Charles Dickens, il regista degli abissi

Charles Dickens

Charles Dickens ha raccontato la Londra vittoriana come un regista moderno

Vi sarà capitato di leggere almeno una volta nella vita qualche pagina di un romanzo di Charles Dickens. Non importa quando, sicuramente vi sarete sentiti trasportati in un’epoca spaventosa e oscura. Con fare da cronista, sempre attento a descrivere ogni angolo della città, Dickens ha trasportato il lettore in un viaggio senza tempo, vagando e perdendosi per le stradine oscure e misteriose di Londra.

Ogni particolare trova spazio nell’inquadratura, per questo ci piace definirlo il primo regista della storia. Dickens, infatti, non mostra tutto in maniera immediata, la realtà è concessa attraverso dettagli svelati a poco a poco. Inoltre, le sue descrizioni mostrano quella che potremmo definire una “psicologia urbana”: ogni elemento della città, tra cui strade, locande, prigioni o anche elementi naturali come la nebbia o il fiume, sembrano personificati. Londra assume i tratti di una signorotta perfida, che lo scrittore ama osservare con il buio della notte, percependola da piccole sfumature, sentendone gli odori. Sono gli anni delle prime lampade a gas, grazie alla quali le persone potevano restare in giro o lavorare fino a tarda sera e la città diveniva un pauroso gioco di luci ed ombre.

La ricerca dei luoghi squallidi e dimenticati

Charles Dickens ha solo dodici anni, quando il padre John viene imprigionato per debiti nella prigione Marshalsea. Per guadagnarsi da vivere, come tanti altri bambini dell’epoca, inizia a lavorare in una fabbrica che produce lucido da scarpe, la Warren’s Blacking Warehouse. Sarà questa vicenda traumatica a indirizzare l’interesse dell’autore verso luoghi deplorevoli come prigioni e case di lavoro, dove lo sfruttamento è all’ordine del giorno.

Alla prigione londinese di Newgate, uno dei simboli rappresentativi della Londra del tempo, dedicherà uno dei suoi primi bozzetti da giornalista. Decise di visitare quel luogo in prima persona, per mettere nero su bianco il dolore dei dimenticati e dei condannati a morte in attesa dell’esecuzione. La profonda angoscia è intrisa nei volti di tutti i prigionieri che incontra, come in quello di una anziana signora in un angolo.

La vecchia parlava con quel tono di voce basso e soffocato che trasmette angoscia mentale, e ogni tanto esplodeva in un irrefrenabile acuto, brusco grido di dolore, il suono più angosciante che le orecchie possano udire.

Lo sguardo dell’autore non è cinico e distaccato. Sentiamo una forte empatia nei confronti dei bisognosi. La penna dà voce ad ogni disagio ai lati delle strade, alle grida dei singoli, alle storie dimenticate. Nella città moderna, l’individualità finisce per essere schiacciata da un’energia convulsiva e violenta. Nel celebre romanzo Oliver Twist, lo scrittore racconta un ordinario giorno di mercato:

Contadini, macellai, mandriani, venditori, ragazzi, ladri, oziosi, mascalzoni d’ogni genere e d’ogni età appartenenti alle più vili classi del popolo si trovavano là ammassati. I fischi dei mandriani, l’abbaiare dei cani, il muggire delle bestie, il belare delle pecore, il grugnito dei maiali, le grida dei venditori, le bestemmie, le risse in ogni parte, il suono dei campanacci, il mormorio delle voci che usciva da ogni taverna, gli urti, le spinte, le percosse, l’orribile insieme di suoni scordati che veniva da ciascun angolo del mercato, e le sudice e squallide figure che vagavano di continuo nella calca, componevano uno spettacolo orrendo che istupidiva i sensi.

I mercati, posizionati al centro della città, non rispettavano spesso le norme prestabilite, divenendo lo scenario di veri orrori quotidiani. Accadeva spesso che le bestie, maltrattate e costrette in spazi piccolissimi, tentavano di scappare generando caos tra le folle.

Il popolo degli abissi di Charles Dickens

Se da un lato Dickens è attento alla psicologia urbana e ai dettagli che colorano la Londra del tempo, dall’altro la stessa attenzione è rivolta ai suoi personaggi. Un grottesco “umano” vicino alle persone, alla loro complessità e alle loro contraddizioni. Lo scrittore racconta così l’intimità, spesso agghiacciante, delle loro esistenze squallide e disilluse.

Nella costruzione dei personaggi, Dickens parte mettendo insieme una serie di gesti, parole o modi di fare. Così facendo, ai lettori rimane impressa nella mente una precisa connotazione fisica, un difetto nel parlare o qualsiasi altra caratteristica di quello specifico personaggio, che li accompagnerà per tutto lo sviluppo della storia. Basti pensare a Mrs. Micawber che ripete la stessa identica frase ogni volta o a Mr. Gradgrind continuamente associato a figure geometriche e rigide come la sua personalità.

I personaggi incarnano i principali vizi della borghesia, ristretti mentalmente e attaccati al loro patrimonio. Più che personaggi veri e propri sembrano essere degli stereotipi, burattini dominati ognuno dalla propria fissazione.

La devianza linguistica e i nomi parlanti

La lingua è deviazione dalla norma in tutte le sue forme. Un aspetto interessante è che non rispecchia sempre lo stato sociale di chi la utilizza: ad esempio Oliver Twist è un bambino nato nella miseria, privo di istruzione, eppure nel dialogare non articola né pronuncia le frasi in maniera scorretta.

Il dialetto è quello di Londra, ma quando si vuole dare una connotazione geografica precisa al personaggio, Charles Dickens combina dialetti diversi per creare effetti ancora più comici.

Anche i nomi, nel pieno rispetto della satira, divertono e comunicano messaggi: ad esempio, il nome Fagin, l’antagonista in Oliver Twist, può essere associato a verbi come “feigning” (fingere) o “faking” (falsificare), quindi alla falsità e ai sotterfugi che saranno proprio il pane quotidiano del personaggio.

La risata come critica sociale

Alla risata Dickens dedicherà sempre un ruolo fondamentale. In particolare, nella sua opera Schizzi di Boz, i racconti si aprono con un “noi” iniziale che catapulta automaticamente il lettore in una specie di comunità comica, di cui ciascuno può sentirsi parte e riconoscere i suoi difetti come difetti dell’umanità. Lo studioso Malcolm Andrews, in Dickensian Laughter, afferma a questo proposito:

Il lettore è invitato a vedere il mondo attraverso gli occhi di Boz; quella prospettiva dickensiana divenne contagiosa e quindi Dickens si assicurò la sua ‘massoneria delle risate’

Nella società vittoriana l’aspetto più primitivo, selvaggio e quindi mostruoso dell’animo umano tende ad essere addomesticato e represso, a favore della rispettabilità. La risata si configura come rinascita, rigenerazione e sovversione: grazie ad essa crollano le maschere dei personaggi e i loro ruoli nella società.

Charles Dickens vuole far parlare questi difetti e racchiude nei suoi romanzi gli effetti mostruosi dell’industrializzazione e della modernità. I suoi personaggi sono l’emblema dell’alienazione dell’epoca vittoriana: poveri e maltrattati o membri di una società borghese ormai strettamente corrotta e sulla via del declino. Essi rappresentano l’immagine reale della comunità con cui tutti, in un modo o nell’altro, devono far i conti. Il grottesco vittoriano è il frutto di un’epoca malsana e lo specchio deformante creato dalla società e per la società. Un riflesso nel quale dopo qualche esitazione si impara a riconoscersi.

Giulia Sofia Fabiani

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