Cercate di avere fiducia nel futuro. Ma solo per non pensarci
Aggiungere benzina sull’incendio Trump significherebbe fargli un favore, se ne è scritto (ho scritto) e se ne scriverà – ahinoi – sin troppo. In fondo ha cavalcato le elezioni americane proprio facendo leva su questo.
Nel novero delle inverosimili possibilità si annida sempre il tragico consumarsi dell’assurdo e mai come adesso questo vaso di disgrazie covate è aperto.
L’ambito che davvero raggela il mio interesse sono le medie dimensioni,il sopravvivere comune (troppa grazia definirlo vivere), ciò che quotidianamente ci attraversa e che, nostro malgrado, viviamo. Tendiamo inevitabilmente all’istante, anche lo spingerci con un minimo sforzo di lungimiranza all’oggi è un azzardo che preferiamo non concederci. La capacità di andare oltre il nostro istinto è sedata, addormentata dall’esigenza di non pensare, di non farci troppe domande. Una unidimensionalità di comodo, una piccola gabbia di desideri immediati da soddisfare qui ed ora per un’analgesica esigenza, la volontà di non provar dolore per il terrore di qualsivoglia prospettiva.
Anche la bidimensionalità elementare è stata soppiantata da un binario istintuale: l’uno e lo zero, nelle nostre vite si semplificano in vero/falso, in un insoddisfacente ma risolutorio e rassicurante si o no.
Difficile credere o convincerci che stiamo regredendo – anche se non se non possiamo oggettivamente permetterci di escludere questa possibilità -, molto più facile dedurre che si stia realizzando una riduzione ai minimi termini del nostro desiderio di nutrire speranza.
Se ciò che ci appaga è a portata di mano – e possiamo immediatamente consumarlo – nessuno ci vieta di suggere avidamente da quel seno tutto l’immediato nutrimento fino ad avvizzirlo (mi si perdoni il sottile ma evidente rimando a Baudelaire), ma allo stesso tempo restiamo sì appagati sul momento ma, nonostante tutto, insoddisfatti. Abbiamo morso un breve desiderio fino a farlo sanguinare per poi gettarlo nel “già passato”. Tutto questo in un brevissimo lasso di tempo, in quella unidimensionalità senza prospettive che ci seda nell’adesso facendoci dimenticare, solo per un istante sia chiaro, il domani.
Questo primitivo metodo ha i suoi vantaggi, altrimenti perché lo applicheremmo? Innanzitutto abbiamo la nostra compulsiva dose di antidolorifico per il qui ed ora, in secondo luogo abbiamo ottenuto un’ appagante ricarica, seppur brevissima, per lasciare il futuro a sé stesso in attesa che spuntino per magia tempi migliori (in fondo è un non ancora, perché dannarci per lui?).
Tutto questo però in nostra assenza è ovvio. Siamo i consumatori perfetti: desideriamo qualcosa, valutiamo se è nella possibilità di ottenerla il prima possibile e, una volta ottenuta – e “esaurita” -, ce ne stanchiamo passando ad altro con la sicurezza che prima o poi si realizzerà la soddisfazione completa e imperitura.
Il consumatore perfetto è il bambino che strazia i genitori per un giocattolo di cui si stancherà appena verrà accontentato. Un giocattolo che lo porterà tanto a noia e al disincanto quanto più si è speso in capricci per ottenerlo. Ma ai bambini questo lo si può passare, la loro mente trabocca di prospettive e possibilità ma non è ancora matura e pienamente consapevole, ma noi… che scuse abbiamo?
Siamo stati indotti all’analgesi del momento per un incessante cinquantennio di bombardamenti mediatici? Siamo vittime, anche etiche e culturali, di un imponente e onnipresente fascismo consumistico nostro malgrado?(ci piace tanto fare le vittime).
Lo so, la parola fascismo rimanda a qualcosa di anacronistico e, apparentemente, sembra inappropriata, però, a ben vedere, qualunque azione proveniente dall’alto sia rivolta a livellarci e irreggimentarci può essere definita fascismo. Anche il farci credere che siamo “tutti indistintamente” unici e irripetibili è “sotto, sotto,” una generalizzazione sospetta. Unici e irripetibili in cosa? E, soprattutto, perché questa presunta unicità mi viene attribuita da un qualcosa al di fuori di me? Non mi fido di chi si fa i fatti miei e oltretutto non finisce neanche le frasi restando sul generico.
A tutto questo certosino lavoro di “decostruzione” di “possibilità” che ci incatenano al solo appagamento dell’istante, ora va ad aggiungersi l’ingrediente finale: la paura del futuro. La dimensione della prospettiva si è ridotta a un punticino col quale però ci è negato di edificare una geometria complessa. Niente segmenti, semirette e …. le due rette che si incontrano all’infinito? Solo una vaga e assiomatica promessa di felicità.
Su un piano meramente intellettuale questo muro di paure sul futuro impedisce qualsivoglia lungimiranza o costruzione di ipotesi affidabili; ogni possibile previsione ci spinge a credere che al di là stia germogliando il peggio solo per restare al di qua del limite. Chi dice di avventurarcisi, invece, spesso bara, perché più che un occhio coraggioso ha uno sguardo sedizioso e di parte. Questi immobili avventurieri degli interessi altrui, il più delle volte ci mostrano territori fertili o tragici a seconda del padrone di turno … difficile, ingenuo affidarsi. Dovremmo aver coraggio e metterci in gioco, ma non conviene a nessuno andare oltre con uno sguardo libero. Nessuno ci ha mai ricavato niente di buono nell’ esser migliore.
Da un punto di vista puramente vitale ed emozionale, il demandare a un futuro che ci fa paura è un alibi, un “convenientissimo” ottimismo di risulta che giustifica le nostre azioni e le nostre coscienze nell’adesso. Confidare nel futuro senza curarsene è un po’ come firmare un assegno scoperto nella speranza che chi il gabbato tenti inutilmente di riscuoterlo il più tardi possibile. Il gioco delle tre carte è più onesto, la truffa si consuma subito e ti metti l’animo in pace.
Quindi non ci resta che il presente, l’istante donatoci per esorcizzare il futuro e le nostre coscienze, questa presa in giro vivissima e degna di esser consumata fino all’osso. Anche se, mai come oggi, un futuro tragico che non abbiamo voluto vedere o ascoltare, sta bussando con nervosa indolenza alle nostre porte per palesarsi davanti ai nostri occhi, tanto ipocriti quanto sorpresi, come un inquietante presente.
Cercate di avere fiducia nel futuro. Ma solo per non pensarci
Vignetta Altan