Centro di espulsione per un padre di famiglia che ha lavorato per 25 anni in Italia

Centri di espulsione

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Questa è la storia di un uomo rinchiuso in un centro di detenzione che per protesta ha iniziato un sciopero della fame.

Si tratta di un 43enne di origini albanesi, in Italia da 25 anni, con a carico 3 bambini. L’uomo ha ricevuto un decreto di espulsione dal paese nel 2020, perchè, durante la pandemia, il suo permesso di soggiorno era scaduto.

L’uomo è stato trasferito nel centro di rimpatrio di Bari-Palese, dove le condizioni in cui versa non sono umanamente sopportabili. Racconta lui stesso le condizioni in cui è stato costretto a vivere per tre mesi.

“Se devono rimandarmi in Albania lo fanno, oppure mi lasciano tornare a casa dai miei figli e da mia moglie. Ma non posso più continuare a vivere qui. Le condizioni in cui ci troviamo, io e le altre decine di migranti irregolari, sono disumane. L’unica cosa che vorrei è farmi una doccia ed essere curata».

Il centro di detenzione Bari-Palese non garantisce condizioni umane

Il centro di detenzione di Bari-Palese era, tra l’altro, stato sottoposto ad un processo davanti al Tribunale che aveva riconosciuto proprio le “condizioni disumane e degradanti” della struttura, sottoscrivendo che le riflessioni che la sentenza del processo propone

attingono assai strettamente la tematica della privazione della libertà personale, per quanto concerne le condizioni di trattenimento dei migranti nelle strutture di identificazione

La storia di un cittadino

Ad oggi il 43enne torna a denunciare la privazione di diritti avvenuta all’interno del centro. Lo fa raccontando la sua storia.


«Vivo in Italia dal 1997, qui ho moglie e tre figli piccoli di 2, 5 e 7 anni. Ho sempre lavorato, in ristoranti, piccole ditte, in campagna, come boscaiolo e con qualche lavoretto edile. Poi quando è scoppiata la pandemia ho smesso di lavorare e nel frattempo mi è scaduto il permesso di soggiorno. Alcuni mesi fa, a tre anni dal decreto di espulsione, sono stato portato prima nel Cpr di Potenza e adesso mi trovo a Bari. Sono sempre sporco, chiediamo anche solo un po’ di candeggina per poter pulire direttamente noi. Poi da quando non riesco a camminare per me è tutto più difficile. Ma sono tanti quelli che stanno male e ognuno reagisce a suo modo. C’è chi si ferisce, chi tenta gesti estremi, chi protesta dando fuoco ai moduli».

E infatti anche il protagonista di questa storia ha tentato un gesto estremo.

L’esasperazione ha portato il 43enne a compiere un gesto disperato. Avrebbe preso a calci una porta di ferro rompendosi il piede. Questo intensifica le difficoltà già riscontrate nel centro di detenzione, non potendo deambulare autonomamente.

Le accuse dell’avvocato contro il centro di espulsione

Nel frattempo il suo avvocato Uljana Gazidede ha raccontato la sua storia in una lettera aperta inviata al Garante dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà personale, al prefetto e al questore di Bari.

Quando però il Tribunale ha deciso di prolungare la detenzione dell’uomo nel centro di espulsione, il 43enne “ha iniziato uno sciopero della fame”, ha raccontato l’avvocato, chiedendo al Garante un “intervento per porre fine a questa situazione che lede i diritti umani del sig. S., ai quali la libertà di movimento e circolazione non può che essere limitata, nient’altro.”

Dopo il prolungamento della detenzione deciso dal Tribunale, ha confermato l’accusa di lesione dei diritti umani dell’uomo, affermando  “Tale situazione lede la dignità della persona e determina atteggiamenti disumani e degradanti”.

Fiamma Franchi

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