Nella vita della poetessa Chandra Livia Candiani la meditazione buddhista è un percorso di consapevolezza attraverso le strade tortuose del dolore e la sofferenza.
L’avvicinamento al buddhismo
L’infanzia dolorosa della poetessa è presupposto dell’avvicinamento, in età adulta, al buddhismo. Il primo, imbarazzato, approccio di Chandra Livia Candiani alla meditazione bhuddista, in particolare quella Vipassana, è in India, nell’86.
Chandra capisce subito che la meditazione è la sua strada e negli anni successivi continua a frequentare seminari in Europa e negli Stati Uniti. Quest’ultimo in Massachusetts sancirà il percorso di Chandra attraverso il dolore, l’apertura finale al male che l’ha accompagnata – e che spesso accompagna ognuno di noi – lungo il percorso tortuoso della vita.
Per Chandra, il cammino a fianco del buddhismo è una mano tesa da qualcuno, una vocazione primordiale e luminosa, che l’ha condotta alla consapevolezza e alla guarigione, all’accettazione più completa di sé. Il nome Chandra, le è stato dato dal suo maestro in India: in sanscrito il termine indica la Luna che splende.
Attraverso il dolore
Il buddhismo, prima di essere una religione, è un percorso. Chandra lo definisce la sua vita, una metafora, una visione, come la poesia. Il percorso buddhista ha inizio nell’attraversamento del dolore, del male, che Chandra ha conosciuto durante la sua infanzia e giovinezza, con una madre caduta nella follia e di una sorella succube dell’alcolismo. L’unico modo per superare tale dolore è affrontarlo, sbatterci il capo e il cuore, dice Chandra nel suo libro sulla meditazione “Il silenzio è cosa viva”.
La meditazione non è un antidoto al dolore, ma senza di esso, il dolore ci colpisce due volte. Il secondo colpo è dovuto al sentimento di avversione e rifiuto di tale dolore. È in questa modo che il sapere buddhista guida Chandra all’accettazione e alla comprensione della sofferenza. Bisogna perdersi nella foresta per ritrovare la via, addentrarsi nel buio della notte per ritrovare la luce del giorno: solo nel dolore c’è liberazione.
Con-sapevolezza
Chandra si definisca piccola, non grande, rifiuta i fronzoli, le complicazioni, accetta la verità nuda e cruda. In questo, ricorda la purezza di una bambina. La chiave, secondo il pensiero buddhista, sta nell’accettarsi per come si è, senza cercare di migliorarsi, ma comprendendosi.
La meditazione, come la poesia, aiuta a raggiungere questo difficile obiettivo: quando si medita, ci si concentra sul respiro. Il respiro è vita, non c’è verità più elementare di questa, eppure, nella crescita e il distaccamento dall’età infantile, è facile dimenticarsene. La meditazione ci riporta all’origine, alla nascita, al respiro: respirando ci rendiamo conto che siamo corpo, vita.
Nel suo libro, Chandra parla di due pause che caratterizzano il respiro: una che segue il momento dell’inspirazione e una quello dell’espirazione. La seconda è più lunga, ed è caratterizzato da una mancanza, un vuoto, che però non è un vuoto come siamo abituati a concepirlo. Nel buddhismo, la ricerca incessante di colmare tale vuoto è vana, perché in realtà è il vuoto a collegare il tutto.
E così, nella semplicità – e complessità – della meditazione ed il respiro si raggiunge una profonda consapevolezza.
Oriente e Occidente
Chandra riunisce nella sua poesia tutto il sapere orientale, ma resta una poetessa occidentale. Ed è per questo che conosce i limiti della nostra cultura, e sa come includere nella sua poesia immagini che parlano a noi occidentali.
La pratica buddhista ci affascina per il suo essere quotidiana, per il suo rifiuto innato al dualismo che contraddistingue la nostra cultura occidentale e che separa l’ordinario dallo spirituale. E al dualismo si aggiunge l’individuo, per cui tutto in Occidente è vissuto in ottica antropocentrica. Al contrario, in Oriente vige la collettività: la meditazione buddhista è uno strumento a disposizione di tutti, la consapevolezza un sapere comune.
E la differenza tra oriente e occidente sta anche nel caso della pratica buddhista all’invito ad accettare la propria essenza che, nel rispetto dei vari precetti buddhisti, ci impone di vivere semplicemente, non aspirando ad ideali irraggiungibili o ad essere migliori o diversi, ma a spogliarci da inutili accessori.
Tutto questo lo si fa tramite la meditazione, un invito a conoscersi intimamente che Chandra ha accolto prima di noi e dunque, nella sua acquisizione di consapevolezza, cerca di condividere con noi occidentali inebriati dalla cultura del fare e dalle nostre emozioni dall’eco troppo forte. Seguire il flusso della natura, far parte di esso, è l’insegnamento primordiale del buddhismo che ci invita a lasciar andare le nostre emozioni e ricongiungerci al tutto.