Ieri 6 gennaio 2018, alla vigilia del terzo anniversario dell’attentato contro la redazione del settimanale di Charlie Hebdo, si è tenuta una giornata di dibattiti e testimonianze su laicità e libertà d’espressione.
L’evento, intitolato “Toujours Charlie! Dalla memoria alla lotta”, si è svolto nel teatro delle Folies Bergère nel cuore di Parigi per commemorare le vittime dell’attentato alla redazione di Charlie Hebdo e per difendere la laicità e le libertà fondamentali; Printemps Républicain, Comité Laïcité République e Licra sono le associazioni che hanno organizzato l’iniziativa, a cui hanno partecipato i superstiti del giornale e numerose personalità francesi e internazionali.
Oggi 7 gennaio si sta invece svolgendo la solenne commemorazione delle vittime da parte dello Stato, con la partecipazione ufficiale del presidente Emmanuel Macron e della moglie Brigitte.
Esattamente tre anni fa, il 7 gennaio 2015, i fratelli Kouachi hanno massacrato con colpi di kalashnikov dodici persone: tra loro otto membri di Charlie Hebdo, tra cui il direttore Charb e gli storici Cabu, Wolinski e Tignous.
Questo terribile attacco jihadista ha segnato l’inizio di un’ondata di attentati in Francia che solo nel 2015 ha lasciato più di 130 morti (241 persone ad oggi); nonostante il terrore, la nazione francese aveva subito risposto con un vigoroso “Je Suis Charlie”, per contrastare l’attacco palesemente rivolto alla libertà di espressione.
Durante gli ultimi 157 numeri, Charlie Hebdo è rimasto Charlie Hebdo, una rivista irriverente con tutto e tutti, specialmente con le religioni e in particolare con i musulmani.
Difendere la libertà di espressione e la laicità che la rivista professa, in una società che sta ancora discutendo animatamente di questi concetti, non è stato facile.
La copertina dell’ultimo numero di Charlie Hebdo s’intitola “Tre anni in un barattolo di conserve” e raffigura la porta di un bunker dove un giornalista si affaccia da una finestra blindata per rispondere a qualcuno fuori dalla porta. “Il calendario dell’Isis? Abbiamo già dato”.
La redazione di Charlie Hebdo è davvero costretta a lavorare in un bunker dall’indirizzo segreto nei dintorni di Parigi; uno dei membri del team nell’ultimo numero della rivista riconosce: “Quando arrivo, quando sono ancora in strada, ho paura“.
La libertà di espressione ha un prezzo molto alto, pari a 1-1,5 milioni di euro l’anno; il direttore di Charlie Hebdo, Riss, ferito da una pallottola di Kalashnikov nella spalla durante l’attacco e sostituto del direttore assassinato Charb, deplora che la libertà d’espressione sia diventata un “prodotto di lusso” e afferma:
“Ogni settimana almeno 15.000 copie, cioè 800.000 l’anno, devono essere vendute solo per finanziare la sicurezza della redazione“.
La rivista Charlie Hebdo sta passando un’epoca difficile: oltre a queste enormi spese extra ha dovuto affrontare anche un sostanziale calo delle vendite, accompagnato dal raffreddamento del sentimento popolare.
Secondo un sondaggio, infatti, il 61% dei francesi afferma di sentirsi ancora “Charlie”, dieci punti in meno rispetto al 2016. E il 38% delle persone intervistate considera che con le loro vignette, che hanno continuato a provocare tutto e tutti, la rivista satirica si spinge troppo oltre.
Guillaume Erner, un giornalista della rivista, ha detto che il paese ha voltato le spalle a Charlie dopo averlo trasformato in un simbolo:
“Sorprendentemente, non siamo molto supportati dal paese. Il paese voleva che noi fossimo degli angeli. Non siamo affatto angeli. “
Sabato dal palco delle Folies Bergère, il caporedattore di Charlie Hebdo, Gérard Biard, ha risposto a chi accusa il giornale di essere irresponsabile e a chi invoca il buon gusto o il rispetto nella satira:
“Potete non amarci ed è legittimo che sia così, c’è sempre il diritto di contestare a parole un’opinione. Invece non c’è il diritto di minacciarci o spararci addosso”.
In un’intervista rilasciata qualche giorno fa al Corriere della Sera, la filosofa e femminista Élisabeth Badinter aveva dichiarato che Charlie ha il diritto di essere di cattivo gusto e che il punto non è se le vignette piacciono o no, ma la libertà di espressione.
Ieri, nella giornata “Toujours Charlie”, si è scatenato un grande dibattito sul concetto di islamofobia. Secondo l’analisi fatta dal giornale Libération:
“Il termine islamofobia è al centro di una guerra semantica senza tregua. Per alcuni l’accusa di islamofobia è un modo per proibire ogni critica all’Islam, ma per altri è un nuovo aspetto del razzismo“.
Per capire e quindi combattere il terrorismo sarebbe necessario, prima di tutto, differenziare tra le parole fondamentalismo e Islam; la parola stessa “Islam”, deriva infatti da ”silm” che possiede due significati interconnessi: uno è “sottomissione volontaria al volere di Dio” e il secondo è “pace”; inoltre la libertà di coscienza è stabilita dallo stesso Corano: “Non c’è costrizione nella religione” (Corano, 2:256).
Se l’ascolto, la conoscenza e il rispetto occupassero il posto della diffidenza e dell’odio potremmo imparare gli uni dagli altri e finalmente unirci nella lotta verso il terrorismo, che in realtà non è la religione ma solo la sua strumentalizzazione.
Fadua Al Fagoush
Bell’articolo e molto giusto! Letto con grande curiosità.
Sei davvero gentile, grazie.