienza di vita e da una visione sconsolata del mondo e si esprime in modi amari, beffardi, senza nessuna pietà e sconto sulla realtà (pensiamo ad esempio a Emil Cioran, uno dei maestri dell’aforisma del Novecento). Eppure in alcuni autori (ad esempio Ramon Gomez de la Serna) io trovo una levità e una leggerezza e una gioia e uno stupore nel guardare le cose che non ha nulla del pessimismo e del cinismo tipico dell’aforisma. Qualcuno dice che l’aforisma è un testo breve circondato da uno spazio bianco (un’isola che dà un senso di raccoglimento, di concentrazione e di separazione, un “filo di silenzio di cui è inframezzata la parola”), eppure molti degli aforismi più celebri non sono altro che frasi estrapolate da romanzi, testi filosofici saggi dove di spazio bianco che circonda l’aforisma ce n’è ben poco. Uno degli aforismi più belli “Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo” è tratto da uno dei romanzi più famosi della nostra letteratura, Anna Karenina. Si dice ancora che l’aforisma sia un genere scritto, eppure alcuni degli aforismi più celebri sono orali (ad esempio tutti i proverbi nascono da una tradizione orale).

Se poi prendiamo i libri di aforismi, la mutevolezza e la trasformazione dominano sovrani. Nei libri gli aforismi sono disposti in ordine casuale, oppure per temi o in ordine alfabetico o in forma di calendario (secondo i mesi o anche i giorni) o seguendo una logica intrinseca alla scrittura dell’autore. L’aforisma vive ai margini di un’ampia superficie di bianco che può mutare dimensione ogni volta. Tra la pagina incontaminata e il nero del testo grafico si creano legami sorprendenti a seconda del numero di aforismi per pagina (uno, oppure tre, cinque, sette, a volte anche dieci), della loro disposizione (a sinistra, al centro, orizzontale, verticale) e dell’uso dei segni grafici (disegni, illustrazioni e foto, ma anche il corsivo o il grassetto). Un aforisma può essere letto come un testo singolo oppure – come nel caso dell’aforisma finlandese – può far parte di una serie aforistica, concatenato agli altri attraverso un legame tematico in serie di cinque o più aforismi. In alcuni casi un libro di aforismi è composto da 300, 500 (nelle “Maximes” di La Rochefoucauld sono 504 che è la misura aurea), anche 3.000 aforismi, in altri casi il libro coincide con un solo aforisma (penso alle raffinate edizioni Pulcinoelefante di Alberto Casiraghy), in altri casi ancora l’aforisma è il relitto di un edificio testuale andato distrutto (Eraclito) o il canovaccio di un testo inedito pubblicato postumo (Ennio Flaiano). Abituati ai libri di poesia dove c’è una componimento per pagina, veniamo ogni volta sorpresi e spiazzati da un libro di aforismi. Anche perché in un libro di aforismi non c’è un inizio e una fine, l’occhi del lettore non procede in modo sequenziale, ma salta da una pagina all’altra (“On commence partout et on finit partout” come scriveva Jean-Louis Guez de Balzac).

Qualsiasi tentativo di schematizzare l’aforisma, troverà sempre un suo esatto contrario. Questo è il motivo per cui l’aforisma viene percepito quasi come un non genere letterario, ovvero un genere che vive nella terra di nessuno, non più barzelletta ma non ancora opera d’arte, forma che partecipa della filosofia e della poesia, senza essere né l’uno né l’altro. La spia più evidente di questa situazione è il correttore ortografico. Se scriviamo la parola “aforisma” il correttore la segna come corretta. Ma se proviamo a scrivere la parola “aforista”, il correttore ortografico mette un bel segno rosso. Quasi come se esistesse l’aforisma, ma non esistessero gli scrittori di aforismi, cioè coloro che danno linfa e contenuto all’aforisma (eppure Nietzsche inserisce gli Aphorismen di Lichtenberg “tra le cinque opere in prosa della letteratura tedesca meritevoli «di essere lette e rilette”). A livello di critica letteraria la situazione non cambia. Sebbene alcuni nomi celebri (ad esempio W.H. Auden o Roland Barthes) gli abbiano dedicato dei saggi importanti, la maggior parte dei critici letterari ignora completamente l’aforisma. Non sa che cosa sia, fa fatica a parlarne, lo tratta come un oggetto misterioso, spesso finisce per identificarlo con La Rochefoucauld o Lichtenberg o Oscar Wilde o Karl Kraus, ignorando l’esistenza di centinaia di altri autori. Per molti è un genere minore o un sottogenere tanto che il francese Amiel, commentando le massime di Joubert, diceva che “Quando non si è più capaci di fare niente, si possono sempre far massime”. L’aforista scozzese Dan Paterson afferma: “l’aforisma è il fratello minore della poesia privo di talento e affetto da sordità tonale” e Gertrude Stein rincara la dose scrivendo: “Gli aforismi non sono letteratura”. In libreria i libri gli aforismi sono pressoché inesistenti (a meno che uno cerchi antologie aforistiche per tema come ad esempio gli aforismi sulla felicità o sull’amore) e quando sono presenti non hanno uno scaffale dedicato a loro ma sono mischiati con i libri di poesia o con i libri di filosofia. A scuola, in mezzo a tanta, troppa poesia e narrativa, si trova sporadicamente spazio per altri generi letterari minori, ma non per l’aforisma. E quando l’aforisma viene citato, spesso viene citato senza autore o con l’autore sbagliato, come se non ci fosse un’autorialità e una identità da rispettare. Come scriveva ironicamente Indro Montanelli “Quando mi viene in mente un bell’aforisma, lo metto in conto a Montesquieu, o a La Rochefoucauld. Non si sono mai lamentati”.

Questa latenza dell’identità dell’aforisma è un vero e proprio paradosso, se si pensa che l’aforisma è il genere letterario più antico del mondo. L’aforisma è nato migliaia di anni fa molto prima del romanzo o del teatro, e le sue frasi brevi e sintetiche dettavano norme di comportamento nel campo dell’etica tanto che spesso venivano incise sulla pietra o nei templi (si pensi ad esempio al famoso ΓΝΩΘΙ ΣΑΥΤΟΝ inciso sul tempio di Apollo a Delfi). E oggi, nell’epoca della rapidità e del frammento, se andiamo nelle bacheche di Facebook o Instagram o Tumblr, vediamo passare continuamente aforismi, (quasi al modo dei sottotitoli del televideo) a commento di emozioni o avvenimenti della vita contemporanea. Non c’è bacheca di Facebook che non abbia ospitato il suo aforisma (spesso in forma di “fotoaforisma” in margine a una foto) di un qualche autore (i più quotati sono Oscar Wilde, Friedrich Nietzsche, Alda Merini, Seneca, Arthur Schopenhauer, ma passano pure aforismi di autori contemporanei tra cui quelli del sottoscritto!). E che dire della recente moda di tatuarsi aforismi sul corpo dove ai primi posti compare di nuovo una frase di Friedrich Nietzsche: “Quello che non mi uccide mi fortifica”. Eppure quando chiediamo a un qualsiasi “citatore” di aforismi, se ha mai letto un libro di aforismi, la risposta è “no. Anzi, talora la risposta è: “Ma esistono i libri di aforismi?”

Eppure io, ogni volta che mi trovo di fronte a un genere così indefinibile e così bistrattato e ignorato, provo sempre le identiche emozioni. Io non so “che cosa è l’aforisma”, ma so che – ogni volta che leggo un aforisma – si mette in moto un qualche ingranaggio del mio cervello che mi induce a guardare la realtà secondo una prospettiva diversa. L’etimologia di aforisma viene dal greco “aforizein” e significa separare / delimitare / definire, ma significa anche “orizzonte”. Provando a interpretare la sua etimologia, l’aforisma non è solo un “delimitare e un circoscrivere in uno spazio breve”, ma è anche un modo di prendere una parola, una immagine e un concetto per “trasferirla da un orizzonte a un altro orizzonte”. Leggendo un aforisma io provo ogni volta questa sensazione di trasferimento, di passaggio del linguaggio e del significato da uno schema, un abitudine e uno stereotipo quasi sempre consunto, banale, logoro a una sfera completamente nuova, non abituale, non ordinaria. Che sia un frammento poetico o un gioco di parole o una battuta o un microsaggio filosofico, io capisco che è un aforisma quando balzo sulla sedia e provo una specie di meraviglia e fervore quasi elettrico per quella specie di “slittamento del linguaggio e del senso” di cui parla anche Roland Barthes.

Come quando leggo questa “gregueria” di Ramon Gomez de la Serna: “Il foglietto del calendario ci consola perché il suo 7 o il suo 22 ci sono noti da moltissimo tempo. Che spavento se invece apparisse il giorno numero 30.117 della nostra vita!”.

L’aforisma diventa per me “Una spericolata acrobazia dello spirito” (per citare Alessandro Morandotti), “una frizione di rotelle dove un minimo si attacca a un massimo” (per citare Maria Luisa Spaziani), una scarica verbale, una esplosione (“un aforisma è sempre incline all’esplosione” scrive Mario Andrea Rigoni), che fa saltare i passaggi intermedi del pensiero e della logica e fa apparire sensato ciò che è insensato e insensato ciò che è sensato. E’ come se ogni volta l’aforisma mi donasse un “filo intermentale”, che pulisce la mia mente dalle incrostazioni del linguaggio e del senso, dalla giungla e dalla sterpaglia di frasi fatte, di false verità e luoghi comuni. Ovvero è come se mi donasse una specie di leva per sollevare il mondo e vederlo da un punto di vista completamente diverso tanto che ogni volta che leggo un aforisma mi viene da dire: “Eureka”, “Ho trovato”. Che cosa ho trovato? Un nuovo modo di pensare, ma anche un nuovo frammento di universo e un nuovo frammento di me stesso, in attesa dell’aforisma risolutivo, l’aforisma degli aforismi, quello che tutti noi – lettori e scrittori di aforismi – cerchiamo da migliaia di anni. L’aforisma che – nell’infinita combinazione di poche parole – contenga finalmente la formula che spieghi Dio e l’Universo.

Exit mobile version